Quando Marlon Brando entrava in una stanza capiva immediatamente chi lo odiava e chi no. I primi, però, non li mollava finché non avevano cambiato idea. È lo stesso attore a ricordarlo nella sua autobiografia. Luca Barbareschi si sente affine a questo atteggiamento, come ha ammesso a Dicono di te, podcast di Malcom Pagani: “Io vivo una solitudine di un uomo fragilissimo, che però, come tutti i cani bastonati, è abituato ad attraversare il deserto con un litro d'acqua. E se uno mi toglie l'acqua gli stacco un braccio, ma perché devo sopravvivere, non perché sono cattivo”. Barbareschi, questo è certo, non ha paura di dire quello che pensa. Rispetto al politicamente corretto, alla televisione, al mondo dello spettacolo di cui è parte da tanti anni. E parte di questa sua energia è stata incanalata in The Penitent, il suo ultimo film scritto da David Mamet. Nella conversazione con Pagani tira fuori alcune storie del passato che lo hanno segnato. “Alla Mostra del cinema di Venezia (quarantatreesima edizione, ndr) la sera prima delle premiazioni ci avevano chiamato per dirci che avevamo vinto con Romance”. E Walter Chiari, protagonista del film di Massimo Mazzucco, avrebbe dovuto vincere la Coppa Volpi come miglior attore. Le cose, però, andarono diversamente: “Pupi Avati fece intervenire Ciriaco De Mita, tolsero il premio a Walter e lo diedero a Carlo Delle Piane (nel cast di Regalo di Natale di Pupi Avati, ndr), che stava a Walter come un nano a un gigante. Tanti fotografi non fecero le foto e Pupi Avati fece un film sullo scandalo dei festival (Festival appunto, ndr) con Massimo Boldi, che era vergognoso perché forse c'era il suo senso di colpa suo. Walter c'è morto di quella roba lì, infatti non potrò mai perdonare Pupi per questo”. Una vita, quella di Chiari, che era già stata segnata dallo scandalo del 1970 legato allo spaccio (accusa da cui venne prosciolto) e al consumo di cocaina, che gli costò 98 giorni di carcere. Anche Lelio Luttazzi fu coinvolto. Ma Barbareschi ha altro da dire.
“Il mondo dello spettacolo è terribile. Io sto lavorando con un Radu Mihaileanu, di cui Roberto Benigni è terrorizzato perché ogni volta che Radu lo incontra dice che gli ha rubato Train De Vie”, prosegue Barbareschi. Insomma, l’idea de La vita è bella non sarebbe venuta dal comico toscano, bensì grazie a un furto ai danni di un altro regista: “Io appena posso lo dico. Perché rubare l'idea a un altro artista è un delitto imperdonabile”. Benigni, com’è noto, vincerà tre premi Oscar. “Quando l'abbiamo visto eravamo io, Steven Spielberg e David Mamet a New York. E Mamet si è alzato e ha detto: ‘Questo è Shoah Business’”. Un film, quindi, che a dire del drammaturgo e di Barbareschi è stato fatto in maniera furba, sfruttando un tema pesante per ottenere riconoscimenti.