Siamo in ritardo di qualche minuto per l’appuntamento, lui invece è già lì, puntualissimo: davanti al casinò di Cannes c’è Giampaolo Manca ad aspettarci. “Il Doge” di Venezia, ex boss della Mala del Brenta, che abbiamo già raccontato in passato, si trova al Festival per promuovere il film tratto dal suo ultimo libro, Sequestro a Manhattan. “Mi son rotto le balle, voglio tornare in Italia”, ci dice, “tutto questo circo mi ha stancato”. In realtà l’abbiamo già incontrato la sera prima, all’Hotel Majestic, dove è allestito il padiglione italiano del Festival: arriva all’incontro insieme a Gianna Isabella Magliocco, la regista del film e del documentario A Portrait of a Redemption in Five Acts, tratto dalla vita del doge. Dai suoi anni vissuti nel mondo del crimine, dei trentasei passati in carcere e quelli, che sta ancora vivendo, della redenzione. Ora i due stanno insieme e vivono a Venezia: “Lei è il mio angelo”, confessa Giampaolo, “mi ha salvato la vita. Vorrei sposarla”. Il Doge ci racconta di quando, da ragazzino, “visitava” gli hotel più lussuosi del Lido di Venezia, durante la Mostra, e progettava anche qualche colpo a Cannes. L’esito non ve lo diremo, per il momento: per quello ci sono i suoi libri. Decidiamo di darci appuntamento il giorno dopo, proprio al casinò, con lui che di quelli di Venezia era “un habitué”: “Ce n’è uno che risale al Settecento”. In quello di Cannes, però, non c’è mai stato prima: “Ci scriverò un libro”. L’ennesimo della sua vita, il prossimo scritto nei suoi anni di redenzione. Ecco l’intervista al Doge di Venezia e alla regista Gianna Isabella Magliocco al Festival di Cannes: c’è la storia, la percezione della ricchezza e del male, ma anche Dio e gli obiettivi per il futuro. E c’è l’amore.
Giampaolo Manca, in Sequestro a Manhattan c'è qualcosa preso dalla tua vita?
Giampaolo: Il libro nasce perché Gianna mi ha chiesto di scrivere un libro per farci un film. I miei libri parlano di me, sono autobiografici, racconto la mia storia travagliata. Non avevo molta voglia di scrivere una storia romanzata, ma io ho molte cose vere da dire e ho deciso di usarle. Nel romanzo ci sono dei personaggi che effettivamente hanno avuto a che fare con me, che sono vivi. A ognuno di loro ho trovato un ruolo congeniale: l’hacker, che è quello che ha la password per tutte le misure di sicurezza, che è anche quello che ha scritto, composto e cantato la canzone del nostro docufilm, esiste davvero. Gli ho messo addosso questo vestito perché è proprio lo studente bacchettone, poi è anche un attore e parla molte lingue. Insomma gli ho messo questo vestito ed è venuto fuori benissimo. Anzi, lui è quello determinante in tutta la storia
Con chi altro vai a Manhattan?
Giampaolo: Due rapinatori: uno è mio fratello Fabio, l’altro è un mio caro amico, che ha anche lui scontato 25 anni di galera per rapine. Credo sia un romanzo che prende, perché chi l'ha letto ha detto che è bellissimo. C’è un finale incredibile che non posso dire.
Gianna, cosa c’è di diverso dalle altre storie di gangster?
Gianna: Sicuramente è più autentico, penso, rispetto a narrazioni simili, perché ci sono spesso dettagli più fantastici, che sembrano impossibili. Dal modo in cui Giampaolo l’ha scritto è molto probabile che questo possa succedere. Penso anche che sia divertente. Basta vedere il film The Italian Job per capire quanto interessano queste storie, anche agli americani.
Pensi che questo tipo di storia piacerà sia in Italia che all’estero?
Gianna: Direi di sì, anche perché è metà in italiano e metà in inglese. Poi ci sono molti sottotemi: uno è l'amore, l'altro è l’amicizia. Il senso che appare in tutta l’opera, poi, è quello della percezione della propria età, del posto che occupiamo nel tempo. E questo vale prima di tutto per Giampaolo.
Giampaolo: La cosa affascinante è che tutto accade a Manhattan. Poi di mezzo c’è un grande commerciante di pietre preziose che è il finanziatore di queste grosse gang. Tra questi personaggi c'è uno che è stato in America 20 anni e che ha operato anche per lui. Poi l'Italia lo ha richiesto per scontare una pena importante: io l'ho conosciuto nelle carceri speciali. In galera non è che parli di Dante o Prevert, parli sempre di queste cose, perché purtroppo abbiamo tutti alle spalle storie del genere. Quando decido di fare questa cosa vado a Roma e lo contatto. Credo che questo sarà un grande film, perché ci sono scene che nessuno si può aspettare. Potrei dire di aver dato il peggio di me.
Chi può meglio di te scrivere un libro del genere.
Giampaolo: Sì, io non voglio dire che sono più bravo di uno sceneggiatore, però uno che ha fatto questa vita veramente ha qualcosa in più da dire forse. Qualcuno mi ha detto che potrei andare all’università a raccontare queste cose, ma non è il caso.
Però nelle scuole ci vai davvero.
Giampaolo: Io vado nelle scuole a parlare con i ragazzi, ricordandogli tutto quello che è accaduto nella mia vita per fargli capire che le strade che io ho percorso sono quelle del male assoluto. Cadi nell'inferno, sei un soldato del diavolo e quindi cerco in tutti i modi di fargli capire che il crimine non si deve dire solamente che “non paga”: non si deve fare, punto.
Non avete paura invece che i ragazzi possano “imitare” i vostri personaggi?
Gianna: Senza rovinare il finale, posso dire che c’è un esito più positivo rispetto a ciò che potresti pensare quando leggi il libro. Spero che nessuno voglia copiare i loro comportamenti, ma se leggono tutto il libro nella maniera corretta possono capire anche quel punto di vista. E c'è anche qualcosa da dire su quello di cui ho parlato prima, la questione di sentire l'età e di capire il proprio posto nella società. Perché il libro inizia con lui che lascia la prigione e si accorge di quanto siano poche le opportunità per qualcuno con il suo passato.
È come se, in un certo modo, la società fosse responsabile di una parte dei mali comportamenti dei personaggi.
Gianna: Sì, perché non c'è una vera riabilitazione, sei messo in una scatola con tutti gli altri che fanno la stessa cosa. L’idea generale è che una volta lasciato libero puoi continuare a fare quello che vuoi, giusto? Ci sono un sacco di cose che il suo personaggio non può fare, è una riflessione anche sulla sua vita reale. Spero che le persone prendano in considerazione queste cose e pensino: “Ma cosa deve fare una persona se vuole essere buona?”.
Giampaolo: I miei libri non hanno mai enfatizzato le mie azioni, anzi. Sono azioni che sono avvenute, purtroppo le ho raccontate, ma non ho mai voluto dare quel peso che invece hanno voluto dare altri. Mi duole dirlo, ma scrittori di fama importantissimi a livello nazionale e internazionale vogliono far vedere le cose sensazionali. Sappiamo tutti che Roberto Saviano con Gomorra ha insegnato i giovani ragazzi di Napoli a diventare killer. È la verità. Hanno letto quel libro e poi si sono persi. I killer a Napoli oggi sono tutti ragazzini di 18, 19, anche 17 anni. Saviano forse non ha fatto questi calcoli. Uno mi ha detto che quelle cose andavano dette comunque, ma lui le ha insegnate. Io resto dell'idea che ha sbagliato. Ci ha marciato, è diventato ricco sul dolore degli altri. Io non voglio diventare ricco.
Qual è il tuo obiettivo allora?
Giampaolo: Noi abbiamo un progetto, che è questa struttura per i bambini autistici, e vogliamo portarlo fino alla fine, ecco. Questo scopo mi spinge a esserci sempre, il mio compito è di dare questo messaggio, di andare nelle scuole e parlare con i ragazzi e spiegargli cosa vuol dire il crimine vero e proprio.
Cosa pensi di questo mondo a sé che è il Festival di Cannes?
Giampaolo: Io vedo un circo, qui si vendono i sogni. Certo, se non c'è la storia non c'è il cinema, ma magari fosse sempre così. Qui è tutto effimero. Gran vestiti, grandi alberghi, prezzi alle stelle. Magari c'è chi si è messo via i soldi un anno per venire a Cannes. Questo ambiente non mi piace. Io l'ho frequentato da protagonista, tra virgolette.
In che senso?
Giampaolo: La mia è una famiglia benestante, quindi la Mostra di Venezia, l'Excelsior, tutti questi grandi alberghi, questo grande lusso: li ho vissuti, però alla fine tutto è effimero. È anche vero che i valori di oggi non sono più quelli di ieri. Anche io volevo il Cartier, il Rolex d'oro, ma era diverso.
Cos'è cambiato?
Giampaolo: È la stessa voglia di ostentazione, ma adesso è peggiorata. Fanno la gara chi ha di più, chi si veste meglio, chi ha più firme e ribadisco, se uno poi si riappropria dei valori quelli della vita, quelli veri, guardi tutto questo in maniera diversa. Io porto avanti la mia lotta, perché voglio che i bambini con lo spettro autistico abbiano una terapia Aba gratuita (Analisi del comportamento applicata, ndr). Lo Stato deve prendersi cura di questi bambini meravigliosi. E vedere tutte queste robe in questo festival...
Come ti fa sentire?
Giampaolo: Non posso che pensare: ma quanti bambini potremmo aiutare con tutta questa ricchezza? Parli con questa gente e invece si girano dall'altra parte. O hanno altre cose da fare, altri business. Qua parliamo di miliardi che girano. Sono anche un po’ deluso da tutto questo.
Gianna, in che modo hai convinto Giampaolo a venire in questo festival?
Gianna: Gli ho detto mi avrebbe dovuto aiutare con il nostro film. Lui era già stato alla Mostra di Venezia, ma mai nel ruolo di chi ha preso parte a una produzione. Questa è la prima volta che si è trovato una situazione simile, a dover parlare con le persone e supportarmi con il progetto. Penso che non fosse sicuro di quello che avrebbe trovato.
Come l'hai visto nel corso di questi giorni?
Gianna: Penso che abbia capito che il mondo del cinema è molto difficile, più di quanto la gente crede. Puoi lavorare 12-15 ore al giorno solo per fare il film, e poi sei in post-production e fai editing per 12 ore al giorno. Quando poi finisci ti ritrovi in un festival come questo, chiedendo a qualcuno di guardare il film su cui hai lavorato per un anno. Penso che ora abbia capito il lavoro enorme che c’è dietro.
Sei d’accordo Giampaolo?
Giampaolo: Assolutamente, sì. Prima non vivendo questa realtà non avevo capito quanti sacrifici sono necessari. Ci sono anche tante delusioni, ma si deve ripartire, non si deve mai mollare. Gianna ama il suo lavoro, lei è il cinema. Certamente ci devono essere anche dei ritorni economici, ma lei lo fa perché ama la sua arte. E ha un debito verso sua mamma. Gianna vuole vincere l'Oscar per dedicarlo a lei. Sua madre doveva essere qui con noi, ma Dio ha deciso così, che non poteva esserci. Noi ogni mattina ci raccomandiamo a lei e gli chiediamo la forza di andare avanti, perché lei era tanto orgogliosa di Gianna. È stata una mamma stupenda, meravigliosa. Lei ha una famiglia alle spalle incredibile. Mi hanno accolto come uno di loro e sua mamma prima di andare in cielo le ha chiesto di poter sentire la mia voce.
L'hai conosciuta?
Giampaolo: Non l'ho mai vista di persona, solo in video call. Siamo andati a Parigi in suo onore quando lei è mancata, abbiamo dedicato quelle giornate a lei. E lei ha un dolore immenso, immane, però dobbiamo farcela (si guardano, entrambi provano a sorridere, ndr). C’è una cosa che le dico sempre.
Dicci pure.
Giampaolo: Che mia mamma, veneziana super simpatica, la farà morire dalle risate e gli insegnerà il veneziano. Quindi è in buone mani, non è sola. Mia mamma è morta quando io ero in galera e ha sofferto tanto per colpa mia, con la mia scelta di vita. È un rimorso che mi porterò dietro per sempre, però ormai è andata.
Pensare a Dio ti aiuta a pacificarti?
Giampaolo: Ho conosciuto Dio in carcere, mi sono affidato a lui. Lo avevo pregato di non far morire una persona a me cara. Dio me l'ha salvato, è questa persona è ancora con noi.
Cos’è cambiato in quel momento?
Giampaolo: Ho detto basta e lì è iniziata la mia redenzione. Volevo diventare un messaggero di Dio e aiutare la gente che ha bisogno. Questo è il mio percorso e poi è arrivato l'angelo che mi sopporta. Io sono un'anima in pena.
Per questo dormi poco?
Giampaolo: Se dormo spreco tempo. Ma ormai è andata, il tempo è volato.
Però adesso siete a Cannes. Chi l'avrebbe mai detto?
Giampaolo: No, questo mai l’avrei pensato. Mai. Non so cosa sia successo. Io spero che lei abbia tante soddisfazioni. (Si rivolge a Gianna, ndr) Che culo che hai, vincerai l'Oscar con me.
Gianna, ce lo vedi all’Academy a prendere la statuetta?
Gianna: Sì, certo. Sarebbe molto divertente.
Giampaolo, riesci a immaginarti a sfilare su un red carpet come quello di Cannes o di Hollywood?
Giampaolo: Io ho sempre detto che non farò nessun red carpet. No, la mia storia non è da applausi, non è da passerella. Io non chiedo applausi, ma consensi, che è ben diverso.
Mentre parliamo si avvicina una coppia. L’uomo si rivolge a Giampaolo: “Mi scusi, ma io devo salutarla. Il suo è un grande esempio”, dice. È un medico, lavora per un ente che si occupa di assistenza sociale. Si scambiano i numeri scrivendoli su uno scontrino: probabilmente si rivedranno per portare Giampaolo in un liceo. Dietro di noi alcuni turisti si scattano le foto con i volti delle grandi star, stampati su dei teli che coprono un cantiere: Omar Sy, Claudia Cardinale, Adrien Brody. Il nostro tavolo con Giampaolo e Gianna è distante pochi metri da loro. Una striscia di asfalto separa due mondi. Eppure entrambi fanno parte di un universo più grande: il cinema.
Questa è la dimostrazione che la tua storia non passa inosservata neanche a Cannes.
Giampaolo: Bisogna portare le esperienze, anche quelle brutte, affinché i ragazzi ci ascoltino. E mi ascoltano, mi credono.
È la prima volta che ti riconoscono in giro?
Giampaolo: Sono entrato in un negozio di vestiti, il proprietario mi vede entrare, sta osservando delle persone anziane. Dopo poco mi riconosce, molla tutti e viene verso di me. Poi parlava italiano. Ha notato le mie scarpe: costano 50 euro. La gente crede che io le abbia pagate 1000 euro. Basta saper scegliere.