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Tutte le bombe di Gabriele Muccino al Bsmt di Gazzoli: Will Smith e lo stipendio tagliato, lo schiaffo agli Oscar, la gaffe con Al Pacino, la svolta di Netflix e il film “Fino alla fine”

  • di Domenico Agrizzi Domenico Agrizzi

31 ottobre 2024

Tutte le bombe di Gabriele Muccino al Bsmt di Gazzoli: Will Smith e lo stipendio tagliato, lo schiaffo agli Oscar, la gaffe con Al Pacino, la svolta di Netflix e il film “Fino alla fine”
Ma cosa ha detto Gabriele Muccino al Basement di Gianluca Gazzoli? I ricordi dei set fallimentari, i successi con Will Smith (“Si tagliò il salario per ‘La ricerca della felicità’”), il parere sullo schiaffo a Chris Rock alla notte degli Oscar (“Un grande dolore”). Ma c’è di più. C’è persino Al Pacino di mezzo: la colpa fu della sua conoscenza “da turista” dell’inglese e di Penelope Cruz. Il regista ha anche spiegato il punto di svolta per Netflix e le serie: “Grazie a Kevin Spacey e ‘House of Cards’”. E il suo ultimo film, “Fino alla fine”, è un unicum nella storia del cinema per una ragione…

di Domenico Agrizzi Domenico Agrizzi

Gabriele Muccino non è solo il regista de L’ultimo bacio. La sua storia è molto più lunga, parte da più lontano, è attraversata da difficoltà. Come la vita di tutti del resto. Ora è al cinema con Fino alla fine, che ha presentato in anteprima alla Festa del cinema di Roma. E nel frattempo ha deciso di raccontarsi al Basement di Gianluca Gazzoli. Ha parlato delle delusioni sul set di Quello che so sull’amore, con Gerald Butler, in cui era stato ridotto a “regista ‘al soldo’” da produttori che volevano avere l’ultima parola sulle scelte registiche: “Questo succede nei film Marvel, dove chi mette i soldi ha una visione che il regista deve realizzare. È un contenuto finalizzato a vendere il loro prodotto, non il mio”. A livello internazionale la svolta è arrivata grazie a La ricerca della felicità e alla collaborazione con Will Smith. Tra l’altro fu proprio l’attore a parlare di Muccino in un’intervista al Corriere della sera: in quel momento il regista capì che sarebbe stato possibile averlo nel cast. La sceneggiatura era già pronta, si dovevano solo convincere i produttori. E Smith era già molto potente a Hollywood: “Veniva da sei film che avevano guadagnato oltre 100milioni di dollari solo negli Stati Uniti”. Insomma, La ricerca della felicità si fece. L’obiettivo, più che i soldi, erano gli Oscar (“Doveva essere un film da Academy”), a cui Smith puntava dopo i successi commerciali: “Si tagliò il salario per prendere parte al progetto. La cifra era comunque pari al budget di un mio film grosso in Italia…”. I due lavorarono insieme anche a 7 anime, altro film drammatico. E fu grazie a Muccino che Jaden Smith, il figlio di Will, cominciò la carriera di attore. Anni dopo, racconta ancora il regista, disse “no” a una produzione di cui ancora si pente e in cui proprio Jaden era protagonista: “Rinunciai a Karate Kid per stare con i miei figli”. Ammette di “aver fatto una caz*ata”, anche se in quel periodo stava nascendo sua figlia e le riprese lo avrebbero costretto lontano da casa, a Shangai, per un anno. Troppo tempo.

Will Smith e Gabriele Muccino
Will Smith e Gabriele Muccino
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Poi arriva la domanda sullo schiaffo di Smith a Chris Rock durante la notte degli Oscar: “Fu un grande dolore. Lui da anni era infelice con la moglie, sapevo che c’erano stati degli attriti tra lei e Rock. Quando l’ho visto alzarsi ho pensato: ‘Sta giocando’, perché Will non perde mai il controllo. Non come Russell Crowe, per esempio”. Smith non era lì in quel momento, spiega Muccino: “Era tra le strade di Philadelphia”. Peraltro, quell’anno la statuetta era nell’aria grazie alla sua prova in King Richard: “Si sentiva come il faraone, pensava fosse la sua serata: è lì che perdi il controllo”. E a Hollywood le carriere finiscono per molto meno. Sono molti i grandi con cui Muccino ha avuto a che fare nel corso della sua carriera. Tra questi anche Al Pacino: “Lo incontro per fare un film, L’animale morente, tratto da un libro di Philip Roth”. Per il ruolo femminile tra le papabili c’erano Penelope Cruz e Rosario Dawson. Se Il regista optava per la seconda, Al Pacino voleva a tutti i costi la prima: “Per lui è una dea. Però era troppo piccola per il film. Sarebbe stato come l’orco che si mangia la piccola creatura”. Seguì un incontro per decidere il futuro del progetto. “Il problema era anche la mia conoscenza dell’inglese: lo parlavo come un turista. Al Pacino mi convoca a New York a casa sua e mi chiede: ‘Sai cosa sono le nuances?’. Io bluffo e gli dico di sì”, poi però “ammetto di non saperlo”. Il tutto accaduto durante una partita di scacchi tra Pacino e un suo amico: “Capii che dovevo andarmene”.

Netflix è oggi così potente grazie soprattutto alle serie. Ma quando c’è stato il vero punto di svolta? “Quando Kevin Spacey ha deciso di fare House of cards. Questa cosa fece girare il tavolo”. Fino a quel momento, infatti, gli attori di prima fascia non avevano mai fatto delle serie. Da lì in poi, il pubblico “educated” si spostò dalla sala alle piattaforme. Tra le ragioni della crisi di Hollywood c’è anche questo: “Si buttarono sui reboot e sui remake”, specie per film Marvel o franchising come Star Wars. Il Covid fece il resto. E del suo ultimo film cosa ha detto? “Nessuno nella storia, ho controllato, ha mai fatto quello che abbiamo fatto noi in Fino alla fine”. Infatti, ogni scena del film è stata girata due volte: una in italiano e l’altra in inglese. Insomma, dalla vita al cinema e di nuovo dal cinema alla vita. Un intreccio inestricabile: e questo vale anche per Gabriele Muccino.

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