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La zattera

Un anno dal 7 ottobre e dall’attacco di Hamas contro Israele: l’odio contro gli ebrei, le accuse di genocidio e una verità che non volete sentire

Riccardo Canaletti

7 ottobre 2024

È passato un anno dal più grave pogrom ebraico dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Israele ha reagito con forza e, secondo alcuni, eccessivamente, ma le ragioni di Israele sono complesse e hanno a che fare con il cosiddetto “rischio esistenziale”: se Israele non si difende, nessuno lo difenderà e verrà cancellato (è questa la “solitudine di Israele” di cui parla il filosofo Bernard-Henri Lévy). Intanto noi, che dovremmo capire più di tutti l’unica democrazia del Medio Oriente, continuiamo ad alimentare l’odio antiebraico. Ecco, dopo tutto questo tempo, una verità che non vogliamo sentir dire

di Riccardo Canaletti Riccardo Canaletti

Quest’immagine ovviamente non c’entra nulla con quanto sta accadendo in Medio Oriente tra Israele, Hamas e Hezbollah (Libano). È stata una pura associazione di idee. Mentre pensavo a questo articolo ho visto l’ultimo post della pagina ufficiale dell’Aushwitz Memorial. Si tratta della rampa ferroviaria che portava a Aushwitz II-Birkenau, costruita nel 1944, poco prima della deportazione degli ebrei ungheresi a maggio dello stesso anno. Mi sembra che la foto sappia dirci più di quel che accade a Gaza e in Libano di quanto non sappiano fare alcuni analisti e certi giornali. Alla fine c’è una verità scomoda che non riusciamo a pronunciare, ma i nuovi attacchi in Libano la dimostrano in modo incontrovertibile. La verità è che odiate Israele perché sa difendersi.

Pensiamoci. Per un anno si è detto che i bombardamenti a tappeto di Israele su Gaza erano un genocidio. La notizia dell’evacuazione del nord di Gaza è stata usata come critica verso Israele, quando l’evacuazione era seguita invece agli avvertimenti israeliani di evacuare quelle zone. Non si è mai tenuto conto del fatto che i militanti di Hamas si stessero nascondendo tra i civili, senza indossare uniformi e senza dare nell’occhio (come i terroristi di Hezbollah che sono stati uccisi e feriti dai loro cercapersone; ma ci arriviamo dopo).

La rampa ferroviaria che portava a Aushwitz II-Birkenau (1944)
La rampa ferroviaria che portava a Aushwitz II-Birkenau (1944)
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Ci siamo subito fidati delle stime dei ministeri palestinesi gestiti da Hamas, che ora danno come numero ufficiale circa 41 mila morti, ma non ci siamo mai chiesti se questo numero facesse differenze tra civili morti e soldati. Non ci siamo neanche mai fidati delle stime di Israele, nonostante Israele stesso concordasse, leggermente al ribasso, con i numeri dati da Hamas. Bene, nessuno si sta chiedendo quanti terroristi di Hamas siano morti. A maggio Hamas aveva dichiarato di aver perso tra i 6.000 e gli 8.000 combattenti, mentre Netanyahu parlava di 14 mila su circa 30 mila morti totali. Ora l’Idf ha dichiarato di essere in possesso di una corrispondenza tra i capi di Hamas in cui si direbbe che i combattenti morti potrebbero essere 17 mila su 41 mila vittime. Hamas non ha né confermato né smentito la stima.

Volendo essere davvero scettici sui numeri della democrazia israeliana e fidandoci solo di quelli forniti dal gruppo terroristico Hamas, potremmo anche confrontare il numero morti totali attuale e il numero di combattenti morti a maggio, quattro mesi fa. Sul totale dei morti, il 19,51% sono combattenti. Questo vuol dire che l’80,48% delle vittime sono civili. Questo numero, per un conflitto in un’area urbana com’è Gaza, è più basso della media di tutti i precedenti conflitti secondo le Nazioni Unite.

Gli studi mostrano infatti come, nel caso di conflitti urbani, il numero di civili uccisi sia circa il 90% del totale (o 89%), una percentuale otto volte superiore a quella nei conflitti non urbani. Poniamo che ci siano più morti di quelli dichiarati e che la percentuale di combattenti di Hamas uccisi sia rimasta – miracolosamente per Hamas – invariata negli ultimi quattro mesi. Potremmo arrivare al 90%? Forse, in linea con tutti gli altri conflitti urbani registrati. Sono stati tutti genocidi?  

conflitto israelo-palestinese

Passiamo al caso del Libano. Per un anno Hezbollah, il gruppo terroristico nato con il dichiarato obiettivo di cancellare lo Stato di Israele, autore di svariati attentati fin dalla sua nascita (basti pensare al 1983, in Libano contro un contingente francese e nel Kuwait, poi nel 1985, un ristorante di Madrid, e nel 1986, tredici attentati in vari centri commerciali francesi), ha lanciato missili contro Israele. Per un anno ha fallito, pur costringendo circa 60 mila persona a evacuare dal nord dello Stato. A luglio Hezbollah, che ha ovviamente negato (rivendicando però altri sette attacchi), ha ucciso 12 bambini in un campetto da calcio in Golan con un razzo.

A settembre Israele ha scelto di attaccare in modo specifico Hezbollah facendo esplodere i cercapersone che da febbraio di quest’anno erano in dotazione ai militanti del gruppo (che distrussero i telefoni per paura di essere intercettati da Israele; ironia della sorte). I cercapersone sono probabilmente stati prodotti da una fabbrica gestita da Israele e i servizi segreti avrebbero costruito una copertura in questi mesi per poter conquistare un vantaggio contro Hezbollah. L’attacco è andato a buon fine. Come si è detto, Hezbollah, al pari di Hamas, si nasconde tra la folla, per cui ci sono stati dei feriti di civili e una bambina di dieci anni è morta.

Sono partite le polemiche e molti attivisti e alcuni giornali hanno definito l’attacco di Israele un’azione terroristica, dimenticandosi chi fossero i destinatari dell’attacco, cioè dei veri terroristi. Alcuni hanno persino evitare di nominare Hezbollah, parlando di un attacco contro civili libanesi. Se prima non andavano bene i bombardamenti a tappeto su Gaza, ora non vanno bene gli attacchi mirati. Come attacca, Israele sbaglia. Non c’è via d’uscita per lui. Ora il Libano sta assistendo a uno degli esodi più importanti della storia recente del Paese e ovviamente la colpa non può che essere dei bombardamenti di Israele contro le città.

conflitto Israele Libano

Quali bombardamenti? Leggendo i giornali sembrerebbe si tratti dell’ennesimo attacco arbitrario di Israele. Ma non solo per un anno Israele ha fermato i missili che arrivavano dal Libano (dall’8 ottobre, a poche ore di distanza dall’attacco terroristico di Hamas), anche dopo l’attacco mirato contro Hezbollah ha dovuto fermare razzi diretti contro le città israeliane, tra cui Tel Aviv. La verità è che, in fondo, Israele è costantemente minacciato ma abbastanza preparato per difendersi. I suoi nemici, invece, adoperano strategie di difesa più sanguinarie (per esempio confondersi tra la gente, o abbandonare i civili mentre ci si nasconde in strutture sanitarie o in gallerie sotterranee). Quando poi attacca, Israele, che non sembra ferito, viene accusato di essere il bullo, non il ragazzo che ha imparato la difesa personale.

Poi la manifestazione del 5 ottobre. Con o senza i disordini con la polizia (provocati, indotti, inscenati, quel che volete), il problema è capire cosa alimenta queste manifestazioni. Intanto la necessità di contrapporsi al 7 ottobre come giorno di tributo alle vittime israeliane di un attacco terroristico. Primo segno di antisemitismo. Secondo sintomo: una delle pagine più seguite in Italia sul conflitto è quella dei giovani palestinesi, 128 mila follower, tra cui i santoni dell’informazione filopalestinese (Kharem from Haifa, Carlotta Vagnoli, Flavia Carlini). E un post recente in occasione del 7 ottobre: ritorno dell’intifada, e si definisce il pogrom ebraico del 7 ottobre un “eroico attacco da parte della Resistenza palestinese”. Chi definisce eroico un attacco del genere (un tempo Franco Piperno, tra i riferimenti del ’68 insieme a Toni Negri e altri, definì eroico l’attacco dalle Torri gemelle dell’11 settembre, per intenderci), vuol dire che non ha in odio le morti provocate da Israele, ma Israele stesso, ben prima della risposta di Israele a Gaza.

Israele sa difendersi e per questo viene odiato. Ci sarebbero molte critiche da fare al governo di Netanyahu, ma la maggior parte della gente ha scelto di recuperare i discorsi antisemiti che si facevano in Unione Sovietica. Israele è stato fin da subito solo, come ha notato – forse con troppa enfasi e retorica – Bernard-Henri Lévy nel suo ultimo pamphlet, Solitudine di Israele. E questa solitudine è anche la solitudine della ragione, mentre il “fascismo liberal”  si unisce al fascismo islamico.

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