Quella di Michele Cortese, in arte solo Cortese, è una storia che parte da lontano. Più precisamente dal 2008, quando ha vinto con gli Aram Quartet la prima edizione italiana di X Factor. Dopo lo scioglimento del gruppo, il cantautore ha trovato la sua vera dimensione, più intima e raccolta. Lo abbiamo intervistato per parlare del suo ultimo singolo “Asfalto”, ma anche della sua esperienza a X Factor, con Morgan come coach, dei talent show, del suo modo di vedere lo show business e della sua terra, la Puglia, e delle opportunità che offre a chi oggi vuole fare musica.
Secondo te il Salento, e la Puglia in generale, offre delle possibilità interessanti per chi vuole fare musica?
Assolutamente sì. Poi oggi come oggi la collocazione geografica non conta poi così tanto e, rispetto ad anni fa, le cose sono nettamente cambiate, grazie al web e ai social è molto più facile connettersi e stabilire legami, anche musicalmente parlando. Quindi, cosa importa se un artista fa musica da Santa Maria di Leuca o da Milano? Poi, ragionando in termini pratici, il Salento è ormai mainstream dal punto di vista turistico e offre tantissime possibilità di esibirsi durante tutto l’anno. Rispetto alle grandi città, qui gli artisti possono fare concerti ed eventi live senza demotivarsi, ad esempio perché non vengono pagati, e iniziando anche a maturare e prendere consapevolezza di quello che può diventare, a tutti gli effetti, un vero e proprio lavoro.
L’11 ottobre è uscito il tuo nuovo singolo, Asfalto. Com’è nato?
È un brano che racconta una vicenda sentimentale disastrosa, ma non nasce da un’esperienza personale. Di solito scrivo sempre di me, di storie che vivo sulla mia pelle, ma questa volta sono stato spettatore di questa storia intensa dal punto di vista delle emozioni e ho deciso di raccontarla. Ho assorbito di riflesso tutte le vicissitudini di quel periodo, di quella promessa d’amore che è rimasta incompiuta. Sostanzialmente è un amore appassito prima di fiorire, che però ha lasciato anche tanti bei ricordi.
E il titolo?
Beh, asfalto perché il cuore del protagonista è stato asfaltato dall’epilogo della storia. Ma anche perché le strade che bruciano d’estate hanno fatto sfondo a questo amore.
So che preferisci le situazioni live più intime ai grandi palchi. Come mai?
Sia da spettatore che da artista ho sempre più vissuto le emozioni più intense assistendo agli Unplugged. Mi piacciono l’approccio acustico e le situazioni più intime. L’anno scorso ho creato il format “Cortese Living Room”, che diventerà presto un disco, proprio con l’idea di condividere la mia musica con il pubblico in contesti più raccolti, dai piccoli club fino alle case, con concerti in terrazza, nei cortili e in salotti veri e propri in inverno.
Mi sembra che tu sia lontano dalle classiche logiche dello show business, è così? È comunque un mondo che all’inizio della tua carriera hai conosciuto bene, per poi distaccarti.
Quello che sto per dire può far pensare a chi legge che il mio atteggiamento da indipendente, lontano della dinamiche mainstream, ci sia perché “non ce l’ho fatta”. In realtà mi piacerebbe poter dimostrare, e in parte posso già farlo con il mio curriculum, che non è così. Sono sempre stato contrario a certe dinamiche dello show business, e anche quando ho fatto X Factor la pensavo così. Quando ho visto la prima edizione del talent con gli Aram Quartet siamo stati in ballo per due anni e abbiamo fatto un sacco di cose belle, per carità, però…
Cosa?
Ero già contrario a certe dinamiche, e penso di averlo dimostrato. Quando è stato rescisso il contratto con Sony Music, dopo la vittoria degli Aram Quartet, è successo perché non c’era intesa tra noi e quello che la discografica voleva farci fare. Io avevo già una mia visione, l’ho sempre avuta e penso di essere stato coerente. Soprattutto, questa visione mi ha consentito di avere una stabilità mentale tale da poter sopravvivere a tante cose non belle e a certe dinamiche che ho visto e vissuto.
Tanti artisti passati dai talent poi non hanno retto il peso della popolarità o, al contrario, il non essere diventati famosi…
Sì, è vero, per tanti artisti passati nel “tritacarne” dei talent non è andata a finire bene, diciamo, o comunque è finita presto e si sono dovuti rimettere in gioco da capo, quasi ripartendo da zero. Nel mio caso, quando gli Aram Quartet si sono sciolti ho vissuto uno dei momenti più interessanti del mio percorso artistico, perché non vedo l’ora di mettermi in gioco, di fare il mio primo disco solista e di far sentire le mie canzoni per la prima volta, perché fino a quel momento non ne avevo avuto la possibilità.
Hai usato la parola “tritacarne”. È piuttosto forte, ma non è la prima volta che la sento legata alle dinamiche dei talent…
Sì, ma ci tengo a dire che per me quell’esperienza è andata benissimo. Per me quel periodo è stato un po’ come vivere nel paese dei balocchi, è stato bellissimo, la gente mi fermava per strada. Quel tipo di fama che ti dà la televisione è ovviamente divertente, non posso dire che sia fastidiosa, non sarebbe vero. Però va tutto vissuto con la consapevolezza che quella non è la realtà, che uscito dal talent devi comunque confrontarti con le dinamiche della discografia e avere una buona squadra con cui lavorare se vuoi continuare a esistere nel circuito. Ripeto, per me è stata un’esperienza bellissima, non ho sofferto per come sono andate le cose dopo, mi sono goduto il momento al massimo e sono stato capace di viverlo con lucidità, salvandomi dalla “parte brutta” del post talent.
Molti giovani hanno il sogno di diventare famosi, e magari mettono tutto questo davanti alla musica.
Sì, perché viviamo nell’epoca dell’immagine. Però chi ha vinto i talent negli anni in cui l’ho vinto io è cresciuto dopo, fuori dalla televisione. Ad esempio Alessandra Amoroso, che è arrivata ad Amici che era una ragazzina leccese che aveva un sacco di talento ed è cresciuta dopo il talent. Lo stesso Marco Mengoni è diventato dopo l’artista maturo e riconoscibile che è oggi. Adesso invece mi sembra che i ragazzi che vanno ad Amici o X Factor vogliono mostrarsi già con l’atteggiamento giusto, la faccia per le telecamere…
E dopo X Factor, pe quanto ti riguarda, cos’è successo?
Negli anni immediatamente successivi ho ricevuto diverse proposte, anche per cose televisive imbarazzanti, come l’Isola dei famosi. Mi avrebbe dato sicuramente una certa visibilità, quella televisiva, e alcuni addetti ai lavori in quel periodo mi hanno consigliato di sfruttare l’occasione per promuovere la mia musica. Non ho accettato.
Com’è stato avere a che fare con Morgan come giudice? Non credo fosse il personaggio che conosciamo oggi.
Pensa che noi (Aram Quartet, ndr.) abbiamo visto in tv lo spot di X Factor e quando abbiamo visto che tra i giudici ci sarebbe stato anche Morgan è stato uno stimolo importante per noi. Poi, dopo i provini, ci siamo ritrovati proprio con lui come coach della categoria gruppi. All’epoca Morgan era già sopra le righe, incostante, inaffidabile, ma era molto attento alla musica. Ha curato moltissimo la selezione dei brani che abbiamo portato e abbiamo fatto un vero e proprio viaggio tra i classici del rock. È stato bravo, ha portato una sorta di “educazione musicale” in televisione. Dopo la vittoria, però, è stato un disastro. Anzi, anche prima.
Cioè?
In finale ci ha imposto di interpretare un brano che aveva scritto lui. Una canzone delirante e anche se abbiamo vinto, di certo il pubblico non ci ha premiati per il brano. Il giorno dopo infatti la canzone di Giusy Ferreri, scritta da Tiziano Ferro, era già in tutte le radio, la nostra no. E io l’ho detto dal primo ascolto che la trovavo terribile e incantabile, ma ha vinto la democrazia essendo noi un gruppo. L’abbiamo portata in finale e già dopo un giorno se la sono dimenticata tutti. Morgan si è rivelato sin da X Factor per chi è davvero, ma dopo la situazione è peggiorata. Anche dal punto di vista umano.
In che senso?
Finché sono stato sulla cresta dell’onda, anche dopo gli Aram Quartet, quando ancora bazzicavo in major, Morgan era lì, ero suo amico, è venuto in vacanza da me a Gallipoli e io sono andato a trovarlo a Monza. Ma quando quel periodo è finito basta, mai più visto o sentito negli ultimi dieci anni.