Per qualsiasi mestiere è consigliabile tenere separati lavoro e vita familiare, creare due spazi impermeabili l’uno all’altro. Per chi vive di arte, invece, la separazione è impossibile. Anzi, la vita e la creazione devono parlarsi. Ne va della sincerità della propria opera. Eterno visionario di Michele Placido mette in scena la vita di Luigi Pirandello dal 1918 fino alla morte. Lo fa entrando in casa della famiglia siciliana, non risparmiando l’autore teatrale rispetto ai suoi difetti come padre e marito. Con sincerità, appunto. La famiglia imperfetta, disfunzionale, come fonte d’ispirazione del testo teatrale. Il Pirandello interpretato da Fabrizio Bentivoglio è visionario nel senso più febbrile del termine: la sua mente annebbiata da fantasmi, sensi di colpa, ipotesi. Va detto che il genio è anche altro, non solo ossessione. Ma Placido preferisce tenere alta la tensione in ogni scena, rendere drammatica ogni relazione: quella con la moglie Antonietta Portulano, interpretata da Valeria Bruni Tedeschi - la seconda prova “folle” dopo quella in Te l’avevo detto di Ginevra Elkann; con i figli, succubi dell’ingombrante padre; con Marta Abba, l’attrice che ha risvegliato Pirandello “come artista e come uomo”. Un viaggio nella biografia dell’autore siciliano simbolicamente rappresentato dal treno che lo porterà a Stoccolma a ritirare il premio Nobel del 1934. Percorso in crescendo, almeno nelle intenzioni, come rivelato da Federica Luna Vincenti, produttrice e interprete di Abba, e dallo stesso Placido prima della proiezione al cinema Odeon di Bologna. La tensione, più che crescere, sembra invece costante.
Fabrizio Bentivoglio rimane di alto livello, pur rinunciando al trasformismo a cui ultimamente siamo abituati: al di là dell’aspetto, evita persino di calarsi nel dialetto siciliano. Michele Placido si tiene in disparte nel personaggio di Saul Colin, l’agente letterario. Eppure, il regista racconta di come nella sua carriera abbia frequentato costantemente l’opera pirandelliana. Dagli esordi fino a oggi, che di anni ne ha settanta. Un’identificazione quasi, specie nella questione familiare: possono i figli del grande attore uscire dal cono d’ombra? Quasi a voler prendere di petto la problematica, nel cast c’è anche Michelangelo Placido. Insomma, Eterno visionario è un film che intende in maniera letterale la visionarietà estrema di Pirandello, la sincerità del rapporto tra nucleo familiare e produzione artistica, la biografia del regista. Chissà cosa sarebbe successo se, come ammesso ancora da Luna Vincenti, al suo posto ci fosse stata Miriam Leone, prima che quest’ultima rimanesse incinta. E chissà se Eterno visionario nei prossimi weekend recupererà terreno al box office, data la partenza lenta. Nella prima settimana è stato solo il decimo titolo più visto, complice anche una concorrenza terribile: su tutti Terrifier 3, Parthenope e Venom: the last dance. E ora arriva anche Il gladiatore 2 in sala. L’impegno di Michele Placido per la promozione è fuori discussione. Il passaparola, dicono, sta funzionando. Sta di fatto che quello che si vede non è il solito Pirandello, abusato nelle tesine di fine liceo. Stereotipato o sincero, a seconda dell’interpretazione, Eterno visionario è un ritratto originale di un genio febbrile che prima, forse, in pochi conoscevano.