“L’isola degli idealisti”, è il film di Elisabetta Sgarbi, presentato in concorso alla Festival del cinema di Roma. O forse sarebbe più corretto aggiungere che si tratti di un dono che Elisabetta fa, porge a sé stessa, al suo cosmodromo espressivo interiore. Letterario e insieme cinematografico. Il film giunge sullo schermo dal romanzo omonimo di Giorgio Scerbanenco, sebbene liberamente, doverosamente riscritto, trasfigurato. Straordinario narratore, Scerbanenco, d'abitudine, abbiamo modo d’associarlo, non meno per definizione, alle più lucenti e notturne pagine della narrativa “poliziesca” nazionale: “I ragazzi del massacro”, “Milano calibro 9”, “La mala ordina”, “Venere Privata”, e forse, ancor di più, al memorabile “Traditori di tutti”. Nell’araldica del “noir” italiano, il profilo di Duca Lamberti, paradigma d’ogni investigatore dolente autoctono, siede altrettanto idealmente al centro del palco reale del Teatro alla Scala. Pochi passi ed è già Brera, il suo Bar “Jamaica”, e ancora la memoria non meno evidente di “La vita agra” di Luciano Bianciardi… Scerbanenco, storia nota, è stato altrettanto narratore “rosa” per dovere lavorativo, protagonista dell’editoria cosiddetta, almeno un tempo, “femminile”. Non sembri una notazione fuori tema e luogo eppure, pensando proprio alla cifra più segreta, interiore, misterica del film di Elisabetta Sgarbi, sarà altrettanto il caso di ricordare il battesimo di un celebre settimanale di moda che si deve alla duttilità immaginativa di Dino Buzzati. C’è quasi da immaginare l’autore del “Deserto dei tartari” tirare fuori dalla severa, “borghese” lobbia nera il titolo esatto: “Io lo chiamerei ‘Amica’, proprio così”. Buzzati, è il caso di dirlo, non meno di Scerbanenco, presidia l’intero edificio narrativo “atmosferico” del lavoro scritto da Elisabetta Sgarbi insieme a Eugenio Lio. Il romanzo inedito di Scerbanenco, dato non secondario, è stato riportato alla luce proprio da La nave di Teseo, realtà editoriale che si deve, storia altrettanto nota, proprio a Betty Wrong, così Elisabetta sulle pagine social. Nel cast, accanto a uno straordinario, totemico Renato Carpentieri, Michela Cescon, Tommaso Ragno, Elena Radonicich, Renato De Simone, Antonio Rezza e Chiara Caselli.
Un’isola, irrelata, che rende impossibile intuire per intero il mondo conosciuto intorno, i suoi margini reali, tra le parentesi atmosferiche della nebbia; soltanto le divise degli agenti di pubblica sicurezza di un racconto da questura periferica a restituire un possibile tempo storico, il medesimo che in ogni posto di polizia mostrava alle pareti l’icona dell’agente che srotolava il cartiglio del bando d’arruolamento, feticcio presente in ogni film “poliziottesco”, presumibilmente gli anni Sessanta, e ancora il telefono modello “bigrigio” accostato alla scrivania del commissario, forse la stessa nebbia che nel dicembre del 1969 faceva presidio immateriale di sé in Piazza Duomo durante i funerali delle vittime di Piazza Fontana, o magari la stessa nebbia che rende spettrale “L’isola dei morti” di Arnold Böcklin, e, su tutto, una famiglia, padre, figlio figlia e personale di servizio, chiusi in sé come un’unica monade, così fino a quando non farà irruzione nel loro quotidiano una giovane coppia, lui e lei, forse amanti, sicuramente ladri in fuga da un pericolo che rimanda al mondo criminale, e qui Scerbanenco balugina sullo sfondo, sebbene sempre come un puntino minuscolo, tra gli arredi di un bar della mala, forse milanese, di quei giorni. Eppure, su tutto, se è concessa una sensazione impalpabile, il film di Elisabetta Sgarbi porta in sé la stessa atmosfera che lascia intravedere il Diabolik delle sorelle Giussani, anzi, non sembri un paradosso “L’isola degli idealisti” è proprio un Diabolik introspettivo, e in questo senso rende onore alla singolarità coraggiosamente espressiva interiore di Elisabetta Sgarbi, al suo intento poetico dove il gotico, semmai è esistito un gotico milanese, o forse ferrarese, che fa altrettanto intuire un’ideale palude di Comacchio, rende possibile un racconto cui nessuno si accosterebbe dal punto di vista della narrazione cinematografica per assenza appunto di coraggio. A dispetto degli autori, degli scrittori, per definizione “vampiri energetici”, con questo film Elisabetta Sgarbi mette se stessa in primo piano sull’ideale pagina dello schermo, dicendo ecco una ipotesi di mondo che desidero restituire, questo è ciò che voglio raccontare, fatevi sommozzatori del profondo e dell’inconoscibile, venite a visitare il fondale della mia poetica. Ecco, l’idea di un fondale abissale è proprio la cifra più esatta per restituire il senso del suo film. Accanto a Scerbanenco e all’apparentemente impropria citazione di Diabolik e ancora di Buzzati, ciò che appare in tutta la sua filigrana è la scelta di Elisabetta Sgarbi d’essere sé stessi, restituire il proprio mondo, essere Elisabetta Sgarbi, doveroso dono al proprio giacimento interiore.