A che punto siamo della guerra fra Russia e Ucraina? Lo scorso fine settimana il New York Times ha pubblicato in esclusiva mondiale il file completo contenente gli accordi per la pace fra Russia e Ucraina che erano stati preparati nell’aprile del 2022 a Istanbul, a poche settimane dall’inizio dell’invasione russa nell’Ucraina orientale. Come già emerso in altre occasioni, i documenti hanno confermato che una pace fra i due Paesi era già possibile, e un accordo era già stato parzialmente raggiunto, anche se diverse clausole, fra cui una in particolare sulla neutralità dell’Ucraina, fecero saltare tutto. Secondo alcune ricostruzioni la colpa è da attribuire direttamente a Vladimir Putin, secondo altre invece all’allora Primo ministro britannico Boris Johnson. Nel frattempo, a Bürgenstock, in Svizzera, è stato organizzato il gigantesco summit internazionale per la pace proprio fra Russia e Ucraina, ospitante i delegati di 92 Paesi, fra cui Giorgia Meloni e Antonio Tajani per l’Italia, oltre al presidente ucraino Volodymir Zelensky. Tuttavia, una decisione unanime non è stata confermata da tutti, dato che fra i firmatari del comunicato congiunto, 14 Paesi (e non 12, come emerso in un primo momento) fra cui Armenia, Indonesia, Colombia, Libia, Messico, Arabia Saudita e Emirati Arabi, hanno rifiutato di aderire, oltre ai due grandi assenti all’intero evento: Russia e Cina. Che dire invece del sanguinoso conflitto in Medio Oriente? Dopo i violenti attacchi dell’IdF (Israel Defense Forces) su Rafah nelle ultime settimane, e le polemiche sul rimpatrio dei quattro ostaggi prigionieri di Hamas, che hanno causato centinaia di vittime palestinesi collaterali, la situazione, più che mai critica, non vede una via d’uscita, tanto che il Benjamin Netanyahu ha deciso di sciogliere il gabinetto di guerra di Israele. Siamo dunque ai preamboli di una Terza guerra mondiale, come hanno paventato diversi analisti? E qual è il ruolo dell’Italia in questo scenario, dopo le elezioni europee? Ne abbiamo parlato con il giornalista e reporter di guerra Alberto Negri, inviato per oltre 40 anni in numerosi territori coinvolti in scontri bellici, fra Medio Oriente, Asia, Africa e Balcani.
Lo scorso weekend il New York Times ha pubblicato i documenti ufficiali della pace che era stata negoziata tra Russia e Ucraina nel 2022, di cui si è detto che venne ostacolata da Boris Johnson. Ha avuto modo di leggerli e cosa ne pensa?
Dai documenti pubblicati dal New York Times, ma anche da altri quotidiani nell’ultimo mese, è evidente che si era cercata una soluzione diplomatica, ma purtroppo il problema è sempre questo: gli Stati Uniti negli anni hanno continuato la loro penetrazione in Ucraina, con la loro intelligence, e con questo però, non hanno fatto altro che sviluppare e aumentare la diffidenza di Mosca verso il mondo occidentale. Questa diffidenza si può far risalire, per esempio, al famoso memorandum di Budapest del 1994 (Il memorandum sulle garanzie di sicurezza in relazione all’adesione dell’Ucraina al trattato di non proliferazione delle armi nucleari, nda), ma senza entrare nei dettagli, la questione di fondo è sempre stata questa: Washington voleva trattare la Russia come una potenza regionale, cosa ribadita poi anche da Obama, ma quando si parte con questo presupposto, francamente demenziale, ogni tentativo di trattare con Putin diventa vano. Basta guardare la carta geografica: La Russia è al centro fra Europa e Asia, al cuore dell’Eurasia, e non si può ignorare la sua vastità e dunque la sua influenza. Un altro fatto da prendere in considerazione, ancora prima del 2022, è quello che accadde nell’agosto del 2021, quando il Congresso americano, con una mozione bipartisan, votò per interrompere il Nord Stream 2. Anche quello fu fra gli avvenimenti alla base di quello che sta accadendo oggi.
Pochissimi giorni fa, però, si è svolto in Svizzera un grande summit per la pace in Ucraina, dove hanno partecipato oltre 90 Paesi, anche se, come poi è emerso, 12 Paesi hanno deciso di non firmare il comunicato congiunto. Quali sono per le lei le cause? In cosa è diverso questo accordo da quello fallito del 2022?
Intanto sottolineiamo che non hanno aderito 14 Paesi e non 12, perché si sono aggiunti anche Iraq e Georgia, ma anche qui, il problema è sempre quello: viene presentata un’idea di “pace giusta”, che però quasi mai è raggiungibile dopo un conflitto del genere. L’unica vera via possibile è quella appunto di una “pace possibile”, non giusta, perché la storia ci insegna che la prima è impraticabile.
Ovvero?
Le porto un esempio attuale: se dovessimo pensare a una pace fra Israele e Palestina, bisognerebbe tornare ai confini del 1967, come previsto dall’Onu, che vedrebbe – se fosse attuata – la restituzione di Gerusalemme est da parte di Israele, che una volta era popolata da arabi, che invece oggi sono pochissimi; poi bisognerebbe restituire le colonie, i coloni una volta erano circa 100mila, mentre oggi sono oltre 700mila; e bisognerebbe prevedere anche il ritorno di 4 milioni di profughi palestinesi, questa sarebbe la “pace”. Ma come ho detto, una pace giusta oggi è impossibile, perché non si troverebbe mai un accordo per una cosa del genere, dunque la situazione israelo-palestinese è un esempio molto chiaro. La pace richiedere rinunce da una delle due parti.
Tornando al summit in Svizzera, è possibile immaginare una pace fra Russia e Ucraina, senza però la partecipazione della Russia? Anche la Cina, fra l’altro, non ha preso parte a questo summit…
Quella è una questione di buon senso: senza il contendente principale, di cosa parliamo? Del nulla. È stata una conferenza sottovuoto, confezionata dagli americani e dagli ucraini che però non ha dentro un vero contenuto. È come un barattolo vuoto. Un punto importante da considerare per davvero, sarebbero delle garanzie di sicurezza da parte degli Stati Uniti, per impedire l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, cosa ovviamente malvista da Mosca. In quel caso potrebbe esserci, forse, uno spiraglio, una sorta di offerta alla Russia per cominciare una fase di negoziati. L'Ucraina non può aderire alla Nato.
Cosa pensa degli esiti delle elezioni europee e dell’importanza che ha avuto il dibattito sulla guerra e le decisioni da prendere in merito? In Francia Emmanuel Macron, per esempio, ha spesso parlato di partecipare direttamente, ma ha perso contro Marine Le Pen; Giorgia Meloni invece, che sostiene l’Ucraina, ha vinto. Anche la maggior parte degli altri leader europei, comunque, sostiene l’Ucraina
In linea generale, sia dal punto di vista economico-finanziario, che da quello militare, mi sembra evidente che molti leader europei stiano letteralmente precipitando dal piedistallo: Scholtz, Macron, non sono in grado partecipare attivamente, né di prendere decisioni concrete sul conflitto ucraino, né tantomeno su quello israelo-palestinese, dove gli europei sono grandi assenti non da oggi, ma da molti anni. La Russia è stata sanzionata in mille maniere dall’Occidente e dall’Europa, sono anche stati congelati gli asset russi, mentre sul fronte israelo-palestinese in trent’anni non è stato fatto nulla di simile, né si dà importanza a riconoscere lo Stato palestinese.
Spagna e Irlanda, per esempio, hanno riconosciuto la Palestina. La Spagna ha avuto anche una crisi diplomatica con Israele per questo…
Sì, ma in generale nel Mediterraneo l’Europa è assente, quindi si crea un vuoto strategico in Unione Europea, perché la Palestina, è stata invece riconosciuta da quasi tutti gli altri Paesi del Mediterraneo, ma non dall’Italia.
Tornando per un attimo all’Ucraina, cosa pensa degli aiuti economici promessi, anche dall’Italia, anche recentemente?
Sul fronte russo-ucraino una questione importante da considerare è proprio quella economica: L’Occidente, e in particolare l’Europa, sta promettendo all’Ucraina diversi prestiti, non solo per la sua futura ricostruzione, ma anche per le armi. Tuttavia, i leader europei attuali, dovranno fare i conti con queste promesse, e lo ha sottolineato persino Vittorio Feltri recentemente.
Intende il suo commento sul fatto che l’Italia finanzia ancora Zelensky? Dunque, è d’accordo con Feltri?
Sì, esatto, ma è una questione di buon senso: Tajani ha promesso un nuovo pacchetto di aiuti all’Ucraina recentemente, di 140 milioni, senza considerare però i tagli drastici alla sanità, all’istruzione che ciò comporta... Anche un ragioniere o un diplomato capirebbe, quindi, che questo governo di soldi da spendere ancora, per l’Ucraina, non ne ha. Ma non è nemmeno solo una questione italiana, anche la Germania sta vivendo una crisi e fra un po’, quando Zelensky vorrà battere cassa, non ci saranno più i soldi e di questo i leader europei se ne accorgeranno da soli, quando inizierà a cambiare la vita di tutti i giorni, anche nelle piccole cose. Anche per ricostruire l’Ucraina non sarà possibile farlo con i fondi pubblici, ma si farà con appalti di privati, così come è stato anche per la ricostruzione dell’Iraq. Per questo i fondi per l’Ucraina saranno sempre meno, anzi, penso che entro la fine dell’anno si chiuderanno le casse.
Però molti leader europei e occidentali sono sempre stati e sono tuttora a favore dell’Ucraina. Come per esempio proprio Macron. Questo potrebbe essere uno dei motivi per cui ha perso tanti voti alle elezioni europee?
Macron ha perso perché non è stato garante di quello stato sociale francese, che era ed è una caratteristica fondamentale dello Stato transalpino. Quando ha cominciato ad attaccare i pensionati, la scuola pubblica, a tagliare i fondi, ha iniziato a perdere consensi. Non dimentichiamoci dei gilet gialli e delle numerose proteste in pizza. Tutto ciò, aggiunta alla questione ucraina, è stato la causa.
C’è qualcuno che sarebbe in grado di raggiungere la pace? Forse la Cina o Trump?
La guerra in Ucraina finirà solo quando lo decideranno gli Stati Uniti, ovvero quando non ci sarà più un ritorno economico per loro. Degli oltre 100 miliardi di aiuti americani per l’Ucraina, se si va a vedere, oltre l’80% non ha mai varcato i confini americani, perché sono stati usati in appalti americani e questa guerra viene usata per finanziare l’apparato militare e industriale americano. Poi su Trump bisogna smontare un mito: forse è pronto a riconoscere alla Russia la sua sfera di influenza, ma non è assolutamente vero che sarà lui a far finire il conflitto. Quello lo deciderà l’apparato dell’industria bellica, non lo decide il Presidente, e poi sono stufo di sentire queste cose su Trump. Non è vero che (anche) lui non ha mai alimentato i conflitti: ha stracciato gli accordi di Obama con l’Iran, ha riconosciuto Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico, ha riconosciuto la sovranità di Israele sulle terre occupate in Golam, ha preso diverse decisioni che sono andate ad alimentare i conflitti e non li hanno per niente attenuati.
Cosa dice allora di Giorgia Meloni? Ha vinto le elezioni europee, ha guidato il G7 in Puglia e diversi quotidiani internazionali hanno parlato della sua sempre maggiore rilevanza, per esempio Al Jazeera, Novaya Gazeta, diversi quotidiani britannici, il The Times l’ha persino definita come “Queen of Europe” insieme a Ursula von der Leyen
Non mi documento sui quotidiani britannici e dopo la Brexit, in Europa hanno poca importanza. Ma oggi il punto della questione è: chi governerà l’Europa? Magari non sarà di nuovo la von der Leyen, ma non mi sembra ci siano reali alternative. Il gruppo del Partito Popolare Europeo (Ppe), il più grande del Parlamento Europeo, non vuole trattare con la Meloni, perché dentro al gruppo della Meloni ci sono alcuni partiti radicali, con cui non vogliono negoziare. Quindi no, lei non determinerà quello che accadrà in Europa, perché un conto è vincere le elezioni europee, un altro è avere la maggioranza in Europa. Un altro punto importante è poi il fatto che la Meloni e il suo partito, siano eredi del fascismo.
Parla di quello che è emerso nei filmati dell’inchiesta di Fanpage?
Non m’importa nulla di Fanpage, ma Fratelli d’Italia sono eredi del fascismo, ovvero ciò che venne sconfitto nella Seconda guerra mondiale dagli americani e dagli inglesi. La Meloni per essere accettata ha dovuto accreditarsi come atlantista, per poter avere una credibilità internazionale e questo si riflette anche nella politica del Mediterraneo: l’Italia non riconosce la Palestina anche per questo, anche se è una questione strategica dal punto di vista economico ed energetico. Gli altri Paesi del Mediterraneo come Libia, Algeria, Tunisia, hanno tutti riconosciuto la Palestina. Ma Meloni è erede del fascismo, lo stesso che aveva mandato gli ebrei nei campi di concentramento, quindi lei oggi, non può andare contro Israele. Ne va della sua credibilità politica.
Recentemente il quotidiano Repubblica diretto da Molinari, proprio sul conflitto israelo-palestinese ha fatto una “gaffe”, pubblicando la lettera dello studioso Denis MacEoin, come se fosse ancora vivo, per dimostrare agli studenti in protesta che “Israele non è un regime”. Cosa ne pensa? In generale c’è ancora imparzialità su quel conflitto nei media italiani?
In primo luogo, non comprendo né Repubblica, né Molinari. Per me sono così poco interessanti, che evito persino di commentare, sarebbe come dare loro un peso che non hanno. Il problema del conflitto israelo-palestinese però, è che non comincia il 7 ottobre, come tutti dicono, ma ha delle radici profonde, almeno quarant’anni fa e i media italiani, però, hanno sempre preso le parti di Israele, e molto raramente della Palestina. Questo grande sbilanciamento oggi lo pagano soprattutto i media mainstream, che sono totalmente non credibili presso l’opinione pubblica, anche quando dicono cose accettabili. Semplicemente non sono più credibili e dopo il 7 ottobre questo è diventato sempre più evidente. Oggi nessuno legge più i giornali cartacei, né si interessa al tg di Stato, proprio per questo motivo, la mancanza di credibilità per l’opinione pubblica.
Proprio a questo proposito, sono da poco usciti i dati di vendita dei maggiori quotidiani cartacei nel mese di aprile 2024, confrontati con quelli di aprile 2023. Ne è emerso che la maggior parte hanno visto un calo delle vendite, con percentuali dal -5%, fino addirittura al -35%, con un’unica eccezione per Il Manifesto che ha visto un aumento del 15%. Questo è un altro sintomo della perdita di credibilità dei media?
Intanto, mi fa molto piacere per Il Manifesto, con cui collaboro, ma bisogna essere oggettivi: se guardiamo la totalità delle vendite dei nostri giornali, sono completamente crollate negli ultimi anni. Molti lo attribuiscono alla tecnologia, che sicuramente ha influito, ma se guardiamo alla Spagna e alla Francia, vediamo che lì i giornali continuano a vendere e sono sostenuti, a differenza di quelli italiani. Quindi non è solo colpa della tecnologia, ma della perdita di credibilità. Quello è il vero fattore determinante e i media italiani l’hanno persa in modo devastante, perché fanno una descrizione della realtà sempre più lontana e sempre meno oggettiva. I giornali mainstream sono diventati ormai degli strumenti di propaganda.
Da quando i giornali italiani hanno perso credibilità, secondo lei?
Dalla guerra in Iraq e ciò che venne scritto di Saddam Hussein: la più clamorosa fake news del secolo, ovvero che lui avesse delle armi di distruzione di massa. Io ero lì a Bagdad nel 2003, e quando gli americani entrarono in Iraq, i media scrissero che sarebbero stati accolti come liberatori, invece finì per esserci una guerra civile devastante, arrivò persino l’Isis che ha distrutto per anni il Medio Oriente e la Siria. Ecco perché, già da allora, i giornali mainstream hanno perso credibilità. Un altro esempio lo abbiamo visto proprio con il conflitto in Ucraina di oggi: per mesi si è parlato della controffensiva ucraina, che avrebbe dovuto sconfiggere Putin in breve tempo. È stata descritta in ogni modo, ma alla fine, dopo mesi, i media hanno dovuto ammettere che è stato un totale fallimento. Un altro esempio ancora: i numeri dei morti di questa guerra. All’inizio si parlava di migliaia di russi morti, ma nessuno parlava degli ucraini morti, del numero esatto. Forse perché nessuno è mai entrato e a vedere con i suoi occhi un cimitero ucraino; se lo avessero fatto, avrebbero visto le migliaia e migliaia di tombe, e forse avrebbero cambiato idea.
Cosa pensa del recente attacco di Rafah da parte delle forze armate israeliane? Le brutali immagini delle vittime hanno fatto il giro del mondo, ma non sembra essere cambiato granché…
Penso che ogni volta si cada nella trappola, e, anche questa volta, siamo caduti nella trappola. L’Idf ha dichiarato una tregua proprio recentemente, ovvero una pausa dalle 7 del mattino alle 7 di sera, per far fluire, in teoria, gli aiuti umanitari dentro alla striscia di Gaza. Ma lei ha per caso visto le immagini dei camion di questi aiuti umanitari arrivare? Non si sono viste da nessuna parte, anzi, Netanyahu ha detto di non sapere nulla di questa decisione e anzi, nel frattempo ha sciolto il gabinetto della guerra di Israele. Ho seguito quarant’anni di conflitti, ma il problema con la questione israelo-palestinese è: quando un giorno questa guerra finirà, chi governerà Gaza? Dopo aver distrutto Hamas, chi ci sarà? E dove finiranno gli oltre 2 milioni di palestinesi? Questo è il nodo fondamentale della questione e le proposte in merito sono talmente vaghe, che non c’è soluzione.
Alcuni cittadini israeliani hanno espresso la volontà di cacciare tutti i palestinesi. Ha ragione allora chi parla di genocidio?
Tutto questo ha un nome: pulizia etnica. Lasciamo stare chi parla di ‘genocidio’, ma restiamo invece su pulizia etnica, che abbiamo visto nei Balcani, in Africa e in altri luoghi in Medio Oriente. ‘Genocidio’ è controversa, ma questa invece è semplice, eppure nessuno ne ha mai parlato, né scritto sui giornali. Ecco un altro motivo della perdita di credibilità.
Molti però protestano contro le decisioni di Israele, anche gli stessi cittadini israeliani spesso hanno manifestato a Tel-Aviv, non solo per il rimpatrio degli ostaggi, ma anche contro le decisioni di Benjamin Netanyahu
Sì, hanno sempre protestato contro Netanyahu, ma non c’è una vera alternativa politica a tutto questo, ed è lì il problema. Israele viene sempre descritto, da anni, come una democrazia, come ‘l’unica democrazia in Medio Oriente’, eppure ci si dimentica che è diventato esattamente uguale agli altri Paesi dell’area. Netanyahu è al potere ormai da vent’anni. Potrebbe anche cadere un domani, chi lo sa, ma comunque per vent’anni ha condizionato la vita di quel Paese, proprio come i longevi leader degli altri Paesi in Medio Oriente.
Come vede l’idea di reintrodurre la leva e creare un esercito europeo?
Io ho fatto il servizio militare, ma oggi gli eserciti non sono più quelli di leva, e tenere aperto caserme, reclutare e mantenere le strutture è molto costoso. Questi soldi nessuno li vuole più spendere, e di certo non per incrementare l’esercito. Molti eserciti oggi non sono in grado di combattere, per cui la logica dell’esercito nazionale dev’essere superata. Il problema è che per organizzare un esercito europeo non siamo organizzati dal punto di vista tecnico: abbiamo carri armati francesi, tedeschi, inglesi, ma non uno unico ‘europeo’. Ci sono tanti interessi nazionali divergenti.
E come vede invece il fatto che Leonardo Spa abbia recentemente firmato un accordo con la Rete Ferroviaria Italiana per agevolare l’eventuale trasporto di mezzi militari sul territorio italiano ed europeo?
Leonardo fa questo tipo di accordi per mettere le mani avanti. In caso di conflitto o mobilitazione di risorse militari per l’Ucraina, o altrove in Europa, vogliono avere un rapporto privilegiato nel trasporto delle armi.
Secondo lei ha ragione chi dice che oggi siamo in una fase pre-bellica, che ci porterà alla Terza guerra mondiale?
Voglio essere ottimista: non vedo da parte degli attori in campo, sia americani che europei, una vera volontà di arrivare al conflitto mondiale. Come ha detto il papa: la guerra mondiale c’è già, a pezzi. La gente non è mai stata pronta ad andare a combattere, perché tutti sanno cosa vuol dire andare in guerra, almeno si spera. E andare in guerra vuol dire abbandonare gli interessi, casa, qualsiasi cosa, e soprattutto vuol dire morire. Le guerre oggi le vincono le grandi imprese multinazionali, ma le persone comuni le perdono, sempre. Spero che questo messaggio arrivi, ma credo che, a parte qualche esaltato, ciò sia ampiamente condiviso, non solo per le manifestazioni nelle piazze, ma anche perché non siamo oggettivamente pronti. Non lo saremmo nemmeno per 2-3 anni di guerra, come quella che c’è in Ucraina proprio ora. Inoltre, questi conflitti sono una rovina non solo dal punto di vista economico, ma anche demografico: l’Europa è un continente anziano e il calo demografico che c’è da noi è presente anche in Russia, in Ucraina e in tutto l’est Europa, quindi dobbiamo pensare a come frenarlo, non a come mandare a morire le giovani generazioni. Pensi a quanto è imbecille uno come il generale Vannacci, che fortunatamente è stato eletto al Parlamento europeo e quindi non dovremo più pagarlo noi, con il ministero della Difesa. Forse proprio lui dovrebbe vedere come sono fatte le caserme europee, viste le sue idee: vedrebbe che ci sono tanti immigrati di seconda generazione e non direbbe le stronz*te che invece dice, soprattutto se pensiamo alla popolazione di altri Paesi europei, come Germania e Francia, dove c'è una forte immigrazione. Se si andasse in una guerra vera, si farebbe ancora con il fucile in spalla? Ho dei seri dubbi, ma purtroppo la mamma degli stupidi è sempre incinta.