Quando questa estate è venuto a Bologna per il festival di Repubblica, Bernard-Henri Levy ha parlato di una “solitudine di Israele”, la stessa che dà il titolo al suo ultimo libro pubblicato da La Nave di Teseo. Come sempre con Levy, tranne i primi saggi puramente filosofici (su tutti La barbarie dal volto umano), non si tratta di guardare solo ai concetti, ma alla forza con cui BHL li difende. E questa forza fa paura, nonostante si tenda a credere che un filosofo ricchissimo con alle spalle decenni di successo e pubblicazioni non possa ancora stupire. Invece lo fa, a tal punto che, come riporta The Free Press, una rivista specializzata per addetti ai lavori nel settore dell’editoria e dei circuiti librai, Shelf Awareness, si è rifiutata di pubblicare l’annuncio del libro di BHL per paura che il termine “Israele” nel titolo potesse creare malumori o attirare critiche e polemiche. Tanta la paura, quando si tratta di difendere Israele, che la sinistra ha lasciato questo infausto compito a pochi esponenti, come BHL, preferendo virare su tutt’altra sinistra fazione, quella di Jean-Luc Mélenchon o di Jeremy Corbyn (in Italia rappresentata da Giuseppe Conte). A loro e alla destra, chi ipocritamente e chi, invece, con forza e convinzione, come fa da anni Douglas Murray, definito per questo una sorta di etnonazionalista islamofobo. BHL, però, è famoso anche per aver criticato La rabbia e l’orgoglio di Oriana Fallaci, definito una sorta di Bagatella per un massacro antiarabo (il famoso pamphlet antisemita di Céline) ma scritto con meno talento. E certo non potranno definirsi pericolosi esponenti dell’alt-right Martin Amis o, per rimanere in Italia, Pierluigi Battista. E tuttavia viene visto, ormai, come un filosofo del genocidio, un nazista senza Patria, un nomade milionario che andrebbe ostracizzato (in Italia si criticano i suoi reportage e le sue interviste).
Levy è sicuramente un filosofo schierato e un pessimo giornalista, che taglia con la retorica cronache sommarie e statistiche mal comprese. E tuttavia resta un problema in sé, in Occidente, per via della veemenza con cui – e ormai sono pochi – da sinistra continua a sostenere l’Occidente contro un abisso che vede alleati, per esempio, Russia e i paesi arabi in guerra con Israele. Lo fa a modo suo, con una camicia bianca fatta su misura e con eruditi j’accuse che nulla hanno a che vedere con la prima produzione del nuovo filosofo, ormai non più tanto nuovo. Certo è l’intellettuale che meritiamo, un tempo grande e oggi tragico, poiché, a partire dai capelli folti e i modi di fare, l’esperienza estetica, nei suoi libri come nei suoi convegni ha la meglio su tutto il resto. Lo odiano perché è quel tipo di occidentale ricco (“l’elite c’est moi” titolava tempo fa Il Venerdì) contro cui siamo in lotta. Non tanto Israele o l’Ucraina, ma noi stessi, nella più grande operazione suicidaria di delegittimazione umana e storica. L’Occidente è il male, Israele non sarà da meno. I filosofi che difendono l’Occidente, dei nuovi fascisti. BHL è il riflesso dei tempi, solo in Europa a parlare così, senza voler sentir ragioni. Come fanno gli attivisti filopalestinesi, quando non dormono nelle tende fuori dalle università. In altre parole, BHL è l’unica risposta sensata all’insensatezza antisraeliana e antisemita. È il “senza se e senza ma” che restituisce istintività a chi difende Israele. Una lezione di filosofia pratica, forse goffa (ma già lo aveva dimostrato con un altro pamphlet, quello sulla pandemia da Covid-19), che fa rimpiangere i tempi che furono (quando le liti erano tra lui – e il grandissimo André Glucksmann – e Gilles Deleuze) ma ci ricorda dove siamo arrivati. Occidentali che vorrebbero vedere l’Occidente sprofondare in nome di un trend (perché non illudetevi che vi siano, nelle piazze pro-Pal, solo colti esperti di storia del Medio Oriente; i più non sanno nulla). Solitudine di Israele, dunque, come solitudine dell’Occidente. E di quelli come BHL, romantici personaggi ormai fin troppo stilizzati, un po’ buffi, ma necessari.