Senza le giornaliste e reporter come Francesca Mannocchi sapremo ancora meno dei conflitti in corso in tutto il mondo. Non avremo informazioni sulla controffensiva ucraina, su ciò che l’esercito di Vladimir Putin si è lasciato alle spalle. Ma non saremo nemmeno in grado di interpretare i sentimenti dei civili, coloro che in guerra soffrono più di tutti. Documentari come Lirica Ucraina, presentato da Mannocchi alla Festa del cinema di Roma 2024, ci mettono di fronte alla più difficile delle domande: cosa avremo fatto noi al posto di quelle persone? “La guerra è forse l'esperienza più autentica di umanità. E intendo umanità in tutte le sue sfumature: è autentica nel suo manifestare una istintiva solidarietà, e analogamente è autentica quando riconosciamo in un altro il principio del male, il desiderio di fare del male”. Anche la vendetta diventa un sentimento quantomeno comprensibile. L’intervista, però, verte anche su ciò che sta succedendo in Medio Oriente. E il livello del dibattito, dice, è drammaticamente basso: “La distanza che c'è tra la realtà fattuale e il dibattito pubblico era insostenibile sull'Ucraina, ma è veramente intollerabile su Gaza”. L’ipotesi dei due popoli, due stati è ormai “geograficamente impossibile” ed è chiara su un punto: “Benjamin Netanyahu andrebbe sanzionato”. Denuncia però un atteggiamento ipocrita: quello di coloro che, dopo averla delegittimata per anni, ora parlano di fallimento dell’Onu. E il futuro come la nostra parte di mondo lo ha immaginato sta finendo per rivelarsi un’illusione.
Francesca Mannocchi, colpisce la parola vendetta nella sinossi del documentario: con questo progetto ha capito se esiste un punto di equilibrio tra la vendetta, la resistenza, la voglia di rivalsa?
Non so se c'è un equilibrio, ma so che la guerra dà la possibilità, se lo voglia, di chiamare le emozioni con un loro nome proprio. A volte siamo spaventati dal guardare dei sentimenti che sono nell'altro, perché quei sentimenti sono anche dentro di noi. La guerra è forse l'esperienza più autentica di umanità. E intendo umanità in tutte le sue sfumature: è autentica nel suo manifestare una istintiva solidarietà, e analogamente è autentica quando riconosciamo in un altro il principio del male, il desiderio di fare del male, il desiderio di vendicarsi perché ci è stato sottratto qualcosa. Allora io credo che le nostre vite, fortunatamente depurate dall'esperienza della guerra, non ci facciano mai chiedere davvero abbastanza cosa faremo al posto di un altro. Quindi nella scelta di mostrare nel film anche delle cose molto estreme risiede il tentativo di far chiedere a chi guarda: cosa farei io al posto suo?
Dopo questi mesi di guerra e una situazione geopolitica sempre più complicata quella ucraina è ancora un esempio di resistenza?
È l'esempio di una guerra destinata a durare molto a lungo e anche della fragilità e della debolezza di tutto ciò che da questa parte di mondo noi avevamo pensato inalterabile. Se c'è una cosa che la guerra in Ucraina e l'offensiva militare su Gaza dovrebbero farci chiedere con molta insistenza, e credo che questa insistenza non sia tuttavia abbastanza, riguarda cosa siamo disposti a tollerare, visto che le nostre certezze zoppicano ormai da anni. Possiamo dire che zoppicano ferocemente dal ritiro del 2021 da Kabul. Se le guerre degli ultimi tre anni devono interrogarci su qualcosa è quanto ancora resista del mondo che avevamo immaginato. Temo poco, forse bisognerà correre ai ripari.
Putin, nel frattempo, ha ricevuto le sanzioni. Abbiamo intervistato Alberto Negri che ci ha detto che anche Benjamin Netanyahu dovrebbe essere sanzionato: lei è d’accordo?
Sono assolutamente d'accordo con Negri. L'offensiva militare su Gaza ci sta ponendo di fronte a molti doppi standard e a un doppiopesismo intollerabile. Nel momento in cui parliamo sono morti a Gaza 17mila bambini, e secondo le Nazioni Unite 10 bambini al giorno hanno subito l'amputazione di almeno un arto. Questi dati non ci dovrebbero far dormire la notte.
La mobilitazione per è stata molto diversa. All'inizio c'è stata una reazione dell'opinione pubblica nei confronti dell'Ucraina, però per Gaza la questione ha coinvolto molto più persone.
Io credo che Gaza renda palese quanta distanza ci sia tra il discorso politico e la sensibilità dell'opinione pubblica. E lo dico guardando alle manifestazioni non soltanto in Italia, ma i movimenti degli studenti, alla piazza britannica, ai campus americani. Questa guerra ci racconta di una generazione che non può non vedere, perché questa guerra nella sua atrocità ci viene raccontata in presa diretta dappertutto. Poi c’è un dibattito pubblico che è ancora inchiodato a delle categorie che sono ormai trapassato remoto per chi quella guerra la vive e la subisce. Ascoltare dibattiti stantii e polverosi sull'ipotesi di due popoli e due stati quando questa è al momento geograficamente impossibile. La distanza che c'è tra la realtà fattuale e il dibattito pubblico era insostenibile sull'Ucraina, ma è veramente intollerabile su Gaza.
C'è un collegamento tra queste due guerre?
Le guerre non sono comparabili, quindi non minaccerei un paragone impossibile tra questi due conflitti. L'unico paragone che si può fare è sulla saturazione dell'opinione pubblica e quindi penso che se l'opinione pubblica si satura di storie e di immagini non ha colpa la gente che guarda o legge da casa, ma abbiamo colpa noi che raccontiamo male.
Tra i paradossi della guerra c'è anche il fatto che Israele non ha fornito armi all'Ucraina, pur essendo “avamposto occidentale” in Medio Oriente.
Restano due guerre incomparabili.
Lei crede che l'Onu abbia fallito?
L'Onu è stata indebolita su più fronti, ma non direi che ha fallito, anzi direi che il modo in cui si è esposta sull'offensiva militare a Gaza è quasi senza precedenti. Le agenzie delle Nazioni Unite e in generale le istituzioni sovranazionali subiscono attacchi dalla politica da ormai tantissimi anni. La subivano anche qui, parlando del nostro stretto orticello, a partire dal 2016, quando sono state ampiamente delegittimate da destra e da sinistra sulla questione dei flussi migratori. Quindi invocare le Nazioni Unite ora, quando queste sono da tutti, e da anni, delegittimate, è un po' una forma di ipocrisia, anche da parte della politica. Le Nazioni Unite rappresentano il simbolo di quello che la nostra parte di mondo ha immaginato essere il futuro dopo il secondo conflitto mondiale. Ci sono delle criticità che vanno risolte e attualizzate a un mondo che non è più lo stesso, che non è più il mondo della fine degli anni Quaranta e dell'inizio degli anni Cinquanta? Certamente sì, ma mettere in discussione non significa disintegrare.
C’è chi accusa la stanchezza per la guerra in Ucraina e vedremo come cambieranno le cose negli Stati Uniti: perché vale la pena ancora stare al fianco di quel paese?
Perché bisogna sempre stare dalla parte dei civili. Finché c'è gente che muore bisogna stare dalla parte della gente che muore.