Le battaglie per la libertà non sempre colgono l’interesse dell’opinione pubblica. Esistono luoghi in cui si lotta quotidianamente, ma che non passano dai titoli del telegiornale. Capita che siano gli artisti a colmare questo vuoto informativo. È il caso di Insultati. Bielorussia, lo spettacolo diretto e interpretato da Caterina Shulha. Abbiamo intervistato l’attrice alla Festa del cinema di Roma in occasione della serata del 28 ottobre, quando arriverà al Teatro Golden: “La lotta contro la dittatura in Bielorussia è fatta di tante persone, ma è fatta soprattutto dai giovani”. Nella nostra parte di mondo, invece, capita che ci si dimentichi il valore del dissenso, delle piazze, della contestazione: “Più conosciamo le storie e i dolori degli altri più siamo spronati a combattere le nostre piccole battaglie”. E dunque diventano fondamentali gli artisti, il teatro, il cinema. Perché anche quando i notiziari smettono di parlarne, la lotta dei popoli non deve essere dimenticata. Caterina Shulha ci ha anche raccontato dell’incontro con la presidente Svetlana Tikhanovskaya, ci ha detto la sua sugli attori che decidono di prendere posizione e sulla guerra in Ucraina.
Caterina Shulha, in che modo questo progetto dà voce all’opposizione in Bielorussia?
La lotta contro la dittatura in Bielorussia è fatta di tante persone, ma è fatta soprattutto dai giovani che quattro anni fa hanno deciso di non voler più andare all'estero a cercare un futuro migliore ma hanno deciso che di costruirlo nel paese dove sono nati. Lì combattono contro l’oppressione tutti i giorni, anche adesso, seppur se non se ne parli più nei notiziari. Penso che siano un esempio molto importante per i giovani europei, che spesso dimenticano l'importanza delle libertà e il diritto di scendere in piazza. Noi ce lo abbiamo e dobbiamo usarlo per cambiare le cose, perché si può fare.
Hai conosciuto anche la presidente Svetlana Tikhanovskaya: quell'incontro come ha cambiato lo spettacolo?
Non so dirlo con precisione, ma di certo ha cambiato la mia prospettiva sulla vita. È stato un incontro molto emozionante, ma anche semplice, umano, familiare. Svetlana fino a quattro anni fa era una mamma, una moglie, una casalinga. Non c'entrava nulla con la politica. Ha scelto di candidarsi al posto di Sergei Tikhanovsky, suo marito, quando questo è stato imprigionato durante le elezioni, quindi ha iniziato la sua carriera politica ma non era assolutamente nei suoi programmi di vita. È un esempio molto forte per tutte le donne. Mi ha ringraziato, ma come ringrazia tutti i belorussi, anche quelli che vivono all'estero, perché noi, come dicevo, per fortuna abbiamo ancora la libertà di stampa, di parola. Porto un rispetto enorme per chi è rimasto in Bielorussia a scendere in piazza. Il rischio è quotidiano, perché ogni giorno vengono ancora incarcerate tantissime persone, dai giovani ai più anziani. Ci sono persone di 80 anni che si fanno un mese di carcere. Quello che possiamo fare è far conoscere la voce del popolo bielorusso.
L'arte si nutre anche di ciò che accade nel mondo. Il testo è del 2020, poi nel 2022 c'è stata l'invasione russa dell'Ucraina.
Quel momento mi ha fatto pensare a una cosa molto semplice: che accade tutto in un attimo. Quando sentiamo della nostra situazione mondiale e soprattutto di tutti gli orrori della guerra, pensiamo sempre che è una cosa che ci riguarda, ma forse neanche troppo. Non sta succedendo ancora in Italia, non la consideriamo così grave, ma in realtà sono cose che succedono a un'ora, due ore di volo da noi. La storia continua a ripetersi, va avanti e ci insegna che può toccare a noi in prima persona. Credo che progetti come Insultati. Bielorussia siano importanti per risvegliare le coscienze. Noi ci esibiremo in un teatro di 300 posti e io spero anche solo che 50 persone escano da lì e cambino la loro opinione, conoscono il popolo bielorusso, che non è quello che ci arriva dai giornali. Il popolo bielorusso oppresso da un dittatore, che è legato a un altro dittatore come Vladimir Putin.
Sarai regista, ma anche sul palco: un doppio ruolo pesante, soprattutto per un tema che ti tocca personalmente e che necessita grande responsabilità.
La regia non era nei miei piani, non era un'ambizione né un pensiero, perché penso di dover ancora fare molta esperienza come attrice. Però quando mi è arrivato questo progetto in italiano era già stato portato in più di 25 paesi nel mondo, tradotto in tantissime lingue. Secondo me ero la persona più adatta: sono arrivata in Italia a 12 anni e fino a quel momento avevo vissuto in Bielorussia. Sono metà bielorussa e metà italiana, mi è sembrato giusto, ma soprattutto doveroso, dare voce a questo progetto.
Ricollegandoci a quello che hai detto all'inizio: vedi un po' di apatia in questo senso in Italia?
Non apatia, forse stallo. Noi giovani non vediamo un sostegno da parte dei grandi, perché forse hanno smesso di crederci anche loro. È difficile risvegliarsi. Penso davvero che se si conoscono bene queste situazioni, come quelle della Bielorussia, le cose possano cambiare. Posso fare un esempio di un ragazzo che conosco, che stava indossando per caso dei pantaloni bianchi con strisce rosse che richiamano la bandiera dell'indipendenza, il simbolo delle proteste. Questo ragazzo è stato fermato per strada, trattenuto, interrogato e poi è stato dieci giorni in prigione. Per un paio di pantaloni. Più conosciamo le storie e i dolori degli altri più siamo spronati a combattere le nostre piccole battaglie, che sia una manifestazione in piazza il sabato o un cambiamento personale.
Un artista che sceglie di non esporsi lo fa per paura del suo pubblico o teme di avere delle ripercussioni sul proprio lavoro?
La società di oggi non si aggrega, quindi pensi di essere sempre da solo. Insultati Bielorussia è stato un progetto molto fortunato da questo punto di vista. Nato come un film e ora è a teatro. Quando ho chiamato i miei colleghi sul set questi potevano tranquillamente dirmi di no. Stiamo parlando di Luca Argentero, Ambra Angiolini, Stefano Fresi, Ivano De Matteo, Giacomo Ferrara, Carla Signoris: persone che non avevano nulla a che fare con la situazione politica bielorussa. Schierarsi non dico che non era importante, però magari non era interessante per loro. Eppure in un'ora o due ho ricevuto la conferma. Insomma, dobbiamo ricordarci che non siamo soli. E sicuramente il teatro può essere uno di quei luoghi in cui ce lo ricordiamo.
C’è stato un momento in cui hai detto: “D’accordo, questa volta è il mio momento di fare qualcosa come artista”?
Lo penso ogni giorno. Questa maglietta che ho addosso, “Free Belarus”, porta un logo che nasce proprio dal documentario. Mi è capitato una settimana fa di prendere un taxi e il tassista mi ha chiesto cosa fosse. Gli ho raccontato del progetto e alla fine verrà con sua moglie a vedere lo spettacolo. Bisogna credere che le persone si interessino. L'importante è non smettere mai di parlare.
Il tuo spettacolo ci parla del valore della libertà, ma anche del dissenso: hai un riferimento rispetto a questo tema?
Forse non ce n'è uno in particolare, però stimo molto i colleghi che non fanno un progetto solo per il cachet. Ne conosco molti che accettano di fare film piccoli e indipendenti, che magari raccontano una verità che nessuno conosce. Si fanno due mesi su un set assolutamente sottopagati perché credono in quella storia. Finché chi fa il nostro mestiere rimarrà con questa idea del lavoro, saremo sempre una voce fondamentale per le persone che ci vedono al cinema.