Abbiamo intervistato il regista Nicola Sorcinelli e i due protagonisti Romana Maggiora Vergano e Andrea Arcangeli per il corto La confessione nello spazio MOW durante la Festa del cinema di Roma. Al centro della storia, un amore che deve finire, a ogni costo e in qualsiasi luogo e tempo. Chissene frega del mondo, dell’Apocalisse. L’importante è che finisca. Romana Maggiora Vergano ci ha presentato Maddalena, una donna libera passionale e silenziosa, abbracciata dall’immensità che la travolge (che forse è Campo Imperatore stesso, luogo in cui sono state effettuate le riprese) mentre Andrea Arcangeli ci ha svelato cos’è per lui l’amore, come cambia nel tempo. E perché, secondo lui, anche quando una relazione si chiude, continua a vivere nel presente, ma sotto forme nuove. Ecco l'intervista al cast di La confessione, un corto capace di racchiudere dentro di sè, in una specie di grande bolla emotiva, due (ex?) amanti e isolarli dalla “fine del mondo” che li circonda.
Intervista a Nicola Sorcinelli
Nicola, sei qui ad Alice nella città per presentare La Confessione insieme a Romana Maggiora Vergano e Andrea Arcangeli. È la storia di due amanti che si confrontano con la propria relazione, ma ben presto qualcosa minaccerà loro stessi e l’intero mondo. Possiamo definirlo un cortometraggio di genere distopico?
Beh, no, non proprio. Qui la "fine del mondo" ha più significati. Dipende da quello che ciascuno di noi ha vissuto o sta vivendo adesso. Dico sempre che, in un modo o nell’altro, tutti abbiamo affrontato una separazione nella nostra vita, la fine di un amore. Che tu sia quello che lascia o quello che viene lasciato, c’è sempre quel gioco di forze. Si dice che la fine sia consensuale, ma in realtà c’è sempre qualcuno che prende quella decisione. E “La confessione” racconta proprio questo: la chiusura di una storia d’amore, il dolore che si prova o che si subisce, quel dolore che ti intrappola in una sorta di bolla. Una bolla che ti rende incapace di vedere o sentire altro, almeno in quel momento. La confessione parla di due giovani amanti, follemente innamorati, o almeno uno dei due lo era davvero. E il loro spazio, la loro bolla era così forte che riesce persino a isolarli dalla “fine del mondo” imminente che li circonda.
Perché aspettare la fine del mondo per fare i conti con il proprio amore?
È anche un’esperienza, diciamo, un po' personale. Non sto dicendo che parli di una mia storia d'amore, ma in fondo, chi più chi meno, ci siamo passati tutti in qualcosa del genere. Immagino questa ragazza che, per tanto tempo, ha custodito dentro di sé un segreto senza trovare mai il coraggio di confessarlo: che non è più innamorata, che vuole stare da sola. E l’arrivo della fine del mondo le dà un limite preciso, l’ultima occasione per dirlo. Può sembrare brutale, quasi egoista, farlo all’ultimo momento, a tre minuti dalla fine, ma è anche il suo modo di essere finalmente libera, di essere sincera con se stessa e con l'altro.
Dalle immagini che abbiamo visto i due protagonisti sono in costume. Anche in altri tuoi lavori indaghi in un certo senso il passato. Cosa ti affascina del tempo trascorso?
È una questione di gusto personale. Sono cresciuto con i film in costume e ho una passione enorme per registi come Joe Wright, con i suoi Orgoglio e pregiudizio ed Espiazione, e anche per Terence Malick. Sono questi i miei punti di riferimento. Stilisticamente, poi, il raccontare una storia ambientata nel passato è affascinante: c’è una cura per i costumi, per i dettagli d’epoca, che trovo irresistibile. Se dovessi scegliere un solo genere, direi senz’altro il periodo storico. In questa storia, abbiamo deciso di ambientare tutto in un passato indefinito, senza un’epoca precisa. I costumi richiamano l’Ottocento, ma non c'è un periodo dichiarato, proprio per rendere il racconto universale. Questa storia poteva essere ambientata nel passato o persino in un futuro distopico, perché il dolore di una fine, immagino, è lo stesso sia nell’Ottocento che oggi o in un domani lontano. In generale, a livello personale, nutro sicuramente una passione per la storia, per il passato e per i racconti di questo tipo.
E nello specifico?
Cè un motivo particolare per cui sono legato al periodo degli anni Quaranta e alla Seconda Guerra Mondiale. Fiino a poco tempo fa, ho avuto la fortuna di avere una nonna ultranovantenne che mi ha cresciuto condividendo le storie della sua infanzia e giovinezza legate a quel periodo storico. Crescendo con queste narrazioni, ho sviluppato una passione non solo per quel periodo, ma per la storia in generale. Per me, la storia è, insieme al cinema, la mia seconda passione, quasi sullo stesso piano. Questo interesse è sicuramente frutto dell'influenza di mia nonna, che mi ha trasportato nel passato, prendendomi per mano, in modo speciale.
Intervista ad Andrea Arcangeli
Andrea qual è stata per te la sfida più grande sul set de La confessione? Com'è stato riassumere un amore, da attore, in poco più di dieci minuti?
Guarda, io credo che la difficoltà maggiore l'abbiano dovuta affrontare Nicola e Andrea che l'hanno scritta. Io quando l'ho letta ho avuto la sensazione che avessero già riassunto perfettamente i punti salienti della chiusura di una storia d'amore. Ho avuto la sensazione che nelle parole che avevano scelto ci fosse già tutto, per cui io da interprete fondamentalmente non ho dovuto fare altro che prendere quelle parole e sposarle con il mio vissuto.
Una battuta e un'immagine che racchiudono per te il senso di questo racconto?
Quando io e Romana siamo abbracciati e lei guarda di fronte a sé. Questo abbraccio di due personaggi che sono insieme ma distanti. In quel frangente io le dico ‘Io e te staremo insieme per sempre’. Sembra una banalità ma io ti devo dire che non ho mai smesso di amare chi ho amato in passato anche se quelle persone non fanno più parte della mia quotidianità. Credo che, in un certo senso, si continui ad amare in forme diverse qualcuno. Per questo, quella frase è, per me, vera.
Se dovessi scegliere una sola emozione, o una caratteristica, che riassume il personaggio in questa storia, quale sarebbe?
Direi… malinconia.
Malinconia?
Sì, malinconia. È un sentimento che racchiude entrambi i personaggi. Dentro la malinconia c’è un desiderio di fare bene le cose, ma anche una sofferenza interiore, che si trasforma in una malinconia dolce, bella, perché parla d’amore.
Intervista a Romana Maggiora Vergano
Romana, la sfida più grande per te ne La confessione qual è stata?
La sfida più grande è stata convincersi di poter raccontare tutto in dieci minuti. Abbiamo lavorato molto, con lunghe letture e confronti con Nicola, il regista, e Andrea Arcangeli. Insieme, abbiamo provato a immaginare il vissuto di questi due giovani, protagonisti di una storia d’amore che potrebbe essere ambientata ovunque e in qualsiasi tempo, proprio perché si sviluppa in un “non luogo” e in un “non tempo.” Prima di metterla in scena, ci siamo interrogati a lungo. È stato forse uno dei processi più intensi che abbia mai affrontato. Poi, una volta sul set, abbiamo capito che l’importante era mantenersi ancorati allo stato d’animo del momento e reagire insieme all’altro, nel modo più naturale possibile. Un’altra difficoltà è stata quella di lavorare in un luogo spoglio, senza oggetti o stanze che potessero stimolare la creatività di noi attori. Ci trovavamo a Campo Imperatore, un luogo incontaminato e immersi in una natura che in qualche modo ci ha ispirati. Si parlava della fine del mondo, e stare in un ambiente così vasto, che ti abbraccia nella sua immensità.
Chi è Maddalena?
Maddalena, il mio personaggio, è una giovane donna ricca di contraddizioni e sfumature, ed è stato un peccato non poter approfondire di più il suo mondo in così poco tempo. Nella costruzione della sua identità e del suo rapporto con lui, emergono almeno tre caratteristiche che la definiscono. Prima di tutto, è una persona libera, e in qualche modo portavoce della libertà: di fronte alla morte, lei sente il bisogno di essere libera, di restare fedele a se stessa. È anche molto passionale, nel senso etimologico del termine: ha un fuoco interiore, una forza che non riesce sempre a contenere. E infine, la definirei silenziosa. Ha una qualità di presenza e introspezione che lascia spazio ai silenzi.
Qual è l'immagine del cortometraggio che più racchiude il suo significato?
Direi le sequenze delle salite dei due protagonisti verso una vetta. Le loro scalate, alternate e parallele, rappresentano sia il viaggio che fanno per raggiungere il luogo dove aspettano la fine del mondo, sia il percorso interiore che li porta a confrontarsi con se stessi. Simbolicamente, questo viaggio verso la vetta, anche se condiviso, è in realtà un momento che vivono da soli. Sono abituata a immaginare che, di fronte alla fine, ci si stringa alle persone che si amano; invece, in questo caso, anche se si ritrovano insieme per l’ultima volta, il percorso verso quella vetta è solitario. Questo rappresenta molto bene il senso della storia.