L’attacco di Israele alla base della missione Unifil (United Nations Interim Force in Lebanon) è stato condannato con forza dal governo italiano, in particolare dalla premier Giorgia Meloni (che ha parlato al telefono con Netanyahu) e dal ministro della Difesa Guido Crosetto. Tuttavia, nel corso degli ultimi giorni, quello che è emerso è più complesso di quanto è stato raccontato sui giornali e sui social, dove ci si limitava a evidenziare la presunta violazione del diritto internazionale da parte di Israele. Per capirlo ne abbiamo parlato con Mirko Campochiari, esperto di scenari bellici, storico di formazione e, dal 2019, su YouTube con il canale di informazione Parabellum. Dai nuovi fronti di guerra – necessari a Israele e, ancora di più, al governo – fino alla conta dei morti a Gaza, l’accusa di genocidio, il ruolo dell’Onu e lo strapotere di Hezbollah, proxy in Libano dell’Iran, più forte della maggior parte degli eserciti regolari dei Paesi arabi (e sicuramente più forte dell’esercito libanese, che con la missione Unifil avrebbe dovuto tenere a nord del fiume Leonte il gruppo terroristico).
L’Idf ha diffuso le immagini dei presunti tunnel costruiti accanto alle sedi dell’Unifil e, in modo indipendente, Douglas Murray ha fatto lo stesso sul New York Post proprio stamattina, recuperando quando aveva visto nel suo reportage in Medio Oriente. Quanto sono attendibili queste foto?
Abbastanza, anche perché sappiamo che c'è dell'ipocrisia nella missione stessa. La missione si dovrebbe occupare di mantenere l'area smilitarizzata, ma essenzialmente negli ultimi vent'anni non è stato così. Era qui anche per aiutare le forze ufficiali libanesi che però non hanno praticamente alcun potere. Posso parlare per testimonianza diretta, dato che ho parlato con alcuni militari della Folgore che mi dicono che essenzialmente quando Hezbollah va in giro, i soldati della missione sono costretti praticamente a rimanere nella base. Quindi capisco che da una parte gli israeliani ritengano la missione inutile, perché negli ultimi vent'anni da quei territori Hezbollah ha lanciato continuamente dei razzi verso Israele. Dall'altra parte è ovvio che Hezbollah abbia beneficiato di questa situazione, perché ha cercato di costruire installazioni molto vicine alle basi della missione in modo da mettere in una situazione di imbarazzo sia la missione stessa sia gli israeliani; questo è il gioco che si fa in quella parte del mondo. Gli israeliani sono giunti alla conclusione che la missione non ha portato avanti i suoi compiti.
E quindi vogliono trovare il modo di mandarli via.
Sì, un po' anche perché sicuramente non vogliono testimoni, è ovvio, visto che hanno distrutto le telecamere, hanno invaso alcune basi con i carri armati, creando non pochi problemi. Su questo Netanyahu è stato chiaro: andatevene, né più né meno. Credo voglia semplicemente risolvere questa situazione mentre l’Unifil e missioni del genere non riescono a portare a termine il loro vero scopo, cioè mantenere l'area smilitarizzata, un po' perché ogni governo ha paura di entrare in un conflitto diretto con Hezbollah, un po' perché non ci sono le capacità; non saranno 10 mila militari di vari Paesi a sconfiggere Hezbollah.
Possibile che l’Onu non stia facendo niente di concreto?
È una di quelle situazioni in cui l'Occidente cerca di metterci una pezza ma lo fa a metà. Il problema è nella premessa. In teoria l’Unifil avrebbe dovuto aiutare il governo libanese, ma il governo libanese non ha praticamente alcuna forza, soprattutto militare, per imporsi rispetto a Hezbollah; quindi tu vai per supportare qualcuno che quasi non esiste.
Netanyahu ha anche dichiarato di aver avvertito la base in più di un'occasione chiedendo un'evacuazione immediata da quella zona sensibile. L'ONU si è rifiutata.
C’è un imbarazzo in Occidente per quello che stanno facendo gli israeliani. Da una parte sono nostri alleati e dall'altra chiaramente si stanno comportando in un modo che non viene tollerato. C'è tutto un ragionamento sul diritto internazionale per quanto riguarda l'uso della forza in proporzione e questo fa molto pensare. Consideriamo che Hezbollah aveva fatto circa 1800 attacchi a Israele nell'ultimo anno e Israele aveva risposto con 8000 attacchi, per dare un'idea. Quindi c'è una sproporzione di forze. C'è anche un discorso più largo, ovviamente, il fatto che Hezbollah viene finanziata dall'Iran e che agisce come suo proxy. C’è anche un altro aspetto. Le missioni manu militari devono avere sempre un obiettivo, cioè cosa si vuole ottenere con lo strumento bellico. Questo non è mai stato con gli israeliani. L’uso di un esercito per combattere i terroristi non ha mai funzionato nella storia e quindi l'unico paradigma in cui Netanyahu si ritrova è quello della continuazione della guerra. Se un fronte si chiude o quasi – come a Gaza – allora se ne apre un altro per avere una continuità. Questo è un modo per continuare la sua politica e non creare crisi di governo (nessuno, in un momento di guerra come questo, proverebbe a far crollare il governo; verrebbe considerato un traditore).
L’attacco all’Unifil avrà conseguenze anche a livello di immagine?
Sicuramente. Chiedere all'Onu di andarsene, soprattutto cercando di minacciarlo con la forza, è una violazione del diritto internazionale. Quindi non si dovrebbe fare. E poi Israele va a minare ancora di più la sua precaria posizione internazionale, inimicandosi gli alleati.
A proposito dell'Onu, molti hanno fatto notare che negli ultimi anni sarebbero state votate più risoluzioni contro Israele che contro tutti gli altri Paesi del mondo messi insieme. Non crede che l'Onu in qualche modo abbia un problema di credibilità?
Assolutamente sì, credo che l'Onu somigli storicamente alla Società delle Nazioni. Sta diventando un'entità essenzialmente inutile, senza alcun potere risolutorio. Le risoluzioni Onu che Israele ha ignorato sono moltissime. Quindi, vista la situazione degli ultimi vent'anni, anche per colpa dell'Occidente ovviamente, l’Onu non ha praticamente più capacità di intermediare. Sembra che viviamo in un'epoca di caos della politica internazionale in cui ogni Paese persegue le sue proprie politiche nonostante gli attriti internazionali. Poi grandi Paesi sono ancora esclusi e c'è una parte del mondo che si sente al di fuori di questo sistema, che è un sistema occidentale. Bisognerebbe integrare almeno i Paesi maggiori, l'Argentina, il Brasile, l'India, in modo che non sembri semplicemente una spartizione di potere fra ex potenze della Guerra Fredda. Faccio un esempio. C'è stato il paradosso della presidenza russa durante la guerra d'invasione russa. I russi potevano porre il vero sulle mozioni contro se stessi. Queste sono delle aberrazioni, ovviamente. La Guerra Fredda è finita ma ci ha lasciato un'eredità scossa.
C'è un altro dato che è molto discusso, il civilian causality rate. Nei conflitti urbani, secondo l’Onu, è di 9:1, muoiono nove civili ogni soldato ucciso. In Israele, stando alle cifre fornite addirittura da Hamas, questa proporzione sembra decisamente ridimensionata, dal momento che almeno il 20% dei morti sarebbero miliziani di Hamas. Tuttavia si parla di genocidio. Lei che ne pensa?
No, che genocidio. Usiamo parole che hanno un peso in modo improprio. Il genocidio implica un reale intento di sterminio di un intero popolo per questioni religiose, etniche. Qua si cerca di combattere una milizia che si fa anche scudo della popolazione. C'è una parte che è connivente, c'è una parte che non lo è, perché non si può fare tutta l'erba a fascio. Ma è difficile distinguere tra miliziani e non. È complicato condurre una guerra in ambiente urbano, perché ciò che è civile può diventare militare e viceversa, proprio a partire dalla selezione dei bersagli. Se un ospedale viene utilizzato come deposito munizioni o per sparare colpi di artiglieria diventa un bersaglio e attaccarlo non viola il diritto internazionale. Il Paese che si difende paradossalmente ha anche una responsabilità in più, nel senso che dovrebbe evitare di utilizzare le sue strutture sensibili (come scuole e ospedali) per proteggersi. Il problema è che la densità urbana di Gaza è elevatissima: le bombe saranno anche intelligenti, ma le esplosioni no. Da un punto di vista del diritto internazionale hai il diritto di colpire un palazzo che si trova a venti metri da una scuola, ma la deflagrazione coinvolgerà inevitabilmente gli edifici intorno.
Quindi le morti civili sono un fatto drammatico di questo genere di guerre.
Per dare un'idea, nel conflitto in Ucraina dove i numeri sono ben più elevati, essenzialmente si affrontano due eserciti su una linea del fronte abbastanza definita e i morti civili sono molto contenuti (si parla di circa 25 mila morti, nonostante circa due milioni di persone coinvolte) Questo conflitto è molto relegato alla linea del fronte. A Gaza non c'è una linea del fronte. Tutto è estremamente mobile, quindi quello che era il fronte potrebbe non esserlo più la settimana dopo. In più, se una zona diventa un bersaglio non è detto che tutti abbiamo modo di ricevere la comunicazione di evacuazione in tempo ad esempio. Il danno che ne consegue dal punto di vista dell'immagine del Paese che attacca è quindi inevitabile.
Ma tutto questo non si poteva evitare?
Certo. Avrebbero potuto fare fin dall'inizio quello che hanno cominciato a fare dopo, cioè andare a pescare i singoli leader dell'organizzazione facendoli fuori con attacchi mirati ben prima di iniziare l'invasione. Questo avrebbe limitato moltissimo i danni. Però bisogna comunque considerare il fatto che l'organizzazione stessa, cioè Hamas, è talmente legata al governo di Gaza e alla popolazione, che si sta parlando quasi di un rapporto simbiotico. È difficile discernere il militante, anche perché non porta uniforme. Quello che ora non ha una cappa potrebbe prendere le armi ed entrare in un palazzo fra un’ora.
Per l’esercito è quindi impossibile distinguere civili e miliziani.
Esatto, in più l’Idf è composto principalmente da ragazzi di vent’anni. Noi vediamo colonnelli maggiore di ventidue, venticinque, ventisei anni. Quindi immaginiamoci anche la paura di questi soldati e l'adrenalina che non ti fa ragionare quando vai a combattere all'interno di un ambiente urbano, dove in ogni momento qualcuno può sbucare da una finestra e spararti addosso. È natura che, sì, ci si poteva pensare prima di iniziare le incursioni, però che succeda fa parte di questo tipo di guerra.