Quando ero un ragazzo, ahimé negli anni Novanta, c’era questa nuova faccenda delle super top model. Ragazze bellissime che facevano letteralmente impazzire un po’ tutti, stylist, giornali, pubblico. Tra i giovanissimi andavano parecchio in voga, perché apparivano quasi sempre solo in lingerie, a volte manco con quella, e perché erano praticamente perfette, stando almeno ai canoni estetici dominanti. Una delle più note, e apprezzate, era la tedesca Claudia Schiffer, bionda, tettuta, cosa piuttosto improbabile nel mondo della moda, alta un metro e ottanta, appena un anno meno di me, classe 1970. Anche le altre erano molto apprezzate, ma lei di più. Io la vedevo, come tutti, un po’ ovunque, negli spot, in tv, sulle pagine dei magazine patinati, e mi dicevo che c’era qualcosa che non andava in me, perché Claudia Schiffer non mi piaceva. Neanche le altre, a dirla tutta, ma lei soprattutto. Intendiamoci, capivo che era molto bella, ma non mi trasmetteva nessun tipo di fascinazione, men che meno di attrazione. Ecco, prendete questa info, apparentemente off topic, visto il tema del pezzo che state leggendo, e mettetela un attimo da parte (pur avendo voi forse intuito dove intendo andare a parare). Sento questa affermazione di Niccolò Moriconi, classe 1996, in arte Ultimo: “Mi piaceva l’idea di fare un album amatoriale”. La sento, magari le parole non saranno state esattamente queste, ma il concetto assolutamente sì, mentre è ospite del più importante network radiofonico italiano, per lanciare il suo nuovo album, Altrove. Dell’album se ne è parlato, a parte perché l’annuncio è avvenuto, come usa ora, quasi all’improvviso, tipo “fra due settimane esco l’album”, perché il buon Morgan si è incazzato per il titolo, Altrove, appunto, accusando Ultimo di avergli copiato la parola, a sua volta titolo della sua canzone solista più famosa, arrivando a dire cose tipo “nessuno farebbe una canzone che si chiama Bocca di Rosa o Albachiara”, insomma, ci siamo capiti. Un album amatoriale, quindi.
Comincio a pensarci su. A pensarci intorno. Mi viene in mente che nel 1978, quando io ero un bambino, un allora popolarissimo Jackson Browne decise di incidere un album mentre era in giro con un imponente tour, registrando come poteva. Quel come poteva si tradusse in un quattro piste usato nel pullman del tour, in America si usa così, o nelle stanze di albergo, o magari sul palco, durante il soundcheck, unica canzone fatta live, nel senso con un pubblico davanti, quella Stay che tutti, ahilui, associano a quel nome, pur essendo una cover e non esattamente la canzone più bella che ha cantato. Ecco, quello poteva essere un album amatoriale, nelle intenzioni, intendo, perché era in realtà un esperimento assai riuscito di musica registrata in luoghi poco consoni, di altissima qualità. Il titolo del disco sarà Running on Empty, per la cronaca, a oggi un classico del rock americano di sempre. Potrei partire da qui, mi dico, però quello aveva in sé l’idea del tour, dello straniamento dovuto all’essere sempre in giro, altra cover contenuta sarà The road, da noi divenuta Una città per cantare di Ron, non credo sia un paragone pertinente. Ci penso ancora. Nel mondo del rock, a un certo punto, succede ciclicamente, qualcuno ha pensato di contrapporre a una certa attenzione ai suoni e alle produzioni un atteggiamento più immediato, dando vita al Lo-Fi. Lo-Fi sta per Low e Fidelity, esattamente il contrario di Hi-Fi, dove l’Hi sta per High, bassa fedeltà vs alta fedeltà. Dovessi indicare due nomi, ma potrei ovviamente farne altri, direi senza ombra di dubbio di Sebadoh e i Pavement, questi gli alfieri del genere. Siamo sempre in quegli anni Novanta, quelli di Claudia Schiffer, ma non è ovviamente questo il motivo per cui sono partito da lei, e della nascita di Ultimo. Roba da Generazione X, assolutamente. Potrei partire da qui, ma di chitarre e di bassa fedeltà, credo, nel nuovo album amatoriale di Ultimo ce ne saranno poche, come sempre. E comunque quella era altra faccenda, era un genere, non un excursus. Ci penso ancora. Un artista di grande successo, uno che fa album che finiscono in vetta alle classifiche, che poi fa tour negli stadi, tutti sold out, che decide di fare un progetto amatoriale, fatto in casa. Ci sono. Nebraska. Conosciamo tutti la storia, nel 1982, ebbro del successo ottenuto col gigantesco The River, doppio album denso di storie e di suoni, il Boss, Bruce Springsteen decide di fare tutto da solo. O meglio, da solo, armato di un quattro piste, di una chitarra acustica e di una armonica a bocca scrive e incide le canzoni dell’album, una storia noir, di morte, quando poi la E Street Band ci mette su gli strumenti a lui il risultato non piace, e decide di dare alla casa discografica i provini, che usciranno diventando uno dei suoi album, e degli album rock in generale, più clamorosi. Una storia dolente e intima, oscura, che rende perfettamente l’idea dell’istantanea. È appena uscito un libro per i tipi di Jimenez Edizioni, di Warren Zanes, Liberami dal nulla, che ce lo racconta alla perfezione. Ecco, mi dico, Altrove sarà il Nebraska di Ultimo. Il suo album fatto in casa. Intimo e dolente. Ora, sapete già come questa storia va a finire. Lo sapete perché, se siete fan di Ultimo, nell’ora che corre tra mezzanotte e l’una siete corsi a sentirvi le nuove canzoni, le avrete amate alla follia e le saprete già a memoria, con quelle melodie così orecchiabili, quel dolore esposto in bella vista, quei testi che sembrano scritti proprio per raccontare le vostre vite, se non lo siete, e mai vi capitassero sotto l’orecchio, distratto e carico di preconcetti, fatichereste a capire se siano parte di Altrove o di uno dei suoi album precedenti, roba che vi fa chiedere come caz*o sia possibile che questo abbia tutto il successo che ha. Torno all’inizio di questo pezzo. Ultimo è Claudia Schiffer. Seguitemi senza opporre resistenza, vi prego, non sto facendo facile ironia. È alto un metro e ottanta, buona parte delle quali di gambe. Nel senso che è un artista che ha un successo clamoroso, forse il più clamoroso tra le nuove generazioni, capace, anzi, di essere transgenerazionale come nessun altro tra i nati negli anni Novanta. Scrive canzoni che parlano di sentimenti, lo fa al pianoforte, canzoni intessute sulla melodia e su testi di facile comprensione, senza mangiarsi le parole (alla Blanco e alla Madame, senza giocare su pose da gangster più o meno coerenti con la realtà), sa fare il suo e la gente, tanta gente, tantissima gente, lo apprezza per questo. Ultimo ha la quarta in un mondo di modelle piatte. Mi spiego. Laddove tutti provano a stare nell’alveo della trap, al limite dell’urban, andando a scimmiottare un genere che con la nostra tradizione pop e cantautorale nulla ha a che spartire (pensa te, spiccano quelli che si rifanno ai nostri 80s, come fosse roba originale), tutti subito accalappiati dalle major, in coda alla mensa del povero per firmare l’ultimo talento usa e getta, salvo poi dimenticarsene presto, lui, Ultimo, si fa la sua etichetta, si pubblica le canzoni quando e come vuole, si fa i suoi tour e sa che li riempirà tutti di gente che lo adora, autarchico e in qualche modo anche anarchico, la sua musica sorta di vendittismo 2.0, non certo roba da mitra e bamba e bling bling e troie, per capirsi. Un outsider che è sopra tutte e tutti, Claudia Schiffer.
Ultimo è tedesco, e nonostante questo piace in Italia. Anche qui, seguitemi, e che caz*o. Ultimo non è figo, almeno stando ai parametri vigenti. Canta canzoni melodiche, volendo anche piagnone e strappalacrime, ma lo fa in canotta, senza però essere Giovanni Truppi, per statura culturale e aura intellettuale, pieno di tatuaggi che con le canzoni che canta c’entrano anche poco. Gli sta sul caz*o chiunque parli di lui, ricordiamo lo sbrocco a Sanremo, “il ragazzo Mahmood”, il “siete degli stron*i” rivolto alla Sala Stampa, ricordiamo anche la parte dell’ultimo tour nella quale perculava mostrando il dito medio chi lo aveva criticato, con tanto di articoli e titoli sparati sui maxischermi, un outsider che ciò nonostante è popolare, assolutamente mainstream, anzi, la quintessenza della medietà. Una tedesca che non ci stia sul caz*o, in sostanza, parlo metaforicamente. Ora. Arriviamo al punto. Altrove non è Running on Empty, e fin lì, c’eravamo già arrivati. Non è neanche un album di lo-fi, né come genere musicale, i fan dei Pavement dormano tranquilli, né nelle intenzioni, di amatoriale, nei suoni, nelle produzioni, nella scrittura, c’è davvero poco, a meno che non fosse amatoriale anche tutto quanto fatto fin qui. Altrove, soprattutto, non è Nebraska. Perché non ha quell’aura di oscurità e urgenza di quel disco mitologico. Perché le canzoni di Ultimo, queste come le altre, sembrano tutte urgenti alla stessa maniera, urgenti per lui, che le ha scritte, e per chi le ama, meno per chi le trova tutte un po’ simili a loro stesse, piagnone. Altrove è un classico album di Ultimo, e forse di amatoriale c’è giusto la foto, fattagli dalla fidanzata a New York con lo smartphone, e usata per la copertina perché il discografico di Ultimo è Ultimo, farà pure un po’ il caz*o che gli pare. E torno ancora a Claudia Schiffer. A me Ultimo dovrebbe piacere da impazzire, roba da farcisi le seghe. È un outsider, e già sarebbe sufficiente. In un’epoca di autotune e di trap lui canta canzoni melodiche, il paragone più frequente è con Antonello Venditti, scritte e cantate davanti a un pianoforte. Viene anche dalla periferia romana, fancu*o i salotti buoni, ma invece che vestirsi di acetato e esibire gioielli sale sul palco in canotta. Si pubblica le canzoni da solo, se ne fotte delle uscite in concomitanza, esce lo stesso giorno di Billie Eilish, va per la sua strada. Gli stanno sul culo i giornalisti della Sala Stampa di Sanremo, luogo che sta molto sul culo anche a me, infatti non ci metto piede da anni, e ha detto esattamente quello che sostengo da anni, che si credono quasi tutti stocazzo in quella settimana lì, perché possono fare quel che vogliono salvo poi tornare a non contare un cazzo. Insomma, tutto perfetto. Alto un metro e ottanta, gambe lunghe fino qui, due tette generose, pure bionda. Però a me Ultimo non piace. No, le canzoni di Ultimo non piacciono. Lui lo rispetto, e mi sta molto simpatico. Le canzoni no. Non mi dicono niente. Quasi non le distinguo. Mi annoiano. Sia che siano vendute come prodotte con cura, sia che siano vendute come amatoriali. Le trovo sempre uguali a loro stesse, per temi trattati, la rivalsa, le origini, i sentimenti, i sentimenti, i sentimenti, sia per come suonano. Certo, poi c’è un duetto con Mezzosangue, rapper a sua volta proveniente dalla periferia estrema romana, a sua volta uno fuori dagli schemi, inincasellabile. Uno lo vede lì, nella tracklist, e si chiede: ma come? E che caz*o. Certo, Ultimo un po’ da quel mondo sembra arrivare, e ultimamente ha fatto quella roba che risponde al nome di Ultima poesia con Geolier, sentirlo cantare in napoletano, confesso, mi ha fatto venire in mente il Corrado Guzzanti di Pippo Chennedy, “te vedo teso come ‘na corda du viulin’”, e fortunatamente quel brano non è finito qui dentro, fortunatamente poi vai a capire perché. Mezzosangue, quindi. Ecco, diciamo che quel brano, Diluvio universale, è Helena Christensen nel video di Wicked Game di Chris Isaak, una variazione sul tema che mi ha fatto desistere, ai tempi, dall’essere troppo tranchant sulle super top model nel loro insieme. La ascolti, Diluvio universale e resti a bocca aperta, sorpreso, molto piacevolmente sorpreso. Nella speranza che i miliardi di fan di Ultimo diventino fan suoi, decisamente meritevole di tutte le attenzioni del mondo. Ma una rondine non fa primavera, e mai come di questi giorni l’espressione in questione è coerente al limite del fastidio. Per autocitarmi, bravo Ultimo, ma non ci vivrei.