Qual è il senso di tornare in patria, se poi ci si sente stranieri? Questa è una delle possibili domande che sorgono dal viaggio decennale di Ulisse nell’Odissea. La sua casa non era più la stessa, il tempo l’ha cambiata, così come la guerra ha cambiato lui. Abbiamo intervistato Claudio Santamaria, nel cast di The Return, film di Uberto Pasolini presentato in anteprima alla Festa del cinema di Roma 2024. Nel cast anche Juliette Binoche e Ralph Fiennes. E il tema dell’opera è proprio il racconto di Omero. “Ciò che mi ha colpito di questo film è l'assenza degli dèi e la profonda umanità di tutti i personaggi”, ci ha detto. Quello di Ulisse, ha aggiunto, è prima di tutto un viaggio interiore, di un uomo che si porta dietro “la violenza e l’orrore”: “La guerra è ovunque, in un bicchiere, in un tavolo, in una sedia”. Non è stato facile interpretare il suo personaggio, Eumeo, specie considerate le difficoltà linguistiche. Ad aiutarlo nel compito, però, c’era Fiennes: “Ero un po’ agitato per dover recitare con un attore come lui”, ha ammesso Santamaria. Eppure, “mi dava le battute anche per quattordici ciack di fila”. E ci ha spiegato perché la guerra che Ulisse si porta dentro rende il film “assolutamente contemporaneo”.
Claudio Santamaria, qual è l’elemento dell’Odissea che il regista ha colto e che magari mancava nelle altre rappresentazioni di quest’opera?
Uberto Pasolini si è focalizzato principalmente sugli aspetti più umani della vicenda, quelli che sentiamo più vicini, che parlano direttamente a noi e che riguardano relazioni familiari di diversa natura. Io alle scuole medie ero patito di epica le scuole medie e la cosa che mi affascinava di più dell’Odissea erano questi interventi divini, come dei supereroi ante litteram. Ciò che invece mi ha colpito di questo film e che mi ha subito agganciato emotivamente è l'assenza di questi dèi e la profonda umanità di tutti i personaggi. Si racconta la vicenda di un uomo che ritorna dalla guerra ma non torna veramente. Torna fisicamente, eppure emotivamente è lontano. Il suo viaggio dura dieci anni dalla fine della guerra di Troia, ed è secondo me un viaggio autoinflitto.
In che senso?
Poseidone che si dice lo mandi a destra e a sinistra in realtà è come una divinità interiorizzata, che non gli permette di tornare perché si sente in colpa per l'orrore, la violenza che ha agito in guerra. E quindi ritorna ma non vuole tornare. Infatti, per questo suo rimandare il confronto con i suoi demoni, ritrova i Proci in casa, gli invasori. Viene costretto alla violenza anche in casa. C'è questa scena, per me simbolica, in cui il mio personaggio, Eumeo, gli dice che la guerra è lontana, la devi dimenticare. E lui risponde che la guerra è ovunque, in un bicchiere, in un tavolo, una sedia: tutto mi parla della guerra, la guerra è lì pronta per essere agita di nuovo.
E cos’è che permette a qualcuno di ritornare veramente?
Può essere l'amore per qualcuno, una famiglia. Quello di Ulisse è un viaggio interiore in fondo, è un ritrovare se stesso. E questo è un tema molto importante che ci riguarda tutti. Per questo The Return è un film assolutamente contemporaneo.
Questo film come ti ha cambiato?
Devo dire che ho imparato molto. Prima di tutto è un film in un'altra lingua, e non una lingua parlata da italiano, quindi potendosi appoggiare alle nostre movenze. Mi ascoltavo costantemente le registrazioni della dialogue coach, con la quale ho lavorato costantemente proprio per eliminare ogni traccia di italiano e immergermi in quel contesto. È stato difficoltoso perché se io dico: “Il re è morto”, la parola morte mi provoca un brivido, perché è qualcosa di cui conosco il significato anche al di là della razionalità. Se invece dico: “The King is dead”, per me non è la stessa cosa, “dead” non mi dà lo stesso effetto.
E recitare con Ralph Fiennes com’è stato?
Ero un po’ agitato per dover recitare con un attore come lui e questa distanza della lingua non mi ha aiutato, ho dovuto fare uno sforzo doppio. Un giorno ne abbiamo parlato e mi ha detto di aver avuto lo stesso problema quando ha fatto un film in cui doveva interpretare un russo. Anche quella non era una lingua che era nelle sue viscere, nel suo sangue. Insomma, The Return è stato un film di grande scuola, poi vedere un attore come Ralph con la sua esperienza, fama e bravura stare lì fuoricampo che mi dava le battute anche per quattordici ciack di fila è stato incredibile.