Il rischio di una grande guerra regionale continua ad aumentare in Medio Oriente, dove si è intensificato il conflitto fra Israele e Iran. Gli eventi delle ultime ore hanno peggiorato il quadro geopolitico e l'Occidente si ritrova risucchiato in una spirale al rallentatore verso l'abisso. L'Iran, in accordo con la sua strategia bellica focalizzata sul logoramento a lungo termine, ha preferito bilanciare attentamente la risposta militare, interagendo con i diplomatici dei Paesi arabi e indirettamente con i rappresentanti occidentali. Ma in questo continuo scontro, diretto e indiretto, i falchi di ogni fazione stanno alzando la posta in gioco, mentre la violenta guerra israeliana a Gaza alimenta risentimenti profondi e la rabbia delle piazze. Tutti gli attori esterni chiedono la de-escalation, ma la deriva non accenna a fermarsi. Specialmente con un Occidente privo di una strategia efficace, minata anche dal peso geopolitico in diminuzione e dall'ascesa del mondo multipolare, con la stretta collaborazione tra i rivali sistemici, come Russia, Iran e Cina.
Gli Usa si trovano sovraesposti su più fronti con un declino progressivo del loro potere egemonico
Rispetto a 20 anni fa e alla “guerra al terrorismo” di George Bush, gli USA si trovano sovraesposti su più fronti internazionali (dall'Ucraina fino a Taiwan) con un declino progressivo del loro potere egemonico. L'America non ha più la volontà di impegnare centinaia di migliaia di soldati in guerre mediorientali, specialmente dopo il fallimento delle campagne militari in Iraq e in Afghanistan. Il trauma delle “forever wars” rimane ben presente nel sentimento nazionale, mentre il pensiero strategico statunitense è ormai rivolto al contenimento del vero avversario globale: la Cina.
Grazie all'autonomia energetica raggiunta negli ultimi anni, gli USA sono diventati il primo produttore mondiale di petrolio e non considerano più centrale il mondo arabo. Ma nonostante i tentativi di disimpegno, la ferrea alleanza con Israele, la pressione delle lobby, l'azione dei rivali geopolitici e i continui rivolgimenti nell'area, hanno spinto la presidenza Biden ad un appoggio incondizionato al governo di Netanyahu, con ulteriore aumento del caos. Gli USA non vogliono combattere su larga scala, ma allo stesso tempo non sanno come pacificare il Medio Oriente. Le stesse campagne navali lanciate contro il “blocco del Mar Rosso” imposto dagli Houthi, non hanno sortito gli effetti sperati costringendo gli americani ad aprire alle trattative. A questa confusione generale contribuiscono le faide della politica interna con i veti incrociati al Congresso, alimentati anche dal fatto che quest'anno ci saranno le elezioni presidenziali a novembre.
Gli Stati europei sono anche in condizioni peggiori, essendo privi di una politica estera condivisa
Gli Stati europei sono anche in condizioni peggiori, essendo privi di una politica estera condivisa, di una strategia per il mondo arabo e della capacità di influenzare gli attori regionali, nonostante la cosa sia di primaria importanza per il nostro continente. La guerra in Ucraina ha mostrato platealmente i limiti dell'apparato militare-industriale europeo e ancora più limitata risulta l'azione diplomatica, paralizzata da una babele comunitaria di nazioni con interessi divergenti.
Con un quadro così deteriorato il governo di Netanyahu procede senza alcun freno, nonostante mesi di accuse internazionali contro le azioni brutali condotte a Gaza. Gli iraniani allo stesso tempo rivendicano con maggior forza di essere i veri attori a difesa del mondo islamico. Eccetto fanatici come il ministro israeliano Itamar Ben-Gvir o altri falchi, nessuno vuole l'escalation finale. Ma la spirale al rallentatore, attacco dopo attacco, rischia di raggiungere il punto di non ritorno...