Cinque minuti dovevano essere e cinque minuti sono stati: precisi, spaccati, filati lisci e indolori. La nuova striscia di Bruno Vespa su Rai 1, ogni giorno dal lunedì al evnerdì, ha fatto il suo debutto in perfetto orario, nel giorno 27 febbraio 2023, Anno I dell’Era Meloni: è cominciata alle 20:31, è finita alle 20:36. Giusto in tempo per non sovrapporsi a “Il cavallo e la torre” di Marco Damilano su Rai 3, ma schiacciandosi sull’attacco del Tg2 (i cui giornalisti, infatti, non sono per nulla contenti). Il gran ciambellano della rete ammiraglia, ripreso in mezzobusto e intero su un lato, era più impettito del solito, il volto serio, lo sguardo istituzionale all’ennesima scala di grigio. Non c’era tempo materiale per battute, pose e amabili cazzeggi da Porta a Porta, benché lo spazio fisico della nuova trasmissione sia ricavato in un angolo del programma maior. La prima puntata è vespismo puro: intervista al Presidente del Consiglio in carica, in ossequio alla linea che ha sempre caratterizzato il giornalista più equivicino al potere che ci sia in Italia: la vocazione governativa.
Sigla. Immagini delle sofferenze ucraine, primi piani della Meloni che piange. Fotogrammi della spiaggia di Cutro, in Calabria, teatro dell’ultimo orrore dei migranti annegati e assiderati nei nostri mari. Prima domanda: davanti a ciò, “l’Europa non muove un passo” e “l’opposizione attacca”, come risponde Giorgia Meloni? Giorgia Meloni risponde che sono “falsità” quelle circolate sulla presunta responsabilità del suo governo per aver dato una stretta contro le Ong, perché “quella tratta non è coperta” dalle organizzazioni umanitarie. Piuttosto, bisogna “fermare le partenze” ab origine e l’Europa “deve fare in fretta”, per questo lei oggi ha scritto una lettera a Bruxelles. Si poteva obiettare che si tratta di capire, magari, se si poteva arrischiare un salvataggio, e quanto alle missive all’Europa, forse non bastano.
Ma non c’è tempo, via alla seconda domanda: abbiamo visto la Meloni “commossa” mentre guardava i “peluches” dei bimbi ucraini, ma parte dell’opinione pubblica, tocca ammetterlo, è “contraria all’invio di armi” a Kiev. Come la mettiamo? La premier sfodera l’arma dell’orgoglio patrio: molti si aspettavano la consueta “Italietta spaghetti e mandolino”, invece aiutare l’Ucraina serve al nostro interesse nazionale, perché ci fa ascoltare di più a livello internazionale e, in caso contrario, il pericolo è ritrovarsi la guerra “più vicina a casa nostra”. In più, non spendiamo un euro per le armi, “perché le abbiamo”. Dobbiamo essere fieri del nostro Paese, che una volta tanto “non cambia posizione” come una banderuola. Si sarebbe potuto far presente che Andreotti e Craxi non furono considerati traditori della patria a causa della loro politica estera non totalmente appiattita agli Usa. Ma non c’è tempo, non c’è tempo, mannaggia.
Terza domanda: Elly Schlein ha vinto le primarie ed è la nuova segretaria del Pd. Si prospetta un “bel confronto fra due donne leader”, sia pur con una “opposizione durissima” da parte dall’avversaria, o no? Qui, per la capo del governo, bastano i complimenti di rito e una stoccata alla sinistra per la quale, a differenza della destra, la dialettica, anzi “la democrazia”, è stata in passato “un problema”. Va detto a tal proposito che in effetti la Meloni non ha mai fatto l’isterica delegittimando l’altra parte (semmai, a farlo è stato Silvio Berlusconi quando, ai tempi in cui era splendido splendente, dava di “cogl…” agli elettori di sinistra, agitando lo spauracchio di un totalitarismo comunista che non c’era e non poteva esserci più). Fine, ringraziamenti, saluti e “buon Amadeus”. Tutto un po’ freddino, ministeriale, prevedibile. Diciamolo pure: barboso.
Tutto qua? Analizzando col termometro a zero gradi questo scambio-flash, abbiamo appreso, rispetto a quanto già sapevamo, che il finanziamento di forniture belliche all’Ucraina tecnicamente non è un finanziamento, perché, in sostanza, sottraiamo armamenti al nostro esercito. Materia per esperti militari, ma una notizia, almeno sul piano politico (e propagandistico), c’è. Per il resto, uno spottone. D’altro canto, per quanto smentito dal diretto interessato, è voce diffusa a Roma che il rapporto fra Vespa e la Meloni sia più che ottimo. Non stupisce: il conduttore di Porta a Porta, pagato in questa veste più di 1 milione di euro l’anno, cifra-monstre perché il contratto sarebbe da uomo di spettacolo, da conduttore per l’appunto, e non da giornalista, categoria che in Rai ha un tetto di 240 mila euro (si tratterebbe di capire, dunque, se per “Cinque minuti” percepisce un’integrazione...) è lo stesso che, in piena tempesta Tangentopoli, da direttore del Tg1 disse che il suo “editore di riferimento” era “la Dc”. Ed era la verità.
È lo stesso che, da tempo ormai immemore, si fa presentare l’annuale e irrinunciabile libro natalizio dal politico in vista del momento, non importa se anche inquilino di Palazzo Chigi, con tanti saluti al benché minimo residuo di indipendenza formale. Ed è quello che, descrivendo la sua ultima creatura, ha spiegato seraficamente: “Si parte con Giorgia Meloni perché da tradizione quando do il via ad un nuovo programma invito sempre il presidente del Consiglio”. Se Porta a Porta è la “terza Camera” del parlamento, Cinque minuti sembra una dépendance dell’esecutivo, l’opposto esatto del Fatto di Enzo Biagi, il primo in quella fascia oraria, nato nel 1995 come access prime time con taglio d’inchiesta, mentre qui, al massimo, Vespa alternerà alle conversazioni il commento, in pratica sigillando il tiggì con un suo editoriale.
Era dal 2012, dal rovinoso flop di Qui Radio Londra di Giuliano Ferrara (il quale, diversamente da Vespa, non ha mai finto di essere equidistante) che non ci avevano riprovato, a collocare una rubrica giornalistica in quell’orario tremendo, mortalmente difficile. Ma serviva eccome “una voce moderata in uno spicchio di prima serata”, per garantire “riequilibrio e pluralismo”, come ha detto il Nostro. Non se ne poteva fare a meno. Vedremo se lo share la penserà allo stesso modo: con il Tg1 al 26% e i giochi vari, L’eredità, I soliti ignoti, Affari tuoi, fra il 22 e il 28% (dati della settimana scorsa), non si dovrebbe scendere sotto il 20. Il Fatto stava su una media del 24%, con 6 milioni di ascolti. Intervistando Marcello Mastroianni, toccò quota 12 milioni. Come una puntata di Sanremo. Nonostante il successo di pubblico, il Biagi quotidiano, che non si poteva certo definire una ridotta estremista, finì malamente con il famoso “editto bulgaro” del Berlusconi campione dei moderati. Il moderato par excellence Vespa, questo rischio non lo corre neanche per sbaglio. Lui i Presidenti del Consiglio li invita all’inaugurazione, mica osa criticali. Fosse matto.