Andare al Festival di Cannes significa vivere il cinema con tutte le sue contraddizioni, le star, i red carpet e i professionisti che lavorano dietro il grande schermo. A Cannes, però, ci si deve essere. E non poteva mancare Paolo Del Brocco, l’amministratore delegato di Rai Cinema. Dopo averlo incontrato nel padiglione italiano gli abbiamo chiesto un’intervista: si è parlato di tax credit, di finanziamenti, di Alice Rohrwacher e della questione degli esercenti delle sale: “La programmazione viene fatta da chi svolge una legittima attività commerciale. Se qualcuno ha un prodotto che non vende è normale che dopo un po’ lo toglie. E questo per il cinema è un problema”. Una posizione, quindi, in parte condivisa da Del Brocco. Ma è ovviamente la questione economica quella su cui ci siamo soffermati più a lungo: “Oltre alle sale chiuse che forse bisognerebbe recuperare, c'è un tema di come far sì che le piattaforme comprino un certo numero di film all'anno”. Pochi giorni fa Paolo Del Brocco è stato anche attaccato per alcune sue posizioni espresse al Bellaria Film Festival, a suo dire fraintese. In particolare, la questione della possibilità per i giovani registi di fare scelte autoriali (con tutte le conseguenze in termini di riscontro sul pubblico). A fianco di questo chiarimento, poi, abbiamo parlato delle difficoltà di comunicazione, di marketing e del numero di film prodotti: troppi o troppo pochi?
Paolo Del Brocco, cosa deve fare un giovane regista per ottenere un finanziamento da Rai Cinema?
Dipende un po' dai tempi. Forse è un po' banale, ma oggi la cosa che è difficile da trovare è l'idea originale. Questo non manca ai giovani registi, manca in generale al cinema, perché un film per colpire deve avere una prima di tutto un’originalità. Ci arrivano 800 progetti l'anno e ne possiamo fare chiaramente un numero molto più limitato, ma è chiaro che se c'è un ragazzo che ha già fatto dei cortometraggi, che ha già dato prova di sé, lo sostieni. Non è facile scegliere a priori, quindi è chiaro che la scrittura, la storia, più o meno l'originalità della storia, queste sono secondo me le cose principali di primo livello. Poi ci sono dei processi di scelta che dipendono dal tipo di film, dal budget che ha, dal produttore prima ancora che dal regista. Ci sono tanti piccoli produttori che sono bravissimi e trovano un sacco di coproduzioni internazionali. Anche l'affidabilità del produttore conta: se ha avuto accesso ad altre forme di finanziamento, questo è un secondo step per capire se il progetto ha più possibilità di realizzarsi.
Cosa pensa di quello che ha detto Alice Rohrwacher a proposito degli esercenti e della possibilità di lasciare film in sala pià a lungo?
Concordo con lei. Qui c'è un tema di equilibrio, perché dovete pensare che la programmazione viene fatta da chi svolge una legittima attività commerciale. Se qualcuno ha un prodotto che non vende è normale che dopo un po’ lo toglie. E questo per il cinema è un problema. Dopodiché si può migliorare assolutamente, ma un film come quello di Alice ha dimostrato di avere una tenitura molto lunga in sala. Per me è difficile rispondere a questa cosa, perché non posso imporre i film alle sale. Noi cerchiamo di mettere i film in più sale possibili e riusciamo a farlo anche grazie alla capacità commerciale della società 01 Vision. Ci confrontiamo quotidianamente con l’esercizio per cercare una tenitura maggiore ma a volte risulta molto difficile perchè i punti di vista possono essere differenti. Anche tutelare gli autori sta diventando sempre più difficile.
Stiamo parlando di una regista riconosciuta anche all’estero.
Alice credo sia una delle persone più intelligenti che io conosca, anche perché è equilibrata: lei non dice io sono un’autrice a priori, ma sono gli altri a riconoscerlo. È la regista italiana più riconosciuta in questo momento nel mondo, ma il mercato italiano purtroppo non sempre premia autori come lei.
Secondo lei servirebbero delle risorse in più sul marketing e sulla comunicazione?
Noi siamo l'unico paese che ha una norma, una regola meravigliosa sul tax credit di distribuzione. Cosa vuol dire? Che noi abbiamo avuto in questi anni mi pare il 50% di credito di imposta, se non addirittura l'80% durante l'estate.
Questo cosa comporta?
Significa che se tu spendi 500, 600, 700mila euro ne rispondi per 350mila, addirittura se lo fai da maggio a settembre, come dovrebbe essere anche quest'anno, ne rispondi per il 20%. Questo significa intanto mettere dei soldi su tutte quelle aziende che operano nel settore, e ce ne sono tantissime che si occupano della promozione, quindi già per l'economia è importante. In più non devi avere incassi monstre per recuperare.
Magari non più soldi, ma distribuiti in maniera diversa nelle varie fasi della vita di un film.
Questo sì, poi il discorso cambia da film a film. Pensiamo ai grandi film americani, grandi blockbuster di cui si sa già tutto mesi prima. Questi però hanno dei budget di produzione di decine e decine di milioni, quindi è chiaro che un film italiano non può avere quel tipo di budget. Una volta era molto più facile fare lavoro di promozione, perché c’erano i giornali, la televisione, la cartellonistica e poco altro. Eppure spendevi molto di più, perché ricordo dei P&A (Print and Advertising, cioè la spesa per la stampa e la pubblicità, ndr) da un milione e mezzo, due milioni, che sono un sacco di soldi. Con gli incassi che sono diminuiti non puoi spendere più quelle cifre, e soprattutto devi sparpagliare il più possibile questa comunicazione sui social e su tutto il resto. Serve di più? Non lo so se serve di più. Serve comunicare un po' prima? Sì, su alcuni film probabilmente possono essere comunicati un pochino meglio già da prima. La verità è che l'unica forma secondo me vera ed efficace, e l'abbiamo visto anche in recenti casi italiani, è il passaparola.
Il caso di Paola Cortellesi è emblematico.
Lì non è questione di piano di spesa. Quando i film sono belli e colpiscono l'immaginario la verità è che la gente ne parla. La comunicazione è diventata molto più difficile rispetto al passato. Molto più frazionata.
In relazione a questi argomenti si dice spesso che si fanno troppi film. Lei cosa ne pensa?
Negli anni in cui sono stato a Rai Cinema abbiamo co-prodotto, finanziato, circa 850 film e 550 documentari. Io penso che dalla quantità nasca la qualità. Poi sono molto pochi rispetto a tutti quelli che ci sono arrivati. Perché se abbiamo fatto 850 film, sicuramente ne sono arrivati almeno 10mila.
Alcuni dicono che ci sono produzioni che iniziano un film e poi nemmeno lo finiscono.
Negli ultimi quattro anni c’è stato un flusso di denaro enorme, per questo si è prodotto tantissimo. Anch'io ho avuto un mandato di produrre, produrre, produrre, perché bisognava aiutare l'industria. È chiaro che così è troppo.
Poi c’è stato il Covid.
Sicuramente, poi sono entrate le piattaforme che hanno prodotto tanto. È stata una massa di denaro che è arrivata sul mondo della produzione che secondo me ha fatto bene dal punto di vista dell'occupazione, della ricchezza, ma anche dal punto di vista della qualità produttiva. Adesso non è che dobbiamo produrre di meno, semplicemente dobbiamo tornare ai livelli pre-Covid. C’è chi dice che dobbiamo fare 10, 20 o 30 film all'anno ad alto budget e basta. È una cavolata, perché così tu non avrai mai il cinema del futuro, non troverai mai nuovi autori. Abbiamo sempre fatto un certo numero consistente di film di giovani, certe volte ci siamo sbagliati perché il cinema non è una scienza esatta, altre volte invece ci abbiamo azzeccato. Soprattutto se vedi del talento, al di là degli incassi, allora quel regista lo supporti.
Lei ha parlato di giovani registi anche al Bellaria Film Festival, dove l’hanno attaccata.
Non sono riuscito a spiegarmi bene in quell’occasione. In questo momento, per colpa di nessuno, o per colpa delle piattaforme, o per colpa di quello che volete voi, il mercato della sala non assorbe tutti questi film che si fanno. È oggettivo, non è né giusto né sbagliato. Negli ultimi due anni ci sono 300 film fatti, finanziati, che non sono usciti in sala.
Questo cosa significa?
Vuol dire che ne abbiamo fatti un po' di più del passato, ma che abbiamo un mercato che ne assorbe molti meno. Su questo fatto bisogna ragionarci, bisogna riflettere. Io non ce l'ho la soluzione.
In definitiva manca il pubblico?
Sì, quando dicevo a questi ragazzi al Bellaria speravo di dargli un consiglio, ma non ha funzionato. Il punto era proprio questo, cioè bisogna provare a fare anche un cinema diverso, soprattutto se ti devi allenare, fare palestra. Non dico che non si debba provare a fare gli autori, però le forme del cinema sono tante. Cioè non è che uno deve per forza fare un certo tipo di film, specie se quegli stessi film sono meno assorbiti. Noi poi cerchiamo di trovare una strada per quelli che non escono, infatti adesso li mettiamo su Rai Play. Certe volte io dico che se il film è bello, ha un senso, è fatto bene, allora non importa se non ha incassato. Non è quello il criterio. Il problema è se centinaia di film non escono e rimangono invisibili, questo è un problema del sistema.
Ma come avviene questa cosa: i film più piccoli vengono cannibalizzati da quelli più grossi?
Intanto c’è il problema della sala di cui abbiamo parlato. Poi c'è il tema dei distributori che in Italia sono diventati molto pochi. Ma soprattutto non c'è il mercato, perché se il film poi non lo vendi a una piattaforma è un problema, anche perché ormai comprano pochissimo.
Qual è la soluzione quindi?
Oltre alle sale chiuse che forse bisognerebbe recuperare, c'è un tema di come far sì che queste piattaforme comprino un certo numero di film all'anno. Mi rendo conto che sembra una cosa un po' dirigista, però potrebbe aiutare. Poi c'è anche da valutare il tipo di film, perché è chiaro che ci sono dei film che sono impossibili commercialmente.