Anora, il film di Sean Baker, è bellissimo. Proviamo e riassumerlo in poche righe (Sergio Leone una volta mi disse che una storia è valida quando la puoi raccontare in pochissime parole). È la storia di una spogliarellista che si innamora di un cliente speciale, il figlio di un miliardario russo, Yvan, che si rivela ahimè un figlio di papà viziato e soprattutto vigliacco, come purtroppo sono molti uomini (anche con padri meno ricchi), constatazione del tutto personale ma non impopolare. Però i film vanno visti e io detesto gli accenni alla trama, anche quando sono scritti dai più esperti critici, dato che non rendono mai l’idea di quella che sarà la tua percezione individuale, una volta seduto in sala. Quindi smettiamo di dire “di cosa parlano” i film e andiamo a vederli sul grande schermo. Per goderti i capolavori come questo ti devi sedere al buio, liberandoti della vita “fuori” ed entrando in una vita nuova. Anora incanta dal primo secondo, i titoli di testa sul suo volto in estasi mentre fa una danza privata strisciando addosso a un cliente sono bellissimi. Raccontano da subito una donna vera a cui si crede senza riserve che ci incanta con il suo viso imperfetto e a tratti sognante. Questa storia perfettamente architettata sembra essere l’anti Pretty Woman per eccellenza. Non che ci sia qualcosa di sbagliato in Pretty Woman, che tutti abbiamo apprezzato (pur non credendoci affatto) e suppongo abbia apprezzato anche Sean Baker, vero amante del cinema lontano da qualunque forma di facile snobismo, fan della commedia sexy all'italiana e delle locandine vintage originali. Al contrario di questo e altri film a lieto fine della Hollywood rassicurante come le favole, Sean Baker ci racconta la verità: sulle differenze sociali, sulle discriminazioni e gli amori destinati a fallire. Dipinge con cruda onestà e sense of humour il mondo degli strip club (e se lo dico io che ho lavorato per tre anni nei tre più famosi strip club di Los Angeles potete crederci). Un mondo fatto di estrema e romantica solidarietà, ma anche di piccole grandi gelosie (“Ti auguro di incontrare il vero amore”, “e io ti auguro di trovare un chirurgo plastico...”, tanto per citare uno scambio di battute tra rivali) di donne che si salvano e di altre che con il passare del tempo restano sempre lì nei camerini e dentro le stanze delle danze private, quelle che ti fanno guadagnare più soldi, dove se si intrattiene il cliente per cinque canzoni la giornata è andata meglio. Club dove nei camerini ci si trucca e si consumano pasti a domicilio, ma soprattutto viene sognato tutto ciò che sembra impossibile nella speranza sempre viva di “svoltare” in un attimo come Cenerentola o come Julia Roberts appunto.
Anora danza per il figlio del magnate russo arcimiliardario. E lui incantato decide prima di passare un’intera settimana con lei e successivamente, preso dalla capacità della donna di fare sesso come si deve (talento che non lascia quasi mai indifferenti gli uomini) le dichiara: “Penso di amarti”, mentre lei lo incita a fare l'amore senza fretta e a stare fermo, invece di sbatterla ripetutamente, affidandosi ai suoi movimenti abili e lenti (lezione che molti uomini ancora non hanno imparato). In seguito a un infantile e superficiale desiderio di ribellione verso i suoi genitori, di cui in realtà è succube, Yvan decide di sposarla a Las Vegas durante una breve e folle vacanza con amici targata sesso, droga e rock and roll. Finalmente sarà americano. Ma non certo libero, perché' la libertà è una condizione interiore e non dipende dal passaporto, e per essere liberi serve un coraggio che purtroppo lui non ha. Una volta che i ricchi genitori russi vengono a conoscenza di questa unione, scoppia la tragedia. Tragedia che si vive in modo grottesco e comico per tutto il film, dove non possiamo non divertirci per fatti e personaggi che restano realistici e credibili pur facendoci ridere. Una delle grandi capacità di Sean Baker è proprio questa: raccontare un dramma con ironia. Tutto scorre nell’indifferenza più totale dei sentimenti di Anora, che a quel matrimonio ci vuole credere con tutte le forze e a tutti i costi. La determinazione di Anora nel salvare il grande amore anche quando tutto ci dice il contrario racconta un po' tutte le donne: la protagonista lotta da sola e contro tutti per salvare questo matrimonio per buona parte del film, fino a rendersi conto di essersi illusa. con una lenta e progressiva resa. A lui, infatti, di proteggere questa relazione, una volta fatti arrabbiare mamma e papà (che pagano e comandano), non importa nulla, e questa “little wife” da sogno erotico diventa un peso di cui liberarsi il prima possibile. Anora nella sua ingenuità possiede uno spirito nobile e coraggioso, attraverso i primi piani da film western dei suoi occhi scuri e un po' orientali entriamo nell’abisso dell’animo umano. Anora possiede una vera “rabbia di vita”: fin troppo abituata a doversi difendere, sa bene come fare a botte e può essere all’occorrenza più violenta di due scagnozzi armeni. Gode nel fare male con le parole, lucida, scaltra e a tratti finemente crudele. Ma dietro questa difesa aggressiva c’è la ricerca di un amore puro, vero, disinteressato, nonostante l’anello di nozze da quattro carati e la pelliccia di zibellino (è zibellino ed è molto più caro del visone) di cui si disferà senza remore nel momento del forzato divorzio. Perché Anora, nonostante sia una puttana, non è in vendita ed è molto più pura del mondo che la circonda. Anora come ogni donna che si rispetti vuole credere nella favola che si è creata, per i suoi occhi non esistono amori impossibili, il suo volto con lo scorrere del film sembra sempre più consapevole del fatto che non esiste amore né pietà per quelle come lei. È struggente, dolorante, ha un disperato bisogno di comprensione e assoluzione, sentimenti che esistono in ognuno di noi. Anora è l’ingiustizia dell’illusione che ci tiene in vita e la crudeltà del giudizio basato solo alla condizione sociale. Con i capelli brillantinati, minigonna e zeppe da stripper calpesta con passo deciso il suo sogno infranto, mostrandoci una realtà crudele e logica. Una stripper d’altronde non può essere la moglie di un ricco figlio di papà, ma solo disonorare il suo nome, per quanto nelle grandi produzioni ruffiane di Hollywood questo non sia vero nella vita lo è.
Senza rinunciare alla sua dignità e alla rabbia quasi animalesca di una tigre, non viene ascoltata quasi da nessuno e riportata all’ordine sempre da tutti. La bravissima attrice Mikey Madison si confonde completamente con il personaggio: più reale della realtà, si distacca da qualunque finzione, compiacimento, metodo o desiderio di approvazione per il suo talento, semplicemente esiste, soffre sul serio e versa lacrime vere, facendoci innamorare di lei. Sean Baker a sua volta, mostra di amare e comprendere l'animo femminile e la sensualità, come ogni uomo dovrebbe fare (ce ne fossero di Sean Baker saremo tutte più soddisfatte) scava nel profondo dell'anima senza rinunciare a momenti di sublime cinematografica leggerezza. Si nota dal primo istante un amore smisurato per l’immagine e per il montaggio, curato dallo stesso regista, che non risulta mai manieristico o forzato. La telecamera segue il suo sguardo in modo estetico e profondo, senza compiacersene mai. E lo fa con uno stile “riconoscibile” e assolutamente personale. Anora fa sognare, senza ingannare, rispettando e non giudicando mai i personaggi, ognuno succube di sé stesso, figlio della propria storia e del proprio inevitabile destino, nella consapevolezza che l’unica grande ricchezza che un essere umano può possedere è l'amore, certo, ma soprattutto la libertà di essere ciò che si è, senza temere il giudizio degli altri. Sembra un’impresa ardua per tutti tranne che per lei.
Baker non giudica non giustifica e non assolve nessuno, dimostra di conoscere il cinema senza copiarlo mai e di possedere una sensibilità rara e non scontata, ci racconta le donne e il loro spirito fragile, che combacia con quello più forte, a tratti disperato. Costruisce questa storia senza intoppi e senza noia intorno a un’eroina ai margini che vuole credere nella sua favola a tutti i costi, fino allo stremo delle forze. Una Maddalena moderna perdonata da chiunque voglia scagliare la prima pietra. Sean Baker si distacca dai generi (pur essendo un fan del cinema italiano di genere) mostrando che una commedia può essere un dramma e viceversa, non definendo il suo film in nessun modo e portando lo spettatore a ridere e a commuoversi senza riserve, impresa più ardua di quello che si possa lontanamente immaginare. Ci trasporta in un turbinio continuo di emozioni realizzando un’opera unica coerente ed estremamente sincera. Un film che somiglia alla parte più vera e nascosta di lui che non può non rivelarsi e che per fortuna si rivela. Non c'è nessuna forma d'arte come il cinema per colpire la coscienza, scuotere le emozioni e raggiungere le stanze segrete dell'anima. Il finale “nudo e crudo” del film lascia senza fiato. Un pianto in cui Anora tira fuori tutto il dolore per le umiliazioni subite il cinismo degli esseri umani apparentemente “per bene”, l’amore che fino a quel momento le è stato negato. Un singhiozzo infantile per non avercela fatta ancora una volta, versa lacrime sopra tutta l'ipocrisia del mondo, la piccolezza umana rinunciando al ruolo di donna “con le palle” che non ha più la forza di interpretare. Prova a ringraziare l’unico uomo che mostra un po' di umanità per lei nel solo modo che conosce, quello apparentemente più facile, regalare del sesso. Ma non c'è la fa scoppia a piangere, e in quel pianto ci sono le lacrime di chiunque non sia stato amato né capito abbastanza in questa vita. Anora non è la favola di Cenerentola, qui i nomi non hanno un significato ed è meglio così. Questo è Sean Baker con la sua grande personalità cinematografica: nessuno come lui riesce a dipingere l'America tradita dal capitalismo e da se stessa. Anora viene sostituita da un'altra ballerina di lap dance nella stanzetta privata suo marito (come lo ha salvato sul cellulare con il nome “marito” appunto) è troppo ubriaco per difenderla, troppo schiavo di ciò che odia per difendersi, ma abbastanza lucido da dirle: “Certo che divorziamo ma sei stupida?”. E in quel momento vorresti entrare dentro lo schermo ed abbracciarla pur avendo riso per quasi tutto il film. Il regista sembra infatti dirci per tutta la durata della storia che due cose si salvano nella vita: amare e ridere. Ma improvvisamente ci stupisce tutti e non c’è più niente da ridere. Dopo una serie di successi e di festival vinti come regista indipendente, Sean Baker si consacra finalmente uno degli autori più interessanti del panorama mondiale: vince la palma d'oro a Cannes e dà una lezione alla Hollywood più “dipendente” fatta di grandi budget e poca sostanza. Baker se ne frega dei grandi nomi e rende star un’attrice indiscutibilmente talentuosa, con un volto esotico e poco rassicurante e un corpo indiscutibilmente sexy, anche se non da classico sex symbol. Grazie a Sean Baker a nome di tutte le donne e di tutte le Maddalene del mondo per essere un artista che ci mostra che i grandi film iniziano quando si esce dal cinema. E questo film non si dimentica. Ti resta dentro per sempre, come un amore impossibile. D’altronde gli amori impossibili sono quelli che non finiscono mai.