Vladimir Putin è un enigma vivente. Per capire chi è e che cosa vuole il presidente russo, diventato il nemico numero uno dell'Occidente, non bisogna fermarsi alle due dichiarazioni. Al contrario, è necessario scavare nella storia e nella cultura della Russia, unendo idealmente il passato al presente, per poi collegare ogni punto. Soltanto dopo aver fatto questo esercizio prenderà forma il Vladimir Putin descritto a fondo dall'analista Emanuel Pietrobon nel suo ultimo libro Il mondo secondo Putin. Dalla rivincita sugli Stati Uniti al sogno del multipolarismo, edito da Castelvecchi.
Pietrobon, il suo ultimo libro si intitola Il mondo secondo Putin. Che cosa vuole veramente Vladimir Putin? E perché l'Occidente fatica ad inquadrare questo complesso personaggio, preferendo invece demonizzarlo anziché studiarlo a fondo per comprendere (e prevedere) le sue mosse?
Penso che Vladimir Putin desideri riscrivere, nei limiti del possibile, il finale della grande partita egemonica del Novecento, la Guerra fredda, e contemporaneamente ridare lustro e grandezza alla Russia.
Cosa intende per “riscrittura”?
Intendo arretramento dell'Occidente da quello che tra il 1991 e il 1992 è diventato spazio postsovietico, ovvero quella macro-area transcontinentale estesa dalle terre innevate della Bielorussia alle steppe del Kazakistan. I Paesi occidentali avrebbero dovuto capire nel 2008, l'anno dell'invasione russa della Georgia, quanto Putin fosse disposto a difendere con la forza, letteralmente, gli interessi che rappresentava - e che rappresenta tuttora. Non capire la guerra lampo del 2008 ha portato all'occupazione della Crimea e al separatismo armato nel Donbas nel dopo-Euromaidan, e, infine, alla grande guerra russo-ucraina.
Dunque, che cosa chiede il presidente russo?
Putin esigeva ed esige di avere una sfera d'influenza grosso modo corrispondente all'attuale spazio postsovietico, anche se gli obiettivi sono cresciuti nel tempo, un po' per ragioni di sicurezza nazionale (geostrategia) e un po' per questioni economiche (egemonia commerciale) e culturali (russofonia). Aveva stabilito delle linee arancioni e delle linee rosse, ma non è stato preso sul serio, né da Bush né da Obama, e ha fatto ricorso alla forza per imporle agli Stati Uniti.
Perché i suoi obiettivi sono cambiati?
Dopo una prima fase trascorsa a stabilizzare la Russia internamente, che non casualmente è stata anche la fase in cui i rapporti con l'Occidente sono stati più cordiali e intensi, Putin ha gradualmente spostato l'attenzione all'esterno: prima l'estero vicino (Georgia 2008) e poi, dopo quell'evento spartiacque che è stato il cambio di regime in Ucraina del 2014 - che sui nostri libri di storia è presentato come rivoluzione democratica e popolare, ma in Russia è percepito come esito di una guerra ibrida degli Stati Uniti -, estero medio e Sud globale.
Sembra di vedere due Putin, due personaggi diametralmente opposti...
Il Putin del 2008 esigeva dai partner occidentali che ascoltassero, ma che soprattutto rispettassero, gli imperativi geostrategici della Russia nella sua defunta sfera d'influenza. Il Putin di oggi è di gran lunga più globale, nonché più confrontazionale, e si è posto come obiettivo la destrutturazione del sistema internazionale occidente-centrico. Se nel 2008 era da solo, oggi è sostenuto da Cina, India, Iran e una costellazione eterogenea di potenze in ascesa che condividono l'ostilità nei confronti dell'egemonia occidentale negli affari internazionali.
Perché si fatica a comprendere questo leader?
Sul perché si faccia fatica a decodificare Putin: mi piacerebbe rispondere che si tratta di un'eccezione localizzata nel tempo e nello spazio, che in futuro riusciremo a capire meglio sia la Russia sia i suoi partiti politici, ma la verità è che abbiamo un grosso problema in materia di comprensione del nostro circondario. Non abbiamo mai capito Putin nella stessa misura in cui non siamo stati e non siamo tuttora in grado di interpretare Erdogan, Xi, i khomeinisti e altri fenomeni storici, che preferiamo raccontare e categorizzare come "incidenti".
Il rapporto tra Russia ed Europa è sempre stato ondivago. Mosca, la Terza Roma, è ormai vicinissima a Pechino e lontanissima da Bruxelles. Perché, anche prima dello scoppio della guerra in Ucraina, il blocco europeo - ad eccezione di pochi leader - ha sempre fatto fatica ad accettare la Federazione Russa come nazione europea? C'entra la storia di questo Paese o c'è dell'altro?
"Gratta un russo e troverai un tartaro" dicevano i francesi a inizio Ottocento, e da allora è cambiato poco: i rapporti Europa-Russia continuano a essere volatili, alternando brevi fasi di collaborazione limitata e lunghe fasi di competizione antagonistica, e questo si deve sicuramente alla persistenza di reciproche diffidenze, insicurezze e paranoie. L'Europa teme per la Russia per le sue dimensioni, perché pan-ortodossia e panslavismo possono ancora fare presa nei Balcani, per il fatto che non sia mai diventata una democrazia compiuta.
E la Russia si fida dell'Europa?
La Russia non si fida dell'Europa perché è da ovest che l'hanno sempre invasa, con l'eccezione dei mongoli, perché è una calamita per i suoi alleati e satelliti alla ricerca di maggiori libertà e perché ne ha una percezione essenzialmente negativa: se durante la Guerra fredda la vedeva come un campo di gioco su cui combattere gli Stati Uniti, oggi la vede come una sorta di 51esimo stato degli Stati Uniti. Tra Russia ed Europa non è mai sbocciato l'amore. Ambizioni egemoniche su comuni obiettivi geografici, culture affini ma distanti e visioni del mondo antitetiche hanno avuto un peso determinante, la storia ha fatto il resto. L'eterno ritorno dell'uguale.
La Russia ha voltato pagina: da possibile potenza europea in ascesa, Mosca si è trasformata in un attore che guarda ad un'altra fetta di mondo, il cosiddetto Sud Globale dei Paesi in via di sviluppo. È corretto collocare qui la Federazione Russa?
La Russia è geograficamente e culturalmente eurasiatica, caratteristica che ha storicamente sfruttato per volgersi a levante quando le relazioni peggioravano a ponente e viceversa. Mai del tutto accettata dall'Europa, che non la considera parte della civiltà occidentale per una serie di ragioni, e nemmeno benvista dall'Asia, che la vede come un intruso, la Russia prova ad aggirare questa condizione di superpotenza benedetta eppure al tempo stesso limitata dalla geografia durante la Guerra fredda.
In che modo?
I sovietici trovarono la soluzione ai problemi identitari della Russia, troppo tatara per gli europei e troppo bianca per gli asiatici, nel comunismo. Il comunismo esportato in tutto il mondo, ma in particolare nel Terzo mondo - corrispondente all'odierno Sud globale -, finanziando partiti politici, armando guerriglieri e formando pensatori. Oggi la Russia sta raccogliendo ciò che fu seminato dall'Unione Sovietica, dalla Latinoamerica all'Africa, e con un certo successo. Dove trovare alleati disposti a sposare la causa della transizione multipolare, se non qui? Molti Paesi sono in debito con Mosca, le devono l'indipendenza dal colonialismo occidentale, e sono lieti di restituire il favore.
Di quali regioni parliamo?
Guardiamo al Sahel, dove la Russia è riuscita a espellere i francesi nell'arco di tre anni. Pensiamo all'Africa subsahariana e al Medio Oriente, dove la Russia ha reclutato migliaia di combattenti da spedire in Ucraina. La Russia può oggi vendersi nel Sud globale come potenza anticoloniale, come potenza proletaria, perché è oggettivamente vero che ha contribuito in maniera determinante al processo di decolonizzazione dei popoli africani e asiatici durante la Guerra fredda, come è vero che non appartiene al mondo sviluppato, al Nord, che espellendola dall'elitario G7 e "costringendola" nel G20, a posteriori, le ha fatto un regalo enorme.
I rapporti con la Cina sono molto complessi e delicati. Mosca e Pechino stanno vivendo una lunga luna di miele come si legge sui quotidiani, oppure siamo di fronte ad una partnership strategica? In altre parole, esistono tensioni tra l'Orso e il Dragone?
Fra Russia e Cina non è certamente tutto rose e fiori, ma non concordo con chi veicola l'idea che il loro matrimonio di convenienza non sia destinato a durare. Non nego la presenza di zone di tensione e di crepe nella loro amicizia senza limiti, che sono argomenti di cui ho scritto in più occasioni; ciò che nego è la loro importanza nel quadro storico attuale.
Cosa lega questi due Paesi? E cosa, invece, li divide?
Gli obiettivi che legano Russia e Cina sono molto più forti dei "retro-sentimenti" che le dividono. Chi propone una riedizione della diplomazia triangolare ignora il fatto che la rottura sino-sovietica fu un esito più naturale che forzato, dato che Mosca e Pechino erano in rotta di collisione dapprima della de-stalinizzazione di Krusciov, e che, comunque, cosa non di poco conto, all'epoca c'era un certo Henry Kissinger in quel di Washington a monitorare la situazione alla ricerca di opportunità da sfruttare. Non soltanto tra Russia e Cina non intercorre l'ostilità degli anni Cinquanta, ma negli Stati Uniti mancano sia gli strateghi kissingeriani sia la volontà politica di rompere quest'asse. In sintesi: l'amicizia senza limiti tra Mosca e Pechino durerà, molto probabilmente, fino a che non avrà esaurito la sua funzione storica.
Nel tuo libro scrivi che Putin incarna l'essenza dell'Homo Russicus. Che cosa significa?
I russi, che nel nostro immaginario collettivo sono a metà tra Danko e Ivan Drago, sono l'opposto di ciò che viene presentato da Hollywood e dal grosso della nostra produzione intellettuale. L'uomo russo è essenzialmente un personaggio dostoevskiano: tragico, fatalista, credente ma anticlericale, patriottico ma antigovernativo. "Per capire Putin bisogna leggere Dostoevskij" diceva Henry Kissinger, e io concordo con lui.
E cosa otteniamo dopo aver letto Dostoevskij?
Aspetti caratteriali a parte, Putin condensa anche i tratti tipici del condottiero russo. È uno zar perché ha una visione del potere molto autocentrata e, a suo modo, ritiene di essere un leader illuminato e ha effettivamente investito nella costruzione di un regime formativo, che fin dalla tenera età introduce i russi ai valori conservatori e patriottici. È un pope perché non ritiene concepibile una Russia a-cristiana o post-cristiana, in ogni caso senza Cristo, e per questo ha riesumato il mito della Terza Roma. È al tempo stesso europeo ed asiatico, e lo ha dimostrato con la disinvoltura con cui è passato dall'UE all'UEE, e da Washington a Pechino. Ma è anche un sultano che cita sure, che regala Corani, che inaugura moschee sfarzose e che è attento alle battaglie care alla umma, come la Palestina, perché consapevole che la Russia è sia Terza Roma sia Seconda Mecca. Penso che possiamo capire molto della Russia studiando Putin, che, lungi dall'essere un incidente della storia, è la personificazione della Russia e dei suoi tratti più intimi.
La guerra in Ucraina è entrata in una nuova fase militare, con i russi che hanno aperto un fronte nei pressi di Kharkiv: fino a dove intende arrivare Mosca?
La Russia non vuole e non può conquistare l'Ucraina. Non può perché, per sottomettere l'intera Ucraina, dovrebbe mobilitare le forze armate nella loro interezza e convertire l'intera economia in una grande fabbrica a uso e consumo dell'esercito, senza che questo sforzo immane le garantisca una vittoria certa in tempi ragionevoli. Non vuole perché, contrariamente alla vulgata, ogni passo compiuto dai soldati russi e dai loro assistenti paramilitari in Ucraina segue uno schema preciso, per nulla trainato dall'emotività, pensato per servire una serie di obiettivi geopolitici e geoeconomici nel dopoguerra.
Parliamo allora di obiettivi geopolitici: cosa cerca Mosca in Ucraina?
La Russia chiedeva e chiede un'Ucraina finlandizzata, fuori dalla NATO, e pensa di aver trovato il modo: fossilizzare il Paese in uno scenario simil-coreano, dove alla destra del Dnipro si parla russo e di fatto è Russia. Funzionerà? Non penso che l'Ucraina di domani sarà una nuova Finlandia, paese del tutto neutrale per l'intera durata della Guerra fredda, ma che diventerà uno stato-caserma a metà tra Israele e Taiwan - e già questa, dovessimo usare le lenti russe, è una sconfitta.
Per quanto riguarda la geoeconomia?
L'Ucraina continuerà a essere il granaio d'Europa, ma il grosso delle sue ricchezze naturali è andato e questo comprometterà sensibilmente le capacità nazionali di ripresa nel lungo termine. Sto parlando dei giacimenti di petrolio e gas naturale che si trovano nel Mar d'Azov e dei depositi di carbone, grafite, afnio, zirconio e terre rare nel Donbas. Se è vero che l'invasione non fermerà l'integrazione dell'Ucraina nel blocco occidentale, lo è altrettanto che l'ha privata dei polmoni necessari a respirare in autonomia.
Minacce nucleari, avvertimenti, messaggi espliciti: c'è davvero il rischio di un'escalation nucleare tra Stati Uniti e Russia?
Non penso che almeno esistano né le condizioni né la volontà di provocare la trasformazione della guerra in Ucraina, che resta un confronto a due - Ucraina contro Russia - compartecipato dalla NATO, in un conflitto atomico tra Russia e Stati Uniti. Il punto è che le masse sono notoriamente prive di memoria storica, perciò è facile condizionarle con la propaganda e con la guerra psicologica che accompagnano ogni conflitto. Se avessero memoria storica, ricorderebbero degli allarmi escalation nucleare scoppiati durante le guerre di Corea, del Vietnam e dell'Afghanistan, ai quali non fece seguito nulla. La Russia agita lo spauracchio della possibilità di una deriva atomica del conflitto non perché voglia nuclearizzare l'Ucraina, ma perché vuole ottenere un disimpegno dei paesi occidentali dal teatro di guerra. Non è minaccia: è pressing psicologico. Non è follia: è strategia del pazzo.
Sta avendo successo?
Considerando il continuo decrescendo del supporto popolare europeo al proseguimento del conflitto e l'ampliamento delle divisioni intra-UE e intra-NATO, direi che ha ottenuto dei risultati. Certo, il flusso di armi all'Ucraina prosegue, ma è innegabile che le nostri opinioni pubbliche e persino alcuni nostri politici siano sempre più stanchi e impauriti.