“Nei conflitti si scivola, a volte senza rendersene conto e noi stiamo ballando sull’orlo di un conflitto. Non è che nel ’39 si rendevano conto del conflitto mondiale, e nemmeno nel 1914. Per questo credo sia un dovere mettere in guardia.” Queste le parole di Toni Capuozzo, a proposito dell’evoluzione delle guerre in corso in questo momento, da quella fra Russia e Ucraina che va avanti da oltre due anni, al sanguinoso conflitto in Medio Oriente, dove si contano, ad ora, oltre 35mila morti. Il noto giornalista e reporter si è spesso occupato di guerra e conflitti, sia su diversi giornali e tv, che direttamente sul campo, fra Medio Oriente, Somalia e le guerre nella ex Jugoslavia. Autore anche di diversi libri, fra cui l’ultimo, Cos’è la guerra (Signs Publishing, 2024), che spiega il significato dei conflitti ai ragazzi, in una realtà come quella odierna, sempre interconnessa e dove le brutali immagini dal fronte fanno in pochi minuti il giro del mondo, ci ha fornito la sua analisi sugli ultimi avvenimenti, dal summit per la pace dell’Ucraina in Svizzera, dove la Russia non ha partecipato, alla visita di Vladimir Putin in Corea del Nord, da Kim Jong-un; dalle tensioni fra Israele, Hezbollah e l’Iran, all’ipotesi per Benjamin Netanyahu di dover scendere a patti con i miliziani di Hamas. “Putin e Netanyahu sono accusati di crimini di guerra, ma Netanyahu ora appare più debole” ci ha detto nel corso dell’intervista, eppure “Israele, come gli Stati Uniti, è ancora una democrazia”.
Lei si è occupato a lungo di guerra, a questo proposito: ha seguito quello che è stato discusso nel recente summit per la pace dell’Ucraina in Svizzera? Hanno partecipato oltre 90 Paesi, con anche Giorgia Meloni e Antonio Tajani per l’Italia, e ovviamente Volodymir Zelensky. Un summit del genere, può davvero servire o portare alla pace?
No, credo di no. Serve solo a capire quanto il processo di pace sia realisticamente lontano da noi. Le guerre di solito finiscono in due modi: con una vittoria schiacciante o con i negoziati, dove si trova un punto di comune accordo. Il summit in Svizzera è stato una conferenza fatta, in buona parte, da Paesi che sostengono la difesa dell’Ucraina, ma non sostengono affatto l’avvio di negoziati con la Russia. E poi ci sono Stati 12 Paesi che pur non schierandosi direttamente con la Russia, non sono intenzionati a farsi coinvolgere in un conflitto mondiale. Al momento l’unica iniziativa vera e concreta di negoziati è arrivata dall’Arabia Saudita, che si è proposta di ospite un incontro con anche la Russia.
Ecco, in Svizzera la Russia non c’era, ma si può fare pace con la Russia, senza la Russia?
No, è ovviamente impossibile. Oltretutto i termini in cui la pace è stata “vaneggiata”, sono totalmente irrealistici. Quando si parla dell’integrità territoriale dell’Ucraina, di cui si è parlato in questo summit in Svizzera, bisogna ricordare che la questione non è iniziata nel 2022, ma prima, almeno nel 2014, dove già c’erano dei secessionisti. Già lì l’Ucraina aveva iniziato a perdere parte della sua integrità territoriale. In questo scenario, è chiaro che non esiste una pace “giusta”, ma una pace “possibile”. Pensare che Putin si ritirerà è irrealistico, non è possibile, non è reale. La Russia ha allargato proprio quei territori secessionisti e sarà difficile chiedere di “abdicare” e restituirli all’Ucraina, anche se erano territori suoi, secondo carta geografica. Non è proprio alla portata dell’esercito ucraino riuscire a “ricacciare” la Russia.
E cosa pensa del fatto che l’Ucraina possa entrare nella Nato?
Sono solo “minacce” fatta alla Russia, per invitare ad abbandonare l’Ucraina, ma non è una cosa possibile. Non lo è per lo statuto dell’Allenza atlantica, perché non possono aderire Paesi che sono già in guerra.
In questi giorni Putin è stato in Corea dal suo amico e alleato Kim Jong Un a brindare e soprattutto a raccogliere munizioni, lanciando anche un messaggio “contro l’imperialismo statunitense”. Secondo lei l’Occidente lo deve temere?
Secondo me va preso seriamente. Noi sui nostri giornali italiani, abbiamo parlato di un “cambio di regime” in Russia, con l’illusione che le difficoltà sul fronte ucraino avrebbero portato a una sconfitta di Putin, una sconfitta interna, oltre che all’isolamento internazionale. Ma non è stato così. La controffensiva ucraina non ha portato i risultati sperati e la Russia è tutt’altro che isolata a livello internazionale, non solo per la vicinanza della Corea del Nord e della Cina, ma anche per quello che è successo proprio in Svizzera: 12 Paesi non hanno firmato il comunicato finale e tra loro ci sono anche Messico, Brasile, India, per esempio, e vari altri Paesi che non sono così omogenei alla Russia, ma nemmeno intendono essere trascinati in un conflitto mondiale per l’Ucraina. Questo dimostra che la Russia non è sola e non ci sono solo Cina, Iran e Corea del Nord.
Sì, a questo proposito, come ha detto, ci sono tanti Paesi, che non appartengono all’Occidente, che non sono “direttamente” dalla parte della Russia, ma nemmeno dell’Ucraina, forse hanno altri interessi?
Noi non siamo tutto il mondo. Gli Stati Uniti, l’Occidente, perseguono i propri interessi, ma ci sono tanti Paesi che non sono schierati con loro e non sono interessati. Pensi a una grande democrazia come l’India. Tanti Stati non sono disposti a imbarcarsi in un massacro per difendere l’Ucraina. L’Occidente finora si è scontrato con quelle che sono state definite come “guerre asimmetriche”, come quelle contro i talebani, contro Gheddafi, ovvero scontri di basso profilo, in teoria. Ma se per esempio, ricordiamo che l’Occidente non è riuscito a sconfiggere nemmeno i somali, in fondo, non può sconfiggere così facilmente i russi. Piuttosto, noi dobbiamo chiederci se abbiamo sbagliato nel valutare la situazione. Abbiamo sottovalutato i secessionisti e la guerra civile del 2014 e dopo l’invasione russa - comunque illegittima - non abbiamo pensato a un piano B. Ne siamo di fatto privi. Tanti leader europei, per esempio Ursula von der Leyen, non hanno minimamente preso in considerazione una sconfitta dell’Ucraina, ma sempre e solo la certezza della vittoria, ma ora è evidente che si è trattato di un’illusione. Anche alla conferenza in Svizzera, così come al G7, non è stata pensata nessuna strategia di pace, solo strategie per finanziare la guerra, per il rifornimento di armi, aiuti eccetera.
Per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese invece, lei si è occupato di Medio Oriente per diversi anni, dunque perché, secondo lei, nonostante le brutali immagini degli attacchi dell’Idf a Rafah, non è cambiato niente? Quelle immagini dei corpi martoriati hanno fatto il giro del mondo…
La situazione è invariata perché Netanyahu ha fatto lo stesso errore che ha fatto la leadership europea con l’Ucraina. Dopo il 7 ottobre Netanyahu ha annunciato che la guerra contro Hamas sarebbe finita solo ed esclusivamente con la distruzione totale di Hamas. Non ha previsto altre vie e ora con la situazione che peggiora, si ritrova a sbattere contro un muro. C’è un numero altissimo e ingiustificato di morti, ma Hamas ha mostrato anche una resistenza caparbia. Anche se molti miliziani sono stati stanati e uccisi, comunque ancora ci sono ed esistono e si rischia di dover considerare una tregua proprio con loro, con Hamas, che ha voce in capitolo. Dover immaginare Hamas al tavolo delle trattative è una sconfitta sonora per Netanyahu.
In che modo si vede il parallelismo con l’Ucraina?
Quando noi rimproveriamo l’Europa per essersi lanciata in Ucraina senza strategia, lo stesso errore lo ha fatto Netanyahu con Hamas. Non sono riusciti a sconfiggerli in oltre 6-7 mesi di guerra, con un costo di 40mila vittime civili. Di fronte alle vittime Hamas comunque non farà una piega, vista la loro concezione del martirio, ma questo è già una sconfitta per Israele e una vittoria per Hamas.
Di fronte a questo, Israele è ancora una democrazia? È davvero “l’unica democrazia in Medio Oriente”, come dicono molti?
Sì, è vero. È l’unico Paese in cui c’è una vera opposizione e c’è alternanza al potere, anche se Netanyahu governa da quasi vent’anni, ci sono le classiche dinamiche imperfette che abbiamo anche nelle nostre democrazie. D’altra parte, in Medio Oriente abbiamo regimi come quello di Assad in Siria, la monarchia in Giordania, uno Stato fragile come il Libano e il conflitto fra Hezbollah (che non è ovviamente il Libano) e Israele, e anche l’Egitto di Al-Sisi. Al-Sisi è andato al potere con un colpo di Stato e comunque è sempre lo stesso anche del caso di Giulio Regeni. Anche gli Stati Uniti sono una democrazia, che pur ha causato milioni di morti fra Iraq e Afghanistan, ma questo non toglie che sia una democrazia, come lo è Israele.
Netanyahu è stato accusato di crimini di guerra e recentemente ha anche sciolto il gabinetto di guerra di Israele. Secondo lei è più isolato? Potrebbe cadere o è destinato a restare al potere ancora per anni?
Anche Putin è stato accusato di crimini di guerra, ma Netanyahu ora appare più debole e deve valutare come avviare una conclusione della guerra a Gaza. Peccato che per farlo, l’unico modo sarebbe se fosse così fortunato da riuscire a catturare la dirigenza di Hamas da mostrare come “trofeo”, per riuscire a chiudere quella pagina, sanguinosamente aperta il 7 ottobre. Ma per il resto, è preoccupante la situazione non solo con Hamas, ma anche con il Libano, dove c’è Hezbollah da una parte e l’Iran dall’altra, che vuole trascinare Israele in un conflitto aperto. Ovviamente questa è un’altra situazione problematica in Medio Oriente ed è difficile pensare a qualsiasi tipo di accordo.
Visto l’elevato numero di vittime a Gaza, anche lei ha parlato di circa 40mila morti, è sbagliato usare il termine “genocidio” in questo conflitto?
Sì, è esagerato usare “genocidio”, perché genocidio è un lavoro di eliminazione pensata in modo scientifico. Se pensiamo che sul territorio di Israele vivono circa due milioni di palestinesi, magari vengono considerati come persone di serie b, ma comunque ci vivono, “genocidio” è usato a sproposito. Non lo avevo usato nemmeno io nei Balcani, quando avevo seguito quel conflitto e forse anche lì venne detto solo in riferimento ai massacri di Srebrenica. Genocidio è stato lo sterminio degli armeni da parte dei turchi, quello in Ruanda, e quello che tutti conosciamo verso gli ebrei da parte dei nazisti. La parola “genocidio” viene detta da chi non sa usare bene le parole, come chi usa la lettera maiuscola per enfatizzare.
Lei è stato inviato nelle guerre di Jugoslavia negli anni Novanta. Quando la guerra in Ucraina è iniziata nel 2022, si è detto che questo avvenimento era arrivato per rompere decenni di pace in Europa, dopo la Seconda guerra mondiale. Eppure, ci sono state le guerre di Jugoslavia, appunto, nei Balcani. In cosa sono diverse da quelle di oggi in Ucraina e a Gaza?
Le guerre di oggi sono diverse, perché sono asimmetriche. Dopo il crollo del muro di Berlino, abbiamo visto vari scontri con gruppi militari, miliziani, ma non eserciti veri e propri. Era successo così anche nei Balcani, dove si scontrarono bande etniche e nazionali, e non si capivano nemmeno bene le fazioni, le ragioni. Il conflitto in Ucraina di oggi, al contrario, è una guerra di tipo “tradizionale”, con un ritorno delle artiglierie, cannoni - mandati anche da noi - e nuovi strumenti come i droni, che erano stati usati in modo limitato per esempio in Afghanistan e oggi sono invece diffusissimi.
Cosa pensa del modo in cui le notizie di guerra vengono trattate dalla stampa italiana?
Nei media italiani oggi c’è una certa difficoltà a raccontare cosa accada davvero sul campo. Nel conflitto russo-ucraino viene raccontato solo il punto di vista ucraino, senza immaginare come sia la guerra vista dall’altro lato, se non in pochi casi. Quindi abbiamo la cronaca di un lato, e quasi sempre, se non sempre, molto militante. La stampa italiana condivide le illusioni dei leader europei, facendo da “veline” agli Stati maggiori. E la stessa cosa avviene anche in Medio Oriente: non abbiamo delle informazioni da reporter occidentali presenti nella striscia di Gaza; non ci sono nemmeno giornalisti embedded tra i soldati israeliani, ma abbiamo dei racconti da chi è vicino alla striscia o persino da Gerusalemme, telefonate da Ong internazionali e così via. Anche per il numero di vittime, qual è la fonte? A Gaza è il ministero della Sanità di Hamas. Non metto in discussione il numero di vittime, ma le informazioni che arrivano sono quelle.
Recentemente ha scritto un libro, Cos’è la guerra (Signs Publishing, 2024) e ha fatto diversi eventi per spiegare cosa sia la guerra, anche ai ragazzi. Come spiegare la guerra?
Io sono cresciuto all’indomani della Seconda guerra mondiale e io, come quelli della mia generazione, pensavamo alla guerra come una cosa lontana, legata ad altre terre e Paesi. Nella maturità, anche quella professionale, la guerra è invece arrivata in Europa. Le guerre degli anni Novanta in ex Jugoslavia erano incomprensibili. Era difficile capire chi avesse torto o ragione e cosa li animasse. Oggi invece i ragazzi hanno sotto gli occhi dei conflitti che ci riguardano tutti: tutti i Paesi europei stanno aumentando le spese militari e alcuni stanno anche reintroducendo la leva. Noi facevamo manifestazioni contro la guerra in Iraq, mentre oggi che la guerra c’è, anche in Europa, non c’è nessuna manifestazione per fermarla, ma anzi, mandiamo le armi. Quindi siamo parte in causa. I ragazzi crescono con la sensazione che la guerra ci sia, che esista e ciò crea disagio. Quindi, secondo me bisogna dare loro degli elementi razionali per aiutare a superare questo disagio, non abituandoli a fare finta di niente.
Secondo lei c’è il concreto rischio che questi conflitti frammentati, portino a una guerra mondiale?
Nei conflitti si scivola, a volte senza rendersene conto e noi stiamo ballando sull’orlo di un conflitto. Non è che nel ’39 si rendevano conto del conflitto mondiale, e nemmeno nel 1914. Per questo credo sia un dovere mettere in guardia, anche i ragazzi. Oggi gli stessi leader che hanno preso parte in causa in questi conflitti, cercano di essere “rassicuranti”, non facendo vedere i reali rischi che corriamo, ma noi italiani, per esempio, abbiamo diverse testate atomiche di cui non abbiamo nemmeno le chiavi. Ma il solo fatto che le abbiamo, ci mette in una situazione di pericolo.
Secondo lei Giorgia Meloni dopo la vittoria alle elezioni europee e il successo del G7, può avere un ruolo per le decisioni politiche a livello internazionale? Potrebbe portare a una pace in Ucraina, per esempio?
Giorgia Meloni è molto obbediente agli Stati Uniti, è fedele e vicina Zelensky e anzi, lei spinge per questo conflitto. Non potrebbe assolutamente portare alla pace.
E la Cina?
La Cina è un elemento che forse potrebbe essere importante, pur sapendo che spalleggia la Russia e guarda agli Stati Uniti come grande avversario. Noi siamo un mercato molto importante per la Cina, che sicuramente, anche per questo, non è interessata a mantenere una situazione conflittuale.
Quanto peso hanno gli interessi economici nel far proseguire la guerra?
L’economia spiega molte cose: la guerra costa e produce profitti, ma anche la pace costa e produce profitti. Certo, i soldi che si spendono in armamenti, sarebbe meglio se venissero spesi per ricostruire l’Ucraina. Sarebbe meglio spendere i soldi per la pace, non per la guerra, ma i leader europei non la vedono così. Anche i 50 miliardi promessi al G7 per l’Ucraina non sono pensati per una sua ricostruzione, quindi non c’è una vera visione o una soluzione per uscirne. L’unica visione portata avanti è quella di sconfiggere la Russia, ma come?
Sconfiggere la Russia è quello che ora si ipotizza ed è quello che ha ripetuto più volte anche Zelensky. Lui durerà ancora a lungo, secondo lei?
Zelensky starà al potere fino a quando lo vorranno gli Stati Uniti, ma armando l’Ucraina, comunque non stiamo migliorando la loro situazione, tanto che molti hanno iniziato a scappare e disertare.