Detesto scrivere in prima persona. Stavolta lo faccio perché l'argomento riguarda tutti, anche me. Premessa importante: sono tra quella (fitta, immagino) schiera di persone a cui Selvaggia Lucarelli, negli anni, ha avuto modo di dare contro, in pubblico come in privato. Una volta, rido ancora al pensiero, dopo una recensione negativa a mia firma mi contattò via Whatsapp vergando un lungo papiello che terminava con una sentenza: "Tu non scriverai mai più". Accadde tre anni fa e spero ogni giorno che la nostra continui a pensarla così sul mio conto. Mi ha portato e, finché dura, mi porta bene ancora oggi. Non mi sono sentita umiliata da quel messaggio, né ho pianto per averlo ricevuto. Semplicemente, ho continuato a fare il mio lavoro. Questo lo preciso per rendere chiaro fin da subito un punto cruciale: non ho nessun motivo per "difendere" Selvaggia Lucarelli. Anzi, dovrei essere tra i tanti che non vedono l'ora di un suo passo falso, di banchettare sullo scivolone, sul presunto o effettivo errore scrivendo editoriali pieni di giustizialismo sommario e rancore. Di gentismo social dettato da pura rivalsa personale. Non ho mai scritto, invece, che lei e il suo fidanzato Lorenzo Biagiarelli abbiano "istigato al suicidio" la povera ristoratrice di Lodi Giovanna Pedretti. Perché non lo penso. Come non lo pensano in tanti che, però, hanno vergato j'accuse di fuoco, sperando di silurarla professionalmente. Cosa che, anche grazie all'inchiesta che la nostra "strega di Civitavecchia" ha condotto sui Ferragnez, non è riuscita a nessuno. Nonostante gli sforzi congiunti di pressoché tutti. Ora una sua collaboratrice, Serena Mazzini (Serena Doe su Instagram) è subissata da accuse infamanti. Le mejo attiviste dei nostri giorni la stanno accusando di aver partorito e nutrito nel tempo un gruppo Telegram intriso di body shaming, sessismo, "bullismo" perfino. Raccontano, addirittura, che Serena avrebbe condiviso scatti privati e personali loro e di altre influencer alfiere dell'impegno social. Scrivono, denunciano, fanno la voce grossissima via storie Instagram. Finora, non hanno portato alcuna prova delle mostruosità che vanno dettagliando. Non c'è l'ombra di uno screen, si sente solo l'eco della potenza di fuoco che le loro parole stanno avendo grazie alle migliaia di persone che le seguono. Su X si celebra già il funerale (professionale) di Serena Mazzini. Alcuni commentano che sia un peccato perché consideravano, fino a qui, valido il suo lavoro. Altri godono e basta: "È ciò che si merita, visto che lavora con quella stronza!". Viene così legittimata una gogna di mediatica che potremmo benissimo definire 'legge del taglione'. E che è pericolosissima per tanti motivi. Visto che, chiaramente per ragioni 'personali', ai più sembra così difficile individuarli, cercherò di riassumerli in questo pezzo. Non ho amici né nemici. Sicuro, però, non voglio svegliarmi un mattino e scoprirmi accusata delle peggio cose, con centinaia di persone disposte a credere sulla parola a chi mi "denuncia" senza lo straccio di una prova. Immagino, e spero di immaginare bene, che nessuno voglia svegliarsi in un mondo in cui questo è possibile.
Prima di tutto, i nomi: la shitstorm parte da Valeria Fonte, attivista femminista. È stata lei a far partire il cosiddetto "call out" contro Serena Mazzini. Cos'è mo' un "call out"? Si tratta di un'azione social in cui si rivela/denuncia l'identità di qualche cattivone perché è ora e tempo di metterlo alla berlina, raccontandone in pubblica piazza le malefatte. A seguire, le hanno dato manforte Carlotta Vagnoli, Jennifer Guerra, Alice Pomiato e tantissime altre appartenenti a un certo circolino rosa di quelle che ben instagrammano, pardon, che mettono la faccia per difendere i diritti di noi tutte. Non è questa la sede per discutere il loro operato fin qui e non ci interessa farlo. Ognuno segue chi gli pare, ci mancherebbe. E se tanti si sentono rappresentate da queste voci, benvenga. Vogliamo però soffermarci, a prescindere dai nomi delle coinvolte nella contingenza in esame, sulla gravità assoluta di quanto sta accadendo: una gogna mediatica volta a denigrare e 'distruggere' una persona, Serena Mazzini, senza l'ombra di una prova concreta. Chi denuncia lo fa, alle volte, perfino per riportato. Moltissime, dopo la filippica, hanno l'ingenuità di raccontare fattarelli personali occorsi anni addietro. Sgambetti, scortesie, "una volta non mi ha salutato", "eravamo allo stesso evento ed è uscita durante il mio panel", "mi sono battuta tanto contro il revenge porn e Selvaggia Lucarelli è venuta a commentare che pure lei, prima di me, aveva fatto qualche cosa in proposito, che non fossi la prima a occuparmene e che avrei dovuto citare il lavoro di chi si era già esposto sul tema almeno nel recente passato". Una sequela di "Io!", "Io!", "E ancora io!" che sarebbe di per sé risibile. Se non fosse che tutti, letteralmente chiunque, stiano dando credito a queste voci insidiose e, ora come ora, diffamatorie. Perché succede?
Allo stato attuale dei fatti, non ha ragione nessuno. Serena Mazzini potrebbe essere responsabile di quanto le viene "imputato". Come è anche possibile che le attiviste in questione abbiano preso un abbaglio, per essere buoni. O che stiano agendo in malafede, perfino, spinte da rancori e animosità squisitamente personali. Senza prove, è chiacchiericcio. E allora come mai tutti sono certi che Serena Doe sia "colpevole"? Perché lavora con Selvaggia Lucarelli e Selvaggia Lucarelli non sta simpatica, per usare un eufemismo, a nessuno. Tra gli addetti ai lavori non c'è anima che parli bene di lei e questi stessi addetti ai lavori sono le persone che hanno scritto kilometri di articoli in cui la dipingevano come una che, stringi stringi, ha di recente istigato una signora del lodigiano a togliersi la vita. Ci sono stati addirittura fior di titoli con questo preciso messaggio. Messaggio che è arrivato forte e chiaro all'opinione pubblica. Quindi, oramai, "è andata così". Anche se non è andata così. Ma della realtà dei fatti importa poco e niente a nessuno. La "realtà" è soprattutto narrazione. E ciò dalla notte dei tempi, l'avvento dei social ha semplicimente amplificato un fenomeno che già c'era. Intanto, Fedez (e pure sua madre) gode su Instagram. Citando se stesso in una sobria canzone che parla dell'attesa di un cadavere che passa lungo un fiume.
A me non interessa chi vi sta più o meno simpatico. Non è questo il parametro con cui si dovrebbe valutare ciò che è giusto e ciò che, invece, non lo è. Quel che è certo è che ci troviamo di fronte a un "impianto accusatorio" basato su "si dice", "pare", "sento di dover riportare una cosa che mi è stata riferita da una persona che mi segue". Ed è qui che ci si dovrebbe fermare, punto e basta. Non ci sono abbastanza elementi per potersi schierare da una parte o dall'altra. Avallare questo "call out", scrivendo post indignati contro Serena Mazzini, al momento è follia pura. E, soprattutto, significa accettare di vivere in un mondo (social e non solo) in cui una influencer, attivista o meno, qualunque può svegliarsi un mattino e decidere di sparare, con la sua potenza di fuoco, in faccia a qualcuno che non le piace, uccidendone la reputazione. Per un giorno, per una settimana, magari per sempre. Non ha bisogno di fornire prove perché "se lo sta dicendo, ci sarà un motivo", ciò che afferma viene interpretato come credibile al 100% in sola virtù dei propri K.
Siamo così sicuri di voler dar forza a uno strapotere di questa portata? Perché questo è un fatto, appunto, pericolosissimo. E se non ora magari fra un po', accettando di conferire così tanto potere a un gruppetto di pochi, seguitissimi individui, nel mirino della prossima shitstorm potreste finire anche voi. Giudicati colpevoli a prescindere perché l'ha detto una femmina. O un maschio. O comunque un* signorin* nessun* con un esercito di seguaci pronti a ripostarne ogni respiro come verità assoluta, aprioristicamente. Siamo appena forse usciti dalla bolla monopolista dei Ferragnez. Vediamo di non entrare in una nuova gabbia social. Stavolta, a occhio, ancora più pericolosa della precedente. Per cortesia.