Oggi, 24 febbraio, ricorre un triste anniversario: sono infatti già passati due anni dall’inizio della guerra in Ucraina. Quella stessa guerra che in Russia ancora oggi viene chiamata “operazione militare speciale” e che nei primi tempi si pensava sarebbe stata solo una “guerra lampo”, facilmente gestibile contenibile. Quella stessa guerra le cui immagini hanno inorridito il mondo occidentale, con i civili ucraini ammassati nei sotterranei delle metropolitane, con le fughe di migliaia di famiglie, di madri e bambini, e con, dall’altra parte, le centinaia di russi scesi per le strade al grido di Niet Vojne! (“No alla guerra!”) sulla piazza Rossa di Mosca e sulla prospettiva Nevskij di Pietroburgo, così come in altre decine di città russe, per poi essere però schedati, repressi e in molti casi arrestati e accusati dei reati più assurdi.
L’Unione Europea e gli Stati Uniti da allora, sono intervenuti con numerose sanzioni verso le Russia di Putin, fra cui le ultime degli scorsi giorni, che, dopo la morte di Alexei Navalny, arrivano in nuovo pacchetto. Saranno infatti ben 500, e anche stavolta, come negli altri casi, ci si promette che saranno sufficienti. Saranno efficaci e riusciranno finalmente a rallentare e fermare quel conflitto, e affossare la Russia di Putin, si legge da ogni parte. I morti però, nel frattempo, hanno superato le 10.000 unità fra i civili ucraini, con migliaia di altri feriti, dispersi o emigrati. Gli ucraini che hanno lasciato il Paese sono oltre 6 milioni e i danni a case, palazzi e infrastrutture ammontano a quasi 5 miliardi di dollari. Non sembra vero siano passati in effetti già due anni dalle immagini di quei giovani soldati, ucraini (e russi), e soprattutto di quelle famiglie divise, con le mogli in fuga con i bambini, e i mariti invece al fronte a combattere. Due anni però, sono davvero passati, e dopo l’ultima sconfitta ucraina, con la conquista russa di Adviivka, la situazione sembra ferma a un punto morto. Come sta allora la controparte russa? Al momento la Russia si trova in vantaggio, e forse per questo il Cremlino è sicuro della vittoria, ma a quale prezzo?
La verità è che dopo due anni di logorante conflitto, in una Russia isolata e chiusa al resto del mondo occidentale, dove non ci sono più voli o altri mezzi di trasporto diretti per l’Unione europea; dove spesso non funzionano più le carte di credito; dove le attività commerciali occidentali se ne sono andate, facendo perdere migliaia di posti di lavoro; dove la maggior parte dei quotidiani russi indipendenti che parlavano della guerra – e non dell’ 'operazione militare speciale', come viene chiamata dal Cremlino – hanno ricevuto minacce e sono dovuti trasferirsi all’estero; ma soprattutto, dove migliaia di uomini, proprio come quelli oltre al confine ucraino, sono al fronte, il malcontento è alto. Tanti sono infatti, anche lì, i mariti, padri, figli e fratelli partiti, e in molti casi mai tornati indietro, tanto che nelle ultime settimane centinaia di donne russe sono scese per le strade a “reclamarli” in piccole manifestazioni, portando in mano un fiore e chiedendo che possano tornare a casa. Ovviamente invano.
Ma cosa fanno nel frattempo i politici? Il Presidente americano Joe Biden, ormai 81enne e senza alcun freno, ha recentemente definito Vladimir Putin come un “figlio di put*ana”. Ma Putin è forse da meno? Ovviamente no, perché come se si trattasse di un gioco tra ragazzi, e non di un conflitto che coinvolge leader di super potenze, ha commentato sarcastico in tutta risposta di “Preoccuparsi delle accuse verso il figlio Hunter”. Nel frattempo, però, chi ne paga le spese sono i civili. Oltre alle sanzioni, negli ultimi due anni l'Italia, l'Europa e tutto l'Occidente hanno stanziato diversi miliardi per il rifornimento di armi all'Ucraina, ma a guardare gli effetti, sembra non essere servito quasi a niente. E mentre Biden straparla, Trump, in piena campagna elettorale per le elezioni statunitensi di novembre, fra promesse che lui stesso contraddice – passando dal dire che sarebbe in grado di “far finire la guerra in Ucraina in un giorno” trattando con Putin, a dire poi che “Putin dovrebbe attaccare i Paesi Nato” – La Russia continua a guadagnare terreno.
A ridosso di questo triste anniversario, la percezione generale sembra però un po’ cambiata negli ultimi tempi: se la Russia si sta legando sempre più e saldamente alla Cina e all’economia cinese, chiudendosi all’Occidente, come a innalzare un vero e proprio muro che ricorda quasi quello della Cortina di Ferro; quello stesso Occidente, intanto, sembra però rendersi conto, proprio ora, che gli interventi in aiuto all’Ucraina sono stati pressoché inutili, nonostante i tanti sforzi. Una cosa che però nessuno sembra chiedersi, ma che forse sarebbe importante considerare è: che fine ha fatto la diplomazia? Che fine ha fatto l’idea di pace, alla base di organizzazioni internazionali come l’ONU, i cui principi ci hanno insegnato a rispettare fin da piccoli, a scuola, ma che nessuno sembra ora voler applicare?
È piuttosto chiaro ed evidente, che la Russia non abbia alcuna intenzione di retrocedere in questo conflitto. Ma allora davvero nessuno considera minimamente l’idea d’intavolare delle trattative? A vedere i fatti, vien in effetti da rispondere di no. E anzi, al contrario, si è pronti a intensificare le misure, pur di non cedere e dialogare con Vladimir Putin, che certo non suscita simpatia. Intanto però i civili e i soldati continuano a morire e le famiglie restano divise; ma allora, arrivati a questo punto ci si chiede: vale di più la resa, il cedimento, le trattative… O le vite umane?
Ho visto i generali:
Bevono e mangiano la nostra morte.
I loro figli impazziscono,
Perché non hanno più niente da desiderare.
E la terra giace nella ruggine,
Le chiese si mescolano alla cenere.
Ma se vogliamo che ci sia un posto in cui poter tornare,
È ora di tornare a casa.
Dalla canzone Poezd v ogne (“Il treno è in fiamme”) del cantautore russo Boris Grebenshikov