Gli attacchi di Israele a Unifil in Libano hanno fatto alzare la voce dell'indignazione. Netanyahu non guarda in faccia a nessuno, nemmeno alle missioni di pace internazionali dell'Onu. Anzi, come era già successo a Gaza, dove l’esercito israeliano aveva sostanzialmente identificato l’Unrwa con Hamas, ora sembra che Netanyahu voglia dire che la missione Unifil sia lo stesso che Hezbollah. I Paesi europei hanno condannato gli attacchi, il capo del peacekeeping Onu Daniel Lacroix ha confermato con il segretario generale Antonio Gutierres che i caschi blu rimarranno in Libano. Netanyahu, dal canto suo, ha negato che gli attacchi fossero deliberati ma, contemporaneamente, ha invitato i militari di Unifil ad andarsene. Si potrà mai trovare una soluzione? Lo abbiamo chiesto a Toni Capuozzo, che durante la sua lunga carriera come giornalista di guerra ha avuto modo di toccare con mano la situazione in Libano. Era proprio lì nel 2006, ai tempi dello scontro tra Israele ed Hezbollah, e ci ha parlato delle differenze tra oggi e allora, spiegandoci che se oggi si rimane in Libano è soltanto per “il prestigio della bandiera”, che i militari dovrebbero andarsene immediatamente perché “non ha senso rischiare la vita dei nostri uomini” che comunque “non hanno mai impedito” che Hezbollah scavasse dei bunker, e che la spesa militare è ingiustificata come quando “vai a mangiare fuori, spendi molto e mangi male”. La conversazione inizia con una domanda che, retoricamente, lo stesso Capuozzo ha posto su X.
Le giro la stessa domanda che ha posto lei su X: ha senso mantenere i soldati Unifil in Libano dopo gli attacchi di Israele?
I soldati sono lì per far rispettare la smilitarizzazione della zona e garantire che l’esercito regolare libanese sostituisca Hezbollah, e che Israele rispetti la sovranità libanese. Ma nessuna di queste cose è avvenuta negli ultimi 16 anni. Hezbollah ha continuato a operare liberamente, militarizzando la zona, e solo in una giornata ha lanciato centinaia di razzi. Nel frattempo, Israele ha recentemente fatto entrare le sue truppe. Dobbiamo riconoscere il fallimento di questa missione. A questo punto, è impossibile realizzarla. Sarebbe come trovarsi in una città allagata e pretendere di prendere un taxi per attraversarla: semplicemente non è fattibile. Quindi, per rispondere alla mia stessa domanda: se si rimane lì per smilitarizzare il Libano, allo stato attuale non ha alcun senso farlo, perché la smilitarizzazione è impraticabile.
Perché rimanere?
Restare lì è più una questione di puntiglio politico per il Segretario Generale delle Nazioni Unite o per alcuni governi, come quello italiano. Capisco che l'Italia, ad esempio, non voglia cedere di fronte alle pressioni esterne, ma è una questione di principio, non di efficienza.
La soluzione sarebbe abbandonare e basta?
La scelta più razionale sarebbe sospendere temporaneamente la missione, concordare una tregua tra le due parti, evacuare i caschi blu, ad esempio a Cipro, e tenerli pronti per un eventuale ritorno nel momento in cui le parti riuscissero a concordare una soluzione pacifica. Solo allora i caschi blu, compresi quelli italiani, potrebbero tornare per supervisionare un vero cessate il fuoco e la smilitarizzazione dell'area. Al momento, restare lì a cosa serve? Solo per il prestigio della bandiera? È un rischio inutile, soprattutto considerando che Israele sospetta che Hezbollah stia usando le installazioni dell’UNIFIL come scudo.
Israele ha espresso dubbi sul fatto che Hezbollah operi indisturbato sotto gli occhi delle forze dell'UNIFIL. Cosa ne pensa?
È difficile pensare che Hezbollah non abbia agito sotto gli occhi dell’UNIFIL. Hanno costruito tunnel e bunker a poca distanza dalle basi delle forze ONU, cose che era praticamente impossibile non notare. Immagino che i soldati dell’UNIFIL abbiano visto tutto questo, ma non abbiano gli strumenti per intervenire. La missione non prevede un coinvolgimento militare diretto, quindi non possono agire se non segnalando gli avvistamenti. Ma anche le loro segnalazioni potrebbero essere intercettate da Hezbollah, che potrebbe utilizzarle per i propri scopi. Addirittura, le telecamere di sorveglianza delle basi UNIFIL potrebbero involontariamente fungere da strumenti di spionaggio per Hezbollah.
Ritiene che ci sia il rischio di un'escalation della situazione?
Non voglio essere catastrofico, ma dobbiamo sempre considerare i possibili scenari. Israele, pur alzando la voce, sta attenta a non provocare incidenti gravi. Ad esempio, l’ingresso dei carri armati di cui si è parlato era in realtà un'operazione per evacuare dei feriti, non un attacco. Israele ha tutto l’interesse a evitare un'escalation. Hezbollah, al contrario, potrebbe trovare utile un incidente per incolpare Israele.
Un articolo pubblicato sul suo giornale, Ultimabozza, parlava di come l'inviolabilità di Unifil paradossalmente abbia finito per favorire Hezbollah.
Se io fossi in Hezbollah, la morte di un soldato dell’Unifil per mano di Israele sarebbe un’ottima opportunità per me.
Tra i caschi blu è consentito l'uso della forza per autodifesa, c'è il rischio che si arrivi a uno scontro con le forze Idf?
Non credo che si arriverà mai a quel punto. Quando ti spara un cecchino, non c'è molto che puoi fare. L'autodifesa ha senso contro un attacco da una formazione regolare, dove c'è il tempo di rispondere e individuare la fonte del fuoco. Ma di fronte a un razzo o a un colpo di cecchino, non hai possibilità di reagire. A mio parere, tenerli lì al momento non serve a nulla, se non a esporre i nostri connazionali al pericolo senza un vero motivo.
Netanyahu ha degli interessi a far allontanare la missione, no?
Sì, certo. Netanyahu ha tutto l'interesse a dichiarare che la missione ha fallito, che non ha raggiunto gli obiettivi. Hanno forse demilitarizzato la zona? No. Inoltre, Israele ha un conflitto aperto con le Nazioni Unite su vari fronti, come sugli aiuti umanitari e con l'Unrwa, l'agenzia Onu per i rifugiati palestinesi. Israele accusa l’Onu di collaborare con membri di Hamas, quindi c’è un conto aperto tra Israele e le Nazioni Unite. E non vedo perché noi dobbiamo mettere a rischio i nostri caschi blu in una situazione che non è nostra, soprattutto se non stiamo fermando lo scontro militare che al momento è inarrestabile. Al massimo facciamo da notai, ma non siamo arbitri. Essere arbitri è impossibile in questo contesto.
La missione è iniziata proprio così nel 2006, con lo scontro tra Hezbollah e l’Idf.
Esatto, e ora, per la prima volta, Israele sta attaccando direttamente la missione Onu. È chiaro che, per Israele, la missione è delegittimata dal suo fallimento nel garantire la smilitarizzazione. Questo non giustifica gli spari alle torrette, ovviamente, ed è giusto che il governo abbia protestato. Ma il fatto che abbiano colpito le torrette è molto simbolico: “state osservando, ma non fate niente”. Hanno sparato alla base delle torrette, ferendo qualcuno nella caduta, ma rimane un fatto grave. Hanno persino colpito le telecamere di sorveglianza.
Israele sembra contestare anche la legittimità morale di Unifil?
Di fatto non riconosce più la legittimità morale della missione, accusandola di aver lasciato che Hezbollah violasse le regole per 18 anni. E questo è un problema molto serio.
Nel 2006 in Libano fu un'intensa attività diplomatica a condurre a far cessare il fuoco. Oggi?
Io ero lì, lo ricordo bene. All'epoca ci fu una spinta diplomatica che permise di arrivare a quella fase della missione, ma oggi la situazione è diversa. Questa sarebbe, credo, la terza fase di Unifil, perché la missione ha un bel po' di anni di storia. È iniziata nel 1978, quindi sono circa 46 anni di operazioni. Ora, però, siamo in una fase che chiamerei Unifil 3, e penso che ci vorrebbe una Unifil 4. Ma nel frattempo, non ha senso rischiare la vita dei nostri uomini.
Era lì all'epoca, quali differenze nota rispetto a oggi?
La situazione è cambiata molto. Israele ha un nervo scoperto a causa del costo elevato che ha pagato per l'occupazione del Libano nel secolo scorso. Quell'occupazione ha permesso a Hezbollah di acquisire fama e autorevolezza, essendo riuscita a costringere Israele a ritirarsi. Oggi, però, Hezbollah è molto più forte di allora. Ha combattuto in Siria a fianco di Assad contro lo Stato Islamico, e nel frattempo ha avuto tutto il tempo di fortificarsi, scavare bunker e militarizzare ulteriormente la zona. Non so se sia vero che stessero preparando qualcosa di simile al 7 ottobre, con piani di attacchi contro gli insediamenti israeliani vicino al confine, ma di certo hanno rafforzato la loro presenza militare. Inoltre, Israele è impegnata su altri fronti: Gaza, le tensioni con l'Iran. È una situazione molto diversa rispetto al 2006. Ricordo anche che quest'anno, sul fronte nord, sono morti 28 civili israeliani. È un numero piccolo se confrontato con le vittime a Gaza, ma per Israele è un vulnus. Inoltre, 60.000 persone sono state costrette a evacuare i loro villaggi, i kibbutz, le loro case, a causa del fuoco di Hezbollah. Questo non può essere ignorato.
La motivazione ufficiale della missione è che la situazione in Libano costituisce una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale.
Certo, ma come possiamo difendere la sicurezza internazionale restando lì in questo momento? La nostra presenza è ormai ininfluente, inutile.
Ho visto un documento della Camera relativo al 2020 che riportava i costi della missione, e credo che non siano cambiati molto.
Parliamo di circa 150 milioni di euro. Dal documento che ha citato risulta che un militare guadagni circa 6.100 euro al mese, senza contare le altre spese.
È una spesa importante, ma si potrebbe evitare?
Se la spesa è giustificata dai risultati, allora ha senso. Il problema è quando si spende senza ottenere nulla. È come andare a cena fuori, spendere molto e mangiare male. Stiamo spendendo soldi per una missione che non sta portando benefici concreti. I nostri soldati sono per lo più chiusi nei bunker, con il personale ridotto al minimo per la sorveglianza delle basi. Continuano a fare osservazioni dalle torrette, registrano e inviano rapporti a Naqoura, ma è tutto limitato. Gli avamposti più isolati sono stati spostati in basi più grandi. Mi ripeto, ma tenerli lì è solo una questione di immagine, non di reale utilità. Questo non significa fare un favore a Netanyahu o ritirarsi per paura, ma bisogna anche considerare i nostri interessi. Se in questo momento non siamo utili alla pace, perché rischiare inutilmente la vita dei nostri uomini?
Quindi, è una questione di funzionalità e di utilità.
Esattamente. Bisogna valutare se la nostra presenza lì ha ancora senso o se stiamo semplicemente mettendo a rischio i nostri soldati senza una reale necessità.
Si è detto che la Meloni vuole andare in Libano. Secondo lei ci andrà davvero?
Non saprei, potrebbe andarci, certo, magari a Beirut che è un posto tutto sommato calmo, se non vai nel quartiere Sheeta. In questi giorni c'è anche il ministro degli Esteri iraniano. Potrebbe essere una sfida, anche se la vera sfida sarebbe andare nella base Unifil. Tuttavia non capisco questa sorta di "candidatura all'eroismo". Ci vorrebbe molto più coraggio a dire: "Voi due siete testardi, e noi portiamo i nostri uomini a Cipro. Quando vi metterete d’accordo, torneremo".
Chi ci perderebbe nel caso di un ritiro? La popolazione locale?
In realtà la popolazione è in parte già evacuata. Quelli che sono rimasti, al momento, non siamo noi a poterli assistere. La verità è che non stiamo facendo niente di concreto in questa fase della missione.
E in una situazione del genere, cosa si può fare per la popolazione?
In passato abbiamo avuto un ottimo rapporto con la popolazione locale. Questo è stato uno degli aspetti di successo della missione. Dal punto di vista umanitario, i caschi blu hanno fatto il loro lavoro. Il rapporto con la popolazione è sempre stato positivo.
Non ci sono mai stati motivi di attrito con la popolazione locale.
Esatto. Non abbiamo mai impedito, ad esempio, l'accesso alle scuole o alla distribuzione di aiuti. Però non abbiamo neanche impedito che scavassero bunker o costruissero postazioni da cui lanciare razzi. Quando c’era una situazione di quiete, tutto andava bene, ma adesso il rischio è di passare da un “quieto vivere” a un “quieto morire”.
Impedire la costruzione di bunker e tunnel faceva parte dei compiti della missione?
Doveva esserlo. L'accordo prevedeva che Hezbollah smilitarizzasse la zona e non avessero più miliziani armati lì. Ma come hanno fatto a non accorgersene? Beh, sai bene come funziona. Non puoi intervenire militarmente per fermarli, non è consentito dalle regole d’ingaggio. Ma è impossibile che i caschi blu non si siano accorti di nulla. Gli uomini di Hezbollah si sono allargati perché sapevano di poterlo fare senza conseguenze.