Censimento degli immigrati irregolari, interruzione delle armi all’Ucraina e riapertura del dialogo con Mosca, nonché contrasto alla svolta green europea e netta opposizione a un ritorno in pista - in qualsiasi formula e posizione - dell’ex premier Mario Draghi. È l’agenda politica di Stefano Bargi, imprenditore di Sassuolo e candidato alle elezioni europee della Lega, nonché consigliere regionale dell’Emilia-Romagna, che non usa giri di parole per criticare il governo e l’Ue sulla politica estera troppo in linea con gli interessi di Washington. Lo abbiamo raggiunto per porgli qualche domanda sulla sua candidatura e sulla sua visione dell’Europa.
Si è espresso nettamente contro l’ipotesi di un ritorno in campo di Mario Draghi, poiché sarebbe “responsabile dell’attuale situazione”. Cosa intende dire?
Dietro gli attacchi alla Von Der Leyen per la vicenda «Pfizergate» c’era una precisa strategia. È evidente che la vogliono scaricare e guarda caso la figura che emerge è quella di Mario Draghi come presidente del Consiglio europeo e della Commissione. Draghi rappresenta la tecnocrazia, cioè un potere in mano ai tecnici provenienti dal mondo dell’alta finanza, conosciamo i suoi trascorsi con Goldman Sachs. Proviene da un mondo che rappresenta gli interessi del sistema finanziario. Un tecnico come lui non dovrebbe mai ricoprire ruoli che spettano invece ai politici
Draghi non ci darebbe maggiore peso in Europa come Paese?
No, in realtà è tra gli esponenti italiani in Europa che meno rappresenta gli interessi del nostro Paese. Meglio un qualsiasi politico, anche una Von Der Leyen bis, che non Mario Draghi. Lo abbiamo già sperimentato con la crisi del debito del 2011: con il celebre Whatever it Takes mise al primo posto gli interessi di salvaguardia della moneta unica davanti a quelli delle famiglie, aprendo a Monti e all’austerità. Da allora siamo stati in recessione tecnica per 10 anni: un massacro. Al governo, con green pass e armi all’Ucraina ha portato avanti gli interessi di Washington e Bruxelles. Come forze politiche dobbiamo esprimere un netto no a un suo possibile ritorno.
Ma la Lega è critica anche nei confronti di Ursula von der Leyen.
Ha trascinato l’Europa in una profonda crisi, indotta anche dalla sua visione folle sulla transizione verde. È un’operazione che pesa soprattutto sulle famiglie, in modo particolare su quelle meno abbienti. L’Unione europea ha assunto con con von der Leyen un atteggiamento ostile nei confronti degli agricoltori. Senza contare che ci ha trascinato in guerra con un atteggiamento miope e servile nei confronti degli Stati Uniti.
Cosa avrebbe dovuto fare l’Ue con Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina?
Dopo il febbraio 2022 non ci ha pensato l’Unione europea a tentare di trovare la pace tra le parti, ma Erdogan, insieme peraltro all’ex Primo ministro israeliano Naftali Bennett. Zelensky e Putin avevano trovato un accordo, poi è arrivato Boris Johnson a far saltare tutto. L’Unione europea in quel momento non ha fatto nulla, come non ha fatto nulla negli 8 anni di guerra nel Donbass per cercare di evitare un escalation devastante.
Dovremmo tornare a parlare con Putin, quindi?
Oggi le tensioni hanno portato al distacco - che era negli interessi degli Stati Uniti - dell’Europa dalla Russia, che invece avrebbero dovuto integrarsi a vicenda. Su 27 stati dell’Unione europea non ce n’è uno che abbia materie prime, terre rare o risorse energetiche, con la Russia avremmo avuto tutto questo, creando una potenza globale. L’Europa, come ci dice anche la geografia, finisce agli Urali.
In Europa è in atto una corsa al riarmo. Si tema un confronto diretto con la Russia. È un errore?
Errore gravissimo, e anche le sanzioni economiche sono uno sbaglio, perché è una strategia suicida. C’era in atto un’integrazione forte con la Russia che ha reso grande l’Europa. Senza gas a basso costo russo, la Germania è andata in recessione, a discapito nostro e le difficoltà sono enormi. A noi serviva quell’integrazione: far saltare tutto per gli interessi di Washington è stato un errore di miopia enorme. Arrivare allo scontro diretto è folle.
E Macron che apre all’invio di truppe?
Forse ha bisogno di farsi vedere duro e puro dal suo popolo perché non ha più supporto in patria, ma non lo può fare a discapito delle vite umane. Già la guerra per procura è costata la vita a migliaia di ucraini. L’impegno diretto della Nato sarebbe gravissimo.
Pensi che dovremmo interrompere l’invio di armi all’Ucraina?
Sì. L’Italia poteva tranquillamente starne fuori. Anche se oggi non basta non inviare le armi, i governi europei devono fare mea culpa. C’è troppa arrendevolezza rispetto a ciò che viene deciso su altri tavoli, questo rapporto di vassallaggio ci sta costando caro. Bisogna tentare di recuperare i rapporti con la Federazione Russa, potrebbe non essere troppo tardi.
La Russia non attaccherà Polonia o gli Stati baltici?
No, hanno degli altri problemi da affrontare. In Ucraina il Cremlino ha dovuto provvedere per gradi, prima con 150mila, ora con circa 450mila uomini. Putin non ha alcun interesse a una guerra diretta con la Nato.
E la diretta green sulle case?
Un’euro-follia.