Libri, libri e ancora libri. Dovessimo trovare un filo conduttore capace di collegare ogni singola fase della brillante carriera di Gennaro Sangiuliano, questo non sarebbe formato da perle bensì da libri. Il ministro della cultura del governo di Giorgia Meloni ha pubblicato una discreta quantità di saggi storici. Ha iniziato nel 1993 dando alle stampe Il paradiso: viaggio nel profondo Nord, scritto insieme a Ciro Paglia e pubblicato da Edizioni scientifiche italiane, e da lì non si è più fermato. Il picco della produzione? Tra il 2012 e il 2017, quando Sangiuliano è riuscito a sfornare ben sette titoli. Uno all'anno con l’eccezione del prolifico 2012, terminato con ben due uscite. Il ritmo si è inevitabilmente allentato con il carico degli impegni istituzionali, tanto è vero che l'ultimo libro dell'attuale titolare del dicastero della Cultura risale al 2021 - Reagan. Il presidente che cambiò la politica americana (Mondadori) - escludendo la ristampa di Giuseppe Prezzolini. L'anarchico conservatore, avvenuta pochi mesi fa. Dal 2022 in poi i libri hanno continuato ad arricchire la vita di Sangiuliano, trasformandosi però in cause di scomode gaffe diventate più o meno virali nel mondo dei social. In ogni caso, restando sulla produzione letteraria del ministro, quali temi ha toccato all'interno dei suoi numerosi scritti? Di cosa ha parlato? I volumi di Sangiuliano hanno portato qualcosa in più al dibattito intellettuale italiano? Domande che diventano più che legittime considerando i numerosi scivoloni culturali nei quali si è imbattuto l'ex direttore del Tg2.
I libri del ministro Sangiuliano
A proposito di libri, Sangiuliano vanta una ricchissima lista di pubblicazioni: diciotto titoli pubblicati tra il 1993 e il 2021 (senza contare le ristampe). Per lo più saggi riguardanti la storia o l'economia italiana, ma anche monografie dedicate a grandi personaggi, presenti e passati, della storia mondiale. I volumi che però hanno probabilmente consacrato la penna del ministro al grande pubblico generalista coincidono con Una Repubblica Senza Patria. Storie d'Italia dal '43 ad oggi e Quarto Reich. Come la Germania ha sottomesso l'Europa. Entrambi editi da Mondadori, uno nel 2013, l'altro nel 2014. Entrambi scritti insieme a Vittorio Feltri. Sarà perché hanno toccato due temi caldi della politica di quel periodo – il fatto che l'Italia sia uno Stato senza nazione, composto da cittadini che si riconoscono solo nel proprio gruppo e perseguono solo il proprio tornaconto, nel primo caso; l'analisi ai raggi X della fautrice dell'austerity e autrice della gabbia europea nel secondo – o, molto più presumibilmente, perché la loro uscita è coincisa con lo sdoganamento dei social network, sarà forse per entrambe le cose, ma per svariati mesi i due volumi erano in vendita ovunque. Persino nei supermercati accanto agli inossidabili bestseller di Bruno Vespa e Ken Follett. Il contenuto? Tutto sommato interessante. Ma è proprio quando in molti si sarebbero aspettati il “grande salto intellettuale” che Sangiuliano si è perso nella “banalità della cultura”. Preferendo inseguire la sagra del luogo comune anziché proporre analisi di rottura.
La sagra del luogo comune
Vladimir Putin, Hillary Clinton, Donald Trump, Xi Jinping, Ronald Reagan. Cos'hanno in comune questi cinque personaggi della politica mondiale? Sono i protagonisti delle monografie di Sangiuliano. La serie, se così possiamo definirla, è stata inaugurata da Putin. Nel 2015, mentre in Italia soffiava il vento del populismo – e mentre molti leader politici esaltavano il presidente russo, non ancora considerato un feroce dittatore – ecco comparire sugli scaffali Vita di uno Zar. Nei due anni successivi il futuro ministro avrebbe acceso i riflettori su Hillary Clinton e Trump, agganciandosi alle “elezioni presidenziali statunitensi del secolo”, le stesse che avrebbero poi premiato il tycoon. Il 2019 è l'anno dell'Italia che aderisce alla Nuova via della Seta cinese, e così il tema trattato da Sangiuliano riguarda la Cina. O meglio: il suo presidente Xi Jinping. La nostalgia per Reagan in un'epoca di crescente tecnocrazia – siamo nel 2021 – avrebbe infine spinto il giornalista ad affrontare la figura dell'ex presidente repubblicano statunitense. Torniamo alla domanda fatta in precedenza: le monografie di Sangiuliano hanno arricchito il dibattito intellettuale italiano o, come invece sembrerebbe, hanno avuto il semplice scopo di far circolare il nome dell'autore, bravo e intelligente a seguire le “mode” del momento? Provate a rispondere voi stessi dopo averle lette. Noi, intanto, facciamo tre appunti: le monografie di Sangiuliano, seppur scritte con un linguaggio semplice e coinvolgente, sono una semplice rielaborazione lineare e “wikipedistica” della vita dei protagonisti dei volumi. Non offrono curiosità, punti di vista inediti né ragionamenti originali. Il leader, o presidente di turno, nasce, viene eletto/sale al potere, governa e in certi casi muore (Reagan). Fine delle trasmissioni; nel presentare questi personaggi al pubblico generalista, Sangiuliano ha farcito le pagine dei suoi lavori di luoghi comuni fastidiosi. Definire Putin “il nuovo Zar”, Xi Jinping “il nuovo Mao” e Reagan “il presidente che cambiò la politica americana”, lascia intendere di avere tra le mani libri da evitare nella maniera più assoluta, almeno per chi è già esperto delle tematiche presentate; i libri sono tutt'altro che biografie obiettive. Al contrario, i leader sono trattati con una lente eccessivamente partigiana e inseriti in contesti storici poco definiti. Alla fine, par di capire, per Sangiuliano non era importante partecipare da protagonista al dibattito accademico, giornalistico o scientifico. Era, semmai, importante soltanto essere protagonista. Anche perché difficilmente un autore consapevole dei propri mezzi si sognerebbe mai di scrivere un libro sul presidente americano, uno su quello russo e uno su quello cinese, senza peraltro essersi mai specializzato né aver seguito da vicino nessuno dei tre Paesi trattati.
Le gaffe letterarie (e non solo)
Gli stessi luoghi comuni rinvenuti negli ultimi libri di Sangiuliano hanno accompagnato il prosieguo della carriera professionale del giornalista. Da quando, infatti, è diventato ministro della Repubblica italiana, non a caso ha collezionato un discreto numero di gaffe. Forse addirittura eccessivo, visto che parliamo del ministro incaricato di tutelare la cultura e lo spettacolo. L'ultima uscita a vuoto dell'ex direttore del Tg2 è coincisa con la collocazione della Times Square a Londra invece che a New York. La giustificazione della svista? Colpa della forte emozione nel presentare la nuova passeggiata archeologica di Roma. Una svista, proprio come quella che ha macchiato un recente post su Instagram pubblicato dallo stesso ministro. Dove, insieme al resoconto degli incassi del Pantheon, compariva una frase – presumibilmente una conversazione privata che non avrebbe dovuto essere pubblicata - che niente aveva a che vedere con il resto della descrizione: “Va bene come copy?”. E che dire, invece, della svista commessa da Sangiuliano in occasione della premiazione del Premio Strega 2023? In quel caso il ministro faceva parte della giuria chiamata a votare i libri in concorso. Peccato che, dopo aver elogiato le presentazioni dei finalisti, il ministro se ne uscì con un: “Proverò a leggerli”, lasciando presupporre che avesse votato senza leggere i volumi, per poi aggiustare il tiro in un: “Li ho letti perché ho votato però voglio, come dire, approfondire questi volumi”. Pochi giorni dopo il ministro della Cultura del governo Meloni avrebbe scatenato una nuova polemica social inserendo, utilizzando il proprio account istituzionale, un suo volume, con tanto di foto di copertina in primo piano, nella rubrica dei libri da lui consigliati. Libri, libri e ancora libri. In mezzo a tanti, troppi, luoghi comuni.