Figa, Milano ha ucciso pure il Mi Ami. In questo momento, stiamo imprecando di fronte alla pagina del tradizionale Festival di inizio estate che ci scaraventa in faccia prezzi a dir poco folli: dai 46 ai 49 euro al giorno per una kermesse che ne dura tre, presso il solito, lurido e rancido Magnolia. Un locale che è (stato) vera e propria istitutizione per un'intera generazione. Circolo Arci vista tangenziale, l'enorme spazio aperto esterno costeggia quasi per intero l'idroscalo e ne accoglie gli sciami di zanzare killer. Ma tanto, dopo un po' che butti giù alcol scadente, nemmeno ci fai caso più. Il Magnolia di Segrate è prato e fanghiglia, collinette dove vengono allestiti alla bell'e meglio palchi per artisti che, ogni anno, conoscevi tu e qualche amico che fingeva per non fare la figura del fighetto mainstream, privo di un qualunque tipo di "giudizio rotondo e completo" sulla scena indie italiana dell'epoca. Scena indie italiana dell'epoca che non si filava nessuno o quasi, era ben prima dello scoppio dei The Giornalisti e degli artisti indie fregava una cippa ad anima viva. Spesso, gli stessi membri della band, dopo il Mi Ami tornavano a fare i magazzinieri, i benzinai, i camerieri. Salvo qualche serata qua e là durante l'anno, di fronte a una decina di 'fan' con gli occhiali, scocciatamente in estasi. Perché dimostrare troppo entusiasmo no, non era indie. Oltre al concerto evento dei CCCP (comunque 50 euro) previsto al Carroponte di Sesto San Giovanni il 23 maggio, da venerdì 24 a domenica 26 dello stesso mese la kermesse musicale torna a Segrate con la solita line up di wannabe - tranne alcune eccezioni come Willie Peyote, Tre Allegri Ragazzi Morti - e dei prezzi schizzati alle stelle, come quelli del mercato immobiliare milanese dove oggi per 20 mq in Via Padova (postaccio) ti chiedono un millino perché hanno cambiato nome, e solo quello, al quartiere. Ora si chiama "NOLO" e quindi è chic. Punto. Affranti, procediamo con la disamina di un Festival storico che, in buona sostanza, qualcuno sta cercando di trasformare nel solito 'place to be'. Riuscendoci pure, a livello di snobismo e listino. Che amarezza.
Premessa importante: il Mi Ami non è mai stato 'figo'. Il Mi Ami nasce come puro sfacelo, un evento da cui quelle coi tacchi e i bocconiani si tenevano ben lontani terrorizzati alla sola idea di mescolarsi ai "drogati!". E che qualcuno potesse postare sui social foto insieme a giovani derelitti punk, mandando all'aria così qualunque possibilità di essere presi in stage non pagato presso qualche grossa multinazionale di prestigio. Povere anime. Più poser che tossicodipenti veri, i ventenni che partecipavano al Mi Ami solo 10 anni fa, pagavano una decina di euro per l'ingresso (con tessera Arci che ora non è più richiesta) e via tutti a far caciara sotto i vari palchi su cui si esibivano semi-sconosciuti coetanei fin dal primo pomeriggio. La sera, era invece il momento dei grandi nomi: Zen Circus, Baustelle, Le Luci della Centrale Elettrica (Vasco Brondi), Lo Stato Sociale, The Giornalisti. Più di recente, perfino Carmen Consoli e Calcutta. Una grande festa rancida, con le scarpe quasi perennemente nel fango e le zanzare a morderti l'anima dalle caviglie fino all'attaccatura dei capelli. Al Mi Ami si beveva, si limonava duro, ci si prendeva una birra o due coi cantanti senza manco sentire il bisogno di scattarcisi un selfie. C'era da parlare, da sbronzi, di politica, di figa, di chi si era venduto alle major, c'erano da far rutti e bestemmie.
Va da sè che un biglietto d'ingresso da 50 euro rende questa gigantesca festa dell'unità, vero e proprio evento d'élite che esclude a priori una enorme fetta di potenziali interessati. I giovani degli anni Dieci non hanno alcun interesse a partecipare, oggi, al solito Mi Ami perché magari ora come ora tengono famiglia, hanno cambiato priorità, quelle cose lì le hanno fatte già. Chi ha 20 anni nel 2024, invece, prima di bruciare 150 euro in tre giorni (più ciò che spenderanno in alcol e Autan) sicuro ci fa un pensiero. Anche perché, qui la line up per miscredenti, l'indie italiano oggi è soltanto un luogo del cuore per quelli che ancora si ostinano a suonarlo. Sparito dai radar dopo il boom (e la successiva deflagrazione) mainstream dei The Giornalisti, è stato rimpiazzato nonché polverizzato in numeri di vendite da trap e altre sciagure. Anche le band che sembravano oramai essersi affermate (vedi Lo Stato Sociale che riuscì perfino ad arrivare terzo a Sanremo), sono oggi lontani ricordi conservati tra i ventricoli di chi le ha viste nascere e ci è rimasto affezionato per i limoni, il fomento passato. Oltre alla morte dell'indie, la più grossa sòla resta quella già riportata: ha senso far pagare 50 euro di ingresso per un Festival che propone line up spompe, zanzare e fango nel solito postaccio non certo 'riqualificato'? No. Eppure, Milano ci è riuscita. È riuscita a dimostrarsi di nuovo respingente. Pure coi giornalisti (non la - fu - band di Tommy Paradise...)
Se un tempo il Mi Ami avrebbe venduto l'anima a Mefisto per uno straccio di copertura stampa, oggi, pur essendo rimasto la stessa roba, ha diverse pretese nei confronti di chi ne vorrebbe pur scrivere. Pretese rilanciate dalla sempre puntualissima giornalista Charlotte Matteini su X: in buona sostanza, per seguire l'evento devi smenarci dei soldi. 65 euro, nello specifico. 65 euro che non comprendono l'ingresso al concerto evento dei CCCP che aprirà le danze della kermesse al Carroponte la sera del 23 maggio. Ora, partendo dal presupposto che sia assurdo dover pagare per lavorare (ossia, in questo caso, buttar giù report dell'evento), forse è ancora peggiore la domanda successiva: "Cosa scriverete?". Chi organizza, per sapere se accettare o no la vostra penna all'interno dell'elitario Festivàl delle zanzare, vuole conoscere le vostre intenzioni. Come se poi fosse possibile avere in mente una recensione ancora prima di aver seguito l'evento in questione. Nel mondo della musica, come in quello televisivo, gli addetti ai lavori fanno spesso confusione tra articolo di giornale e comunicato stampa. Detto ciò, se troverete solo pezzi dai toni entusiastici rispetto a 'sto festivalino, ora sapete perché. Sorvolando sul fatto che 65 euro sono una cifra di media assai superiore a quella che si porterebbe a casa uno scrivano comune del web (ma pure dei prestigiosi cartacei), retribuito sempre e comunque a partita iva e sputi.
Che finaccia, questo Mi Ami Festival! Messa così, non importa nemmeno chi o cosa andrà a esibirsi, resta una manifestazione che esclude a priori gran parte del pubblico che pur vorrebbe partecipare. Esattamente il contrario di ciò che è gloriosamente stata. Respingente sotto ogni aspetto, a divertirsi rimarranno solo le zanzare (o troveranno un modo di spillare dobloni pure a loro? Non fatichiamo a immaginarcele svolazzare con mini-pass al collo e liberatoria firmata sul numero massimo di persone che di persone da pungere previsto). Ma cosa si crede d'essere, 'sto Mi Ami in versione snob? Cannes? Venezia? Forse è il caso di ricordare che, con buona pace di tutta la spocchia a oggi manifesta, resta e sempre resterà una rassegna di musica underground che si svolge a Segrate, vista tangenziale. "Place to be", un cazzo. Auff!!