“La storia va per corsi e ricorsi. Tutto si ripete e noi siamo sostenitori, cittadini, quindi voglio ringraziare tutti i cittadini russi. Siamo tutti un’unica squadra…” Queste le parole di Vladimir Putin ieri sera, al termine della terza e ultima giornata delle elezioni presidenziali russe, tenutesi nel corso del weekend e concluse domenica 17 marzo. Com’era infatti atteso, Putin ha nuovamente trionfato con uno schiacciante 87% ed è stato dunque rieletto per il suo quinto mandato consecutivo, che durerà 6 anni, fino al 2030, portando lo “zar” a essere il più longevo (e unico) leader della Russia, che se dovesse davvero rimanere in carica fino al 2030, arriverebbe a oltre trent’anni al potere, raggiugendo una soglia toccata fino ad ora solo dal suo temibile predecessore Josif Stalin, che fu segretario del Partito Comunista dell’Urss per 31 anni consecutivi (dal 1922 al 1953). Ma in che modo si sono svolte queste elezioni? Proprio sulla gestione e la trasparenza dei voti, sull’incredibile record di preferenze a sostegno di Putin, così come sugli altri candidati, suoi oppositori - da più parti definiti come semplici “fantocci” assunti dal Cremlino per simulare una parvenza di democrazia – moltissimi cittadini russi, chiamati a scegliere per il futuro del Paese, hanno sollevato numerosi dubbi, che hanno originato azioni di protesta, rappresaglie e manifestazioni. Sono infatti diventati immediatamente virali i video dei danneggiamenti ai seggi e alle cabine elettori in diverse città russe, da una ragazza che ha lanciato inchiostro verde nelle urne, altri che hanno appiccato il fuoco lanciando molotov, a chi invece ha scritto insulti verso Putin e messaggi contro la guerra sulla propria scheda. Non si è trattato infatti di casi isolati, ma le azioni si sono anche ulteriormente moltiplicate nel corso del weekend, con l’aggiunta della massiccia iniziativa “Mezzogiorno contro Putin” dei dissidenti russi. L’iniziativa, fortemente spinta anche da Yulia Navalnaya, ha invitato i cittadini a recarsi in massa alle urne domenica alle ore 12.00 e annullare le proprie schede elettorali: lasciandole in bianco, scegliendo le caselle di tutti i candidati contemporaneamente o scrivendo anche il nome di Navalny, come forma di protesta. Proprio Yulia, che ha preso parte alle elezioni al Consolato russo di Berlino, ha infatti scritto sui suoi profili social: “Ho scritto il nome di mio marito Alexei Navalny”. A proposito dello svolgimento e soprattutto dell’esito delle elezioni, abbiamo intervistato lo storico ed esperto di nazionalismo russo Giovanni Savino, docente presso l’Università Federico II di Napoli, autore insieme a Giovanna Cigliano del saggio Il nazionalismo russo, 1900-1914: identità, politica, società (FedOA – Federico II University Press, Luglio 2022), analista, divulgatore sui canali Instagram russia.onivas e Telegram “Russia e altre sciocchezze” e precedentemente insegnante presso l’Accademia presidenziale russa di Mosca, da cui si è dovuto allontanare per ragioni di sicurezza dopo lo scoppio della guerra in Ucraina nel febbraio 2022.
Giovanni, quanto era scontata la vittoria di Putin? Da più parti si dice anche che dopo questa ennesima vittoria, Putin diventi il leader russo al potere per più tempo, al pari di Stalin, al potere per 30 anni…
Più che scontata era certa, perché la competizione elettorale ormai da anni è ben preparata, con tanto di kpi e milestone (ebbene sì, si usa il linguaggio manageriale occidentale, fatto di indicatori e obiettivi) fissati dall’Amministrazione presidenziale, vero fulcro del potere russo, e conosciamo anche quali erano le soglie: 70% d’affluenza e 80% di consensi per Putin. A quanto vediamo dai primi risultati, sembrerebbero superati gli obiettivi iniziali e il presidente può persino dire di aver una differenza sostanziale rispetto ai segretari generali dei tempi sovietici, perché è stato eletto in elezioni “pluralistiche”.
Ma gli altri candidati sono un minimo credibili o è tutta facciata per simulare che si facciano delle elezioni?
La selezione delle candidature ormai sin dalla fine degli anni Duemila passa attraverso l’Amministrazione presidenziale in maniera informale ma sostanziale, e poi dal Comitato elettorale centrale, il Tsik. Le regole per poter presentare la candidatura creano degli sbarramenti sul nascere, dal dover esser nominati da un’assemblea di almeno cinquecento persone le cui firme devono essere validate dal notaio alla raccolta delle sottoscrizioni alla candidatura, norme che sembrano semplici ma che nascondono degli inghippi di non poco conto, perché la convalida dei documenti (e quindi delle sottoscrizioni) viene effettuata da un team di grafologi del Ministero degli Interni assegnato al Tsik: come dimostrano i casi di Ekaterina Duntsova e Boris Nadezhdin, le firme possono essere considerate nulle anche in presenza degli stessi firmatari. Restano quindi gli esponenti dei partiti presenti alla Duma, da tempo inseriti nel sistema di potere del Cremlino e dotati di scarsa autonomia. Lo si vede anche da chi hanno candidato: per il Kprf, il partito comunista, si è presentato Nikolay Kharitonov, figura di secondo piano, e per il Ldpr, i liberaldemocratici in realtà assai poco democratici, Leonid Slutsky, che in campagna elettorale ha usato qualche riferimento all’eredità di Vladimir Zhirinovsky. Discorso a parte merita Vladislav Davankov, esponente di Novye Lyudi (Gente Nuova), partito moderatamente liberale e pienamente nel sistema: quarantenne, vicepresidente della Duma, è espressione di quel mondo degli affari al di fuori delle grandi compagnie legate agli oligarchi, ma inserito nelle dinamiche del putinismo maturo. Non è chiaro se arriverà secondo o meno (tradizionalmente in quella posizione arriva il Kprf), ma su Novye Lyudi una parte dell’establishment ha qualche idea di utilizzare quel partito per il dopo, che inevitabilmente verrà.
Si parla di tanta affluenza, ma secondo te sono dati veri o è propaganda? Putin è davvero sostenuto, o molta gente va a votare proprio per dare un segnale contro di lui?
L’affluenza viene ottenuta attraverso un lavoro scientifico verso i dipendenti delle compagnie pubbliche, delle amministrazioni federali e locali e delle holding, oltre a una serie di accorgimenti sviluppati negli ultimi anni: il voto esteso su tre giornate, con inclusa la possibilità di poter votare prima; i seggi mobili per chi ha difficoltà a recarsi alle urne; e soprattutto il voto elettronico, utilizzato per la prima volta per le presidenziali. Si tratta di innovazioni che hanno reso molto più difficile il controllo dello svolgimento delle operazioni di voto, unito alla proibizione di una serie di organizzazioni, come Golos, che dal 2011 era presente con propri osservatori alle urne. All’estero abbiamo visto lunghe file ai consolati e all’ambasciate, nonostante la riduzione dei seggi rispetto al 2018 e si può dire che in alcuni paesi – penso all’Armenia, al Kazakistan, ma anche alla Francia e alla Serbia e persino all’Argentina – a prevalere siano gli oppositori alla guerra. Esiste un consenso per Putin? Fino al 2020, anno della pandemia, si poteva ragionevolmente dire che vi era il cosiddetto “elettorato atomico” di Putin, poi tra il covid affrontato in modo particolare e poi soprattutto la guerra, ormai diventa difficile fornire una reale misurazione di quanto sia radicato e diffuso, e i risultati elettorali che fanno concorrenza a quelli azeri iniziano a essere la base di numerosi meme; paradossalmente rischia anche di danneggiare sul lungo termine il Cremlino, perché il rischio di credere alle proprie cifre accuratamente preparate e pianificate è forte.
In che cosa consisteva esattamente l'iniziativa di protesta di domenica alle h12.00 il “Mezzogiorno contro Putin”?
A chiamare all’appello è stata Yulia Navalnaya, vedova di Alexey Navalny, sia in memoria del marito, morto un mese fa, che per riallacciarsi alla strategia elaborata dallo stesso Navalny sin dalle elezioni del 2011 per la Duma, dove al centro vi è votare per chiunque non sia legato a Russia Unita e a Putin. Da quanto è stato possibile vedere, sia in Russia che all’estero vi son state lunghe code, anche con qualche incidente tra sostenitori e oppositori del presidente come avvenuto sia a Milano che a Roma, in alcuni casi, come a Tbilisi dove non vi erano seggi (Georgia e Russia non hanno relazioni diplomatiche dalla guerra del 2008), vi sono stati cortei, una partecipazione che forse dice molto su cosa potrebbe esserci in una Russia senza repressione.
L'iniziativa ha avuto successo?
Dal punto di vista mediatico vi è sicuramente stato un effetto importante, perché le foto e i video dei russi in coda hanno fatto il giro del mondo; in più vi è un elemento fondamentale per lo sviluppo di contatti orizzontali tra la gente e come esempio di incoraggiamento per chi crede di essere solo e isolato di fronte al potere, un po’ come avvenuto nel lungo addio a Navalny.
Cosa è accaduto nei territori occupati in Ucraina con le elezioni? È vero che hanno votato anche lì?
Si è votato lì, persino ad Avdiivka, da poco conquistata dall’esercito russo e ridotta a un cumulo di rovine. I risultati appaiono anche lì scontati, ad esempio nella parte della regione ucraina di Zaporizhya occupata, Putin ha ricevuto il 92,83% dei consensi; forse nel caso del mancato riconoscimento del risultato elettorale da parte dei paesi occidentali potrebbe esserci il voto nei territori occupati come ragione. D’altronde, l’82,6% dei detenuti nelle prigioni di Mosca hanno votato per Putin...
Abbiamo visto i video dei danneggiamenti e il caos in diversi seggi: dell'inchiostro sulle urne a chi ha appiccato incendi, sono fenomeni isolati o sono quantificabili? Perché in Italia non è mai davvero chiaro se ci sia una vera opposizione a Putin oppure no, o da chi sono presumibilmente voluti o organizzati questi attacchi ai seggi
Si tratta di una vera novità, perché mai erano capitati incidenti simili durante le elezioni, con attacchi ai seggi, danneggiamento di schede e così via; inoltre, nella regione di Belgorod son proseguiti i bombardamenti e i tentativi di incursione dal lato ucraino, qualcosa di mai avvenuto nemmeno al tempo delle due guerre cecene. Non è chiaro se vi sia una regia reale dietro gli incidenti alle urne, da parte delle autorità russe ovviamente si denuncia Kiev come responsabile, ma la dinamica appare simile agli attacchi agli uffici militari e ai sabotaggi ferroviari, dove ad agire sono varie realtà, spesso non strutturate.
È vero che chi ha fatto questi gesti sarà perseguito?
Sì, si è già proceduto agli arresti e si discute della possibilità di processare i responsabili per alto tradimento, in tal caso si tratterebbe di comminare pene molto pesanti, dai 15 anni di reclusione in su.
Per quanto riguarda l'Ucraina invece, vista la vittoria di Putin, la guerra continuerà. Ma è chiaro dove si ha intenzione di arrivare, secondo te? Anche rispetto alla assurda mappa che era girata qualche settimana fa: i russi stanno avanzando sempre più nei territori ucraini
Al momento vi è una impasse, e spesso si commette l’errore (soprattutto in Italia) di ignorare come questa stasi produca centinaia (se non migliaia) di morti al giorno. Se la guerra terminasse in questo momento, appare chiaro che il Cremlino si troverebbe con un risultato importante, controlla il 20% del territorio ucraino, il Mar d’Azov è diventato un bacino interno, però al tempo stesso in altri settori (penso alle posizioni nel Mar Nero) la situazione per Mosca appare molto più difficile. La guerra, come dicevi, continuerà e al momento sembra molto lontana una sua fine, anche perché l’idea enunciata da Putin più volte di negoziati partendo dalla “situazione sul campo” appare inaccettabile per Zelensky e per milioni di ucraini; se è vero che le forze russe avanzano, lentamente, è anche vero che è difficile fornire pronostici – tanto adorati dal nostro sistema mediatico – e credo sia anche sbagliato, perché il 2024 è un anno particolarmente denso e complesso per il futuro immediato del conflitto.
Su questa questione infatti, per fermare l'avanzata russa, Macron ha nuovamente esortato a intervenire con truppe terrestri in Ucraina, ma questo rischia di causare una reazione a catena perché coinvolgerebbe tutta la Nato, e anche in ministro Tajani si è infatti detto contrario. In che modo viene recepito questo messaggio dalla Russia? È visto come una minaccia? Anche dopo i vari discorsi e interviste di Putin e commenti sull'uso del nucleare, lo userebbe davvero?
Il messaggio viene percepito come la conferma di essere in guerra con l’Alleanza Atlantica e al tempo stesso vi è una strana dinamica, comune sia alla Russia che ai paesi Nato: l’idea che si stia bluffando. Se è molto probabile che nessuno ambisca alla distruzione reciproca, è anche vero però che la ridda di dichiarazioni, da un lato e dall’altro, spesso legata a contingenze di politica immediata, rischia di creare situazioni ancor più ingarbugliate e foriere di rischi enormi. Forse, più delle parole roboanti, servirebbe una strategia complessiva per l’Europa, ma al momento non si vede chi potrebbe elaborarla.