Ėduard Veniaminovich Savenko, meglio noto come Eduard Limonov (1943-2020). Una delle figure più potenti e controverse del secolo scorso. Lo scrittore russo reso iconico dal romanzo di Carrère; l’autore del libro Il poeta russo preferisce i grandi negri; il politico e contestatore, ideatore insieme ad Aleksandr Dugin del partito Nazional Bolscevico; un ribelle a New York, un emigrato a Parigi; ammiratore di Pasolini, critico con Venedikt Erofeev, oppositore e al contempo sostenitore dell’Urss e del comunismo; un rivoluzionario e contrario a Boris Eltsin; combattente nelle guerre di Jugoslavia con le tigri di Arkhan, isolato in Siberia, incarcerato sotto Putin; bisessuale, stravagante, sovversivo, circondato di belle donne e grupies; un dandy in Urss, un premonitore e persino un asceta, indifferente alle merci e alle cose materiali. Tante descrizioni, rimandi, immagini, ma chi fu davvero Eduard Limonov?
Una possibile risposta è arrivata grazie al film Limonov. The Ballad di Kirill Serebrennikov, presentato in anteprima mondiale alle 77esima edizione del Festival del Cinema di Cannes. Il film, accolto con una standing ovation, è ispirato al best-seller di Emmanuel Carrère dedicato al grande scrittore russo. Nei panni di Limonov l’attore britannico Ben Whishaw, con una colonna sonora d’eccezione a cura di Massimo Pupillo, dove compare anche Walk on the Wild Side di Lou Reed, a incorniciare un’esistenza fatta di eccessi e controversie. Il film, di produzione mista (Italia, Francia e Spagna), uscirà in realtà nelle sale italiane il prossimo 19 settembre, distribuito da Vision Distribution. Nel frattempo però, a distanza di quattro anni dalla sua scomparsa, il 17 marzo 2020, ci siamo chiesti, chi fu davvero Limonov? Quanto fu dissimile da quell’eccentrico personaggio descritto da Carrère? Lo abbiamo chiesto a quattro autori che hanno avuto la fortuna e il privilegio di incontrarlo, intervistarlo e parlarci personalmente. Ecco a voi le esperienze e riflessioni di Sandro Teti, Vittorio Macioce, Helena Velena e Yurii Colombo, a delineare un complesso quadro su un personaggio straordinario.
Sandro Teti: “Limonov è sempre stato un dandy”
Sandro Teti, politologo, giornalista e fondatore della Sandro Teti Editore, nel 2018 pubblicò Zona Industriale di Eduard Limonov, invitando anche l’autore in Italia. Ci ha raccontato il suo rapporto col controverso scrittore, proprio attraverso i viaggi fra Russia e Italia.
Lei ha conosciuto e pubblicato Limonov. Ha sentito del nuovo film a lui dedicato appena presentato a Cannes?
“Su Limonov, intanto ho uno scoop: il primo canale della tv russa, con cui sono in contatto, sta lavorando da mesi insieme a una delle più grandi registe russe su un docufilm proprio sulla vita di Limonov. Il film presentato a Cannes invece, non l’ho ancora visto, ma sono molto curioso.”
Com’è stato conoscere il vero Limonov?
“Limonov è sempre stato un dandy. L’ho conosciuto nel lontano 1992, quando l’Urss era appena caduta, nel mese di gennaio. Mosca, città sempre pulitissima e in ordine, per la prima volta era sporca e afflitta dalla microdelinquenza. Molte persone da tutta la Russia, così come dalle altre repubbliche, vi si trasferirono, decine di migliaia di persone. Ci fu un fenomeno incredibile a livello politico: tutte le organizzazioni strampalate che erano state vietate negli anni dell’Urss, si palesarono. Piazza della Rivoluzione era gremita in modo pittoresco, fra chi faceva comizi, volantini, c’erano persino le centurie nere, gruppi ultranazionalisti, trozkisti venuti dalla Francia e dagli Stati Uniti, partiti comunisti di ogni sorta… Il Partito Nazional Bolscevico di Limonov e Dugin ancora non era stato fondato. In quel contesto conobbi Limonov, che comunque era, per l’ennesima volta, controcorrente.”
Controcorrente, perché?
“Nonostante fosse acclamato come eroe dagli eltsiniani, per aver combattuto contro il comunismo e l’Urss, reagì in modo brusco, li attaccò. Voleva fare la rivoluzione. In realtà quella fu una replica di quello che fece anche a New York, da immigrato. Era stato invitato a sottoscrivere alcune petizioni contro “il sanguinario regime sovietico”, ma si rifiutò. Aveva sempre un atteggiamento da contestatore. Mi ripeteva sempre che lui, a differenza di molti altri russi emigrati, non era stato preso da quella sorta di sindrome di Stendhal di fronte a una disponibilità di merci sconfinata. Reagiva con indifferenza e trovava la vita dell’americano medio “vacua”. Proprio per queste sue posizioni critiche verso gli Usa, e in particolare per un articolo ripreso dalla Komsomolskaya Pravda, un giornale sovietico della gioventù comunista con una tiratura mostruosa, di oltre 20 milioni di copie, quando viveva negli Usa venne licenziato da tutti i giornali e radio antisovietiche con cui collaborava e la sua esistenza divenne difficile. Non aveva soldi per andare avanti e trovò impiego come maggiordomo presso un ricco americano omosessuale, di cui scrisse nel famoso libro uscito in Italia con il titolo Il poeta russo preferisce i grandi negri, che lo rese celebre a livello internazionale. Io lo seguivo per le sue attività politiche e andai a trovarlo con l’intenzione di portarlo in Italia, ma non fu facile. Era convinto di essere finito sulla Black List degli Stati Uniti per aver combattuto in Bosnia, e aveva paura di essere arrestato, una volta messo piede in Occidente. Feci amicizia con la sua guardia del corpo, un uomo in realtà molto intelligente e sensibile, che scrive poesie. Mi disse: “Sandro, convincilo a partire!”. Alla fine lo convinsi e nel 2018 venne in Italia. Fu il suo primo viaggio in Occidente dopo decenni, anche perché era stato in carcere e non poteva espatriare prima.”
Come fu quel viaggio in Italia con lui?
“Un Bagno di folla. Si fermò per 9 giorni, io lo seguii. Gli piacque molto che le persone avevano letto davvero i suoi libri e non solo quello di Carrère, e molti conoscevano anche la sua politica. Non fu semplice, perché comunque aveva un carattere difficile, ma si creò un bel rapporto per cui tornò in Italia anche una seconda volta, anche se lì stava già molto male e dopo pochi mesi morì. Però in questi viaggi in Italia riuscì a fare alcune cose a cui teneva particolarmente, da tutta la vita: si recò a Capri a vedere la lapide dedicata a Lenin e Gorkij e poi soprattutto, rese omaggio a Pasolini.”
Perché proprio Pasolini?
“Si sentiva molto vicino a lui e quando venne in Italia volle andare sul luogo in cui Pasolini fu ucciso, a Ostia. Lì c’è un monumento e Limonov giuntogli davanti si mise a parlare a Pasolini, ad alta voce: “Sono qui da te, mi sarebbe piaciuto incontrarti” gli disse. “Ho seguito i tuoi film quando ero a Parigi”. Gli rese omaggio, perché era una persona che avrebbe tanto voluto incontrare.”
Quanto si assomigliano il Limonov del libro di Carrère e quello reale?
“Sul libro di Carrère, Limonov si è sempre astenuto dal giudicare e commentare, ma gli veniva sempre chiesto cosa ne pensasse. Lui in realtà non si esprimeva granché, ma comunque gli piacque, perché aiutò a farlo conoscere e per questo era grato all’autore. Io conoscendolo di persona, posso dire che è vero che ci sono dei passaggi un po’ forzati in quel romanzo, ma è anche vero che ce ne sono altrettanti appena accennati, che nella realtà furono molto bizzarri e carichi di intensità. La cosa più importante che emerge in quella biografia è che Limonov poteva passare tranquillamente da ambienti di lusso sfrenato, a dormire per terra con un sacco a pelo, con disinvoltura. Ed era davvero così. Era indifferente al lusso e alle cose materiali, al punto che la seconda volta che venne in Italia apparve come una persona ascetica, con un piccolo fagottino come bagaglio a mano, e nient’altro. Dentro aveva solo due camicie e la biancheria.”
Secondo lei Limonov condivise fino alla fine le idee alla base del suo partito Nazional Bolscevico?
"Sì e anzi, quando venne in Italia e tutti i quotidiani lo intervistarono, per esempio Repubblica voleva cogliere occasione per chiedergli di rinnegare Putin, o se non altro gli chiesero se avesse cambiato idea su di lui, ma lui rispose di no. “Ma come? Ma l’ha messa in galera” gli dissero, ma lui rispose che era Putin ad aver cambiato idea, oltre ad essere d’accordo con l’annessione della Crimea, che per lui era Russia. Lasciò tutti di stucco. Aveva un’idea tutta sua di imperialismo, come un qualcosa che unisce lingue, culture e minoranze linguistiche in un unico grande concerto. Fra le sue numerose dichiarazioni, ne ricordo una particolarmente profetica: mise più volte in guardia sul fatto che ci sono tanti immigrati russi all’estero e posizioni sempre più contrastanti fra Russia e Ucraina. Ne parlò come di una bomba a orologeria e di un qualcosa che sarebbe diventato, presto o tardi, un grosso problema. Con quello che succede oggi, fu una sorta di veggente e premonitore."
Vittorio Macioce: “Limonov non esiste, o meglio, non esisteva, perché era una proiezione letteraria”
Vittorio Macioce, caporedattore del Giornale, autore del romanzo Dice Angelica (Salani), e ideatore del Festival delle Storie della Valle di Comino, ha incontrato e intervistato Limonov nel 2018, durante il suo penultimo viaggio in Italia, e a proposito di quell’incontro ci ha detto:
“Ho passato una giornata appresso a Limonov, per intervistarlo. Una giornata surreale in cui ho capito una cosa: Limonov non esiste, o meglio, non esisteva, perché era una proiezione letteraria. Ho visto una persona molto intelligente e brillante, ma comunque, incontrandolo, ho capito che era diventato un personaggio. Un personaggio in cerca d’autore. Quando gli ho chiesto chi fosse davvero Limonov, mi ha risposto “Dipende da come mi sveglio la mattina”.
E a proposito del famoso libro di Carrère?
“Il libro di Carrère lo ha scisso: la persona di Eduard Limonov non ha amato quel ritratto, ma essendo lui un po’ vanitoso, quel ritratto è ciò che lo ha reso iconico e il personaggio letterario che è diventato.”
Helena Velena: “Era un ometto piccolo, fragile, con gli occhiali”
Helena Velena, cantante, produttrice e attivista transgender, fondatrice della Attack Punk Records che pubblicò i primi album dei CCCP Fedeli alla linea. Ha incontrato Limonov durante una delle sue ultime presentazioni in Italia, a un evento di Sandro Teti Editore:
“Una cosa divertente di quell’evento, fu che venne pubblicizzato come presentazione del suo ultimo libro, ma di esso si parlò solo nei primi due minuti. Poi per tre ore si parlò di politica, anche vista l’esperienza del partito Nazional Bolscevico di Limonov con Aleksandr Dugin. Fra i presenti c’erano persone di ogni sorta: comunisti, neonazisti, fascisti, dirigenti di Forza Nuova. Limonov affascinava per quel suo essere un ribelle sperimentatore, per il suo essere, o essere stato, anche bisex, per i suoi racconti in ex Jugoslavia, l’isolamento in Siberia, l’esperienza del carcere. A trovarselo davanti in realtà era un ometto piccolo, fragile, con gli occhiali. Dal vivo, inaspettatamente, non aveva quell’aria da “guru” con la barba come ce l’ha invece Dugin, e nemmeno quella potenza, ma piuttosto di fianco a me vidi come una persona normalissima, che in altri contesti forse sarebbe passata inosservata.”
Ci ha parlato anche personalmente?
“Sì, anche se dovevamo per forza ricorrere al traduttore e c’era sempre qualcosa di non chiaro, non riuscimmo a spiegarci. Mi disse “Io capisco pochissime parole d’ italiano. Parlo russo e vengo tradotto, ma non sono 100% sicuro che quello che traducono sia quello che dico veramente”. L’impressione che ebbi è che era fin troppo diplomatico rispetto alle idee dell’apparato putiniano, e viste le sue contestazioni passate e il partito Nazional Bolscevico me lo aspettavo più estremo, anche se comunque fu preciso e attento, nonostante i problemi di comprensione.”
Cosa la colpì di quell’incontro?
“Come dicevo era piccolino, non aveva quel physique du rôle, e forse anche per questo aveva bisogno di accompagnarsi a ragazze punk dal look estremo. C’erano alcune grupies con lui, fra cui una in particolare bellissima, vistosa, che si sedette subito in prima fila. Limonov voleva riprodurre quel meccanismo del passato di avere relazioni con queste ragazzine punk, frizzanti e molto più giovani di lui. La cosa divertente fu che quando all’incontro si iniziò a parlare di politica, diverse persone lo attaccarono e lo contestarono, le grupies si annoiarono subito e se ne andarono via. Mi spiace molto sia venuto a mancare, perché forse oggi avrebbe potuto essere una linea di demarcazione verso una certa deriva politica e ideologica, della Russia, ma non solo. La sua voce sarebbe stata importante per creare un freno e un’opposizione che oggi non esiste.”
Yurii Colombo: “Dava il meglio di sé in pubblico e nei romanzi”
Yurii Colombo, giornalista, storica firma de Il Manifesto, autore di La sfida di Putin (Edizioni Il Manifesto) e Svoboda (Castelvecchi). Da diversi anni vive a Mosca. Ha intervistato Michail Gorbaciov ed Eduard Limonov più volte, scrivendo anche un libricino su di lui, che però purtroppo, come lui stesso ci ha detto, è oggi introvabile. Nel giorno della morte di Limonov, il 17 marzo del 2020 di lui scrisse:
“Limonov dava il meglio di sé in pubblico e nei romanzi. Personalmente quando l’ho frequentato, non mi ha né impressionato, né incuriosito. Era timido, aveva una voce nasale, ma quasi femminea. Ascoltava poco gli altri. Non era una buona forchetta: non dava importanza a ciò che mangiava e beveva, ma se aveva un pubblico si trasformava. Diventava brillante, sapeva modulare il discorso, senza essere affettato. Iconoclasta, ma con stile. Sapeva cogliere gli umori del pubblico. La sua scrittura letteraria, la cosiddetta autografia, mi è sempre piaciuta, anche se andava letto con parsimonia. La saggistica al contrario era spesso pesante e involuta. Politicamente era un rossobruno alla russa, cioè sapeva pencolare verso il liberalismo e aveva una grande opinione di Trotsky (oltre che di Stalin). Comunque, il suo racconto-programma Un’altra Russia andrebbe letto, anche se non esiste in traduzione italiana. Un personaggio a tutto tondo. Mancherà.”
Oggi, a distanza di 4 anni dalla morte ci ha ribadito: “Lo ritenevo un ottimo scrittore. Umanamente e politicamente invece, era, secondo me, discutibile.”