C’è stato un tempo in cui il regolamento del tennis era scritto il sole tre pagine. Le sfuriate, i comportamenti al limite, gli attacchi al pubblico: tutte situazioni da gestire sul momento, caso per caso. C’è stato un tempo in cui le personalità dei tennisti non erano sanzionate con un warning, ma erano parte dello spettacolo. Il pubblico voleva divertirsi. E chi come Ilie Nastase ha interpretato il gioco come un mezzo di ribellione trascinava la gente ai tornei. Alla Festa del cinema di Roma 2024 è stato presentato in anteprima il film Nasty, che mette in scena la parabola del primo numero uno della storia. Nel 1972, anno di pubblicazione della classifica Atp, in vetta c’era lui. “Eravamo due banditi”, dice Jimmy Connors, compagno di doppio di Nastase. Un giocatore diverso, il ribelle che veniva dall’est. Quasi un personaggio esotico, date le sue origini: chi mai avrebbe pensato che un simile artista avrebbe potuto nascere nella Romania comunista? “Io non ho mai protestato per una palla che credevo fuori, ma solo quelle di cui ero certo”. Difficile credergli. Eppure, a Nasty si perdonava tutto. In fondo lui era così, in campo insopportabile, ma amico di tutti appena la partita finiva.
È chiaro che un personaggio del genere oggi sarebbe fuori tempo, certe sue battute ormai improponibili. Ma già quando fu numero uno Ilie Nastase era anti-contemporaneo. Mai prima di lui si erano visti tennisti vestiti di un colore diverso dal bianco. Il modello era Stan Smith (che Nasty chiamava “Godzilla”), che lo sconfisse nella prima finale Wimbledon del rumeno. Era bello, Nastase. E lo sapeva. Seppur venga descritto come timido (di una timidezza che, per dire la verità, nel docufilm non appare mai), Ilie dormì con un numero spropositato di donne. Come le rockstar o George Best, per trovare un analogo calcistico. E piano piano sembra che la vita extra campo prenda il sopravvento sul gioco. Ma non è così: il talento, i colpi, l’interpretazione delle traiettorie. Anche per questo Nastase è storia. C’è stato un tempo in cui il carattere di un tennista era una componente fondamentale della sua performance. In cui la pallina correva meno veloce sul campo, lasciando il tempo di apprezzare l’estetica di un gesto. Non saremo probabilmente disposti a tornare indietro. Le corse da una parte all’altra del campo, i recuperi impossibili o i tiri lungolinea scivolando non sarebbero possibili senza la dedizione degli atleti di oggi. Lo sport ci ha sicuramente guadagnato. E le sfuriate di Nick Kyrgios o Fabio Fognini adesso ci sono quasi insopportabili. Ma non è sempre stato così. Ilie Nastase era una persona prima che un tennista. E lo si accettava, nel bene e nel male. In nome del gioco, però, abbiamo deciso di sacrificare il primo elemento del binomio. Oggi sono tennisti, e tutto il resto è noia.