Vera Gemma è ospite di MOW durante la Festa del cinema di Roma. Attrice, spettatrice, donna che ha respirato i set cinematografici sin da bambina grazie alla filmografia di suo padre Giuliano Gemma. Noi le abbiamo chiesto la sua opinione sulla deriva del cinema italiano, qual è il genere cinematografico che più riesce a descrivere questo presente incerto (è forse il western la risposta?) e come è avvenuto il suo incontro con il regista Sean Baker che ha presentato il suo film Vera al cinema Los Felix Hollywood e che, spoiler, è stato uno straordinario successo. Con uno sguardo attento a intercettare il presente e a disvelarci le sue aspirazioni future, ecco l'intervista completa a Vera Gemma.
Vera, sei alla Festa del cinema di Roma per Anora di Sean Baker. Come vi siete conosciuti con il regista vincitore della Palma D'Oro a Cannes?
Allora, Sean Baker io non lo conoscevo, era amico dei miei registi, Tizza Covi e Rainer Frimmel, e ha visto Vera, gli è piaciuto moltissimo, e una sera eravamo a Los Angeles e i miei registi mi hanno detto 'se non ti dispiace noi stasera andremo a cena con Sean Baker'. E io ho detto, 'no no, andate, tranquilli, io ho un appuntamento,' ero abbastanza contenta di uscire da quel mood nevrotico dell'Oscar campaign quindi ho detto no, 'io stasera vedo i miei amici di Los Angeles voi andate da Sean'. E così si sono presentati alla cena e Sean ha subito detto 'ma dov'è Vera?'. Il giorno dopo i registi sono tornati da me a dirmi 'guarda Vera abbiamo fatto un errore, non avevamo capito, lui voleva conoscerti, quindi sta venendo in albergo'. Così io mi sono ritrovata con Sean Baker in questo posto, era così emozionato, non tanto per me quanto per una fascinazione quasi maniacale che hanno lui, Quentin Tarantino per tutto il cinema italiano di genere. Ha iniziato a parlarmi della sua collezione di locandine e del suo amore per i film di mio padre e che aveva apprezzato tantissimo il mio, Vera. È stato un onore incredibile. Da lì siamo diventati amici e ci sentiamo, insomma ci scriviamo, Sean è una persona molto stimolante con cui spero in futuro di lavorare.
Tra l'altro, te ci avevi visto lungo, perché a Cannes tra i film che mi consigliavi di vedere c'era proprio Anora di Sean Baker. La storia di questa ragazza che lavora in uno strip club e che poi a un certo punto intesserà una relazione molto particolare e mal vista con un oligarca. Possiamo definirla una paladina della ribellione?
lo devo vedere il film prima di capire bene come definirla, perché sull'onda di un'idea di un personaggio non so se è una paladina della ribellione. Sicuramente è una storia d'amore non a lieto fine. E a me piacciono molto le storie d'amore non a lieto fine perché all'amore eterno o a quello a lieto fine ci credo poco e da un punto di vista cinematografico credo che siano molto più intriganti gli amori infelici.
A proposito di amori e di identità, il tuo film Vera è stato un grande successo anche a... Los Angeles. Qui ti ha presentata proprio Sean Baker.
Esattamente. Sì, perché poi mi hanno detto, 'sai, ci piacerebbe molto che ti presentasse Sean Baker'. Io gli ho mandato un messaggio, ho detto, 'Sean, guarda, te lo dico, questi vogliono che mi presenti tu', lui mi fa, 'you know what? lo normalmente non faccio queste cose, però per te lo faccio e lo faccio bene', mi ha detto. E quindi ha presentato il mio film, era con me sul palco. Ed è stato bellissimo.
C'è chi fa film per capire meglio se stessi. È successa la stessa cosa con il tuo Vera?
Sicuramente il cinema è un'introspezione, ma io ho fatto il ruolo di me stessa. Cosa che si pensa sia facile. C'è questa ignoranza dilagante di chi pensa che fare se stessi sia facile. Fare se stessi è difficilissimo perché tu tendi a riprodurre l'idea che hai di te o ancora peggio a mostrare una te che ti piace quindi a voler tirare fuori la parte più bella per conquistare l'altro, per far vedere che sei una brava attrice. Invece se stessi significa mettersi completamente a nudo, accettarsi con tutti i propri difetti fisici, psicologici senza barriere e senza filtri, e raggiungere la verità liberandosi di se stessi, perché poi è un connubio tra fare se stessi e liberarsi di se stessi, e non è per niente facile, ma credo che l'introspezione di un personaggio avvenga qualunque personaggio tu fai, che sia te stesso, che sia una dama del Settecento. Si tratta sempre di un lavoro profondo, impegnativo e doloroso su di sè.
Perché?
Si tratta di tirare fuori quella parte che ti appartiene e su cui devi lavorare, che devi accettare, devi sentire il dolore. lo credo molto nella verità nel lavoro. Ci sono mille metodi, Stanislavski, che aiutano nell'interpretazione. Però diciamo che sicuramente devi mettere in gioco tante cose di te quando reciti, soprattutto la tua parte, ed è doloroso, non è sempre divertente, qualunque sia il ruolo che hai.
So che Joker ti è piaciuto, seppur abbia diviso la critica a Venezia. Cosa vorresti dire a chi non l'ha capito?
Il film è esattamente come la storia del suo personaggio Joker. Si presenta come un film scomodo, fastidioso, a tratti confuso, con dei costumi volutamente brutti, delle canzoni che partono all'improvviso, quindi si distacca completamente dai musical ordinari a cui forse il pubblico è più abituato. Queste canzoni sono quasi sullo sfondo di un'atmosfera horror inquietante dove loro sono un po' mostri, un po' beniamini e quindi è difficile l'impatto con questo tipo di messaggio, con questo tipo di linguaggio. Però il film è bellissimo, secondo me è più bello del primo. E poi Lady Gaga è straordinaria. Abbiamo visto in passato grandi rockstar o paladine della musica non saper poi recitare nel cinema. Lei invece è anche una bravissima attrice. Questo film ci mostra un'empatia dimenticata nel mondo, personaggi emarginati che sono veramente emarginati e costretti alla violenza estrema pur di esistere, perché in fondo Joker vuole soltanto essere qualcuno ed è disperatamente pronto a qualsiasi gesto pur di esistere. Forse si poteva evitare questo, se qualcuno si fosse accorto di lui prima.
Film che sono piaciuti a tutti e che invece tu hai detestato?
Io non faccio molto testo, perché ciò che piace a tanti spesso non piace a me. Sono un po' una 'freak', per citare un altro capolavoro del cinema. Non mi identifico quasi mai con i gusti degli altri e non lo dico con orgoglio, anzi questo mi fa sentire abbastanza emarginata. Posso dirti che tutti i film degli ultimi anni, sinceramente, non è che proprio mi abbiano fatto impazzire. Ne ho visti talmente tanti nella mia vita. La cinematografia fatta in Italia negli ultimi dieci anni mi lascia abbastanza indifferente, però per esempio mi è piaciuto tantissimo La grande bellezza che è stato amato da tutti, quindi in alcune cose poi sono d'accordo con il pubblico per fortuna e con i successi. Mi piace Paolo Sorrentino come regista italiano, altri mi interessano meno, ma parlo da spettatrice proprio, da spettatrice esigente che conosce il cinema. Ho bisogno di storie più estreme invece, di personaggi più estremi. Sono stanca di un cinema borghese, rassicurante, politically correct. Ho bisogno di film che non danno risposte.
Parlando di cinema, volevo soffermarmi sul genere western, che conosci bene anche grazie alla filmografia di tuo padre Giuliano Gemma. Non so se ci hai fatto caso, ma negli ultimi anni sembra esserci un forte ritorno. Viggo Mortensen, Kevin Costner e il western queer di Almodóvar. Secondo te, cosa sta spingendo questo ritorno del genere? È forse quello che inquadra meglio il presente?
Il western è un discorso piuttosto complesso. Negli ultimi anni si è tentato più volte di riportarlo in auge nel cinema, ma spesso non ha avuto il successo sperato. Tuttavia, l'idea del genere non è mai stata del tutto abbandonata. Quentin Tarantino ha contribuito a rivalutarlo, mettendo in evidenza la qualità di quel cinema, spingendo molti a dire: 'Forse non era poi così male'. Era un cinema in cui i buoni trionfavano sui cattivi, facile da comprendere per tutti, ma allo stesso tempo tutt'altro che superficiale. Era girato con grande maestria, con un impegno notevole, scene d'azione impeccabili e location straordinarie.
Qual è il suo potere?
Diciamo che era un cinema che faceva sognare e lo spettatore, quando si siede in sala, e si spegne la luce, ha bisogno anche di questo. Inoltre è un cinema che con registi come Sergio Leone, che hanno dettato nuove leggi sul western, ha reso grande il nostro Paese nel mondo, ha fatto scuola. Quindi non si può sicuramente ignorare. Per un attimo è stato considerato commerciale, oggi si rivaluta perché c'è da imparare da quel cinema. Ma anche da come era girato, dai particolari, gli occhi, i primi piani, tutte cose che poi Quentin Tarantino ha ripreso nel suo cinema. Era un cinema che faceva scuola.
A proposito di sala cinematografica, so che ti piace molto andare al cinema da sola.
lo adoro andare al cinema da sola perché per me il cinema è un'esperienza, è veramente un'esperienza. lo entro in sala, mi siedo, c'è il buio. Mi vivo veramente l'esperienza da sola, me e il film. E non posso condividerla con nessuno, non posso avere una reazione con la persona che è vicino a me, non posso commentare dopo, il cinema è una cosa che assorbi, che ti rimane dentro e di cui ti devi responsabilizzare sola. E secondo me questo è il modo in assoluto più giusto per andare al cinema. Il cinema non è per forza condivisione ma è interiorizzazione nel momento in cui lo vivi come lo vivo io. Per me il cinema è tutto, è una cosa veramente fondamentale della mia vita. Sono cresciuta sui set, è una cosa che fa parte di me, del mio sangue e quindi ho bisogno di vivermela molto intensamente e la gente mi innervosisce e mi distrae. Poi se vado al cinema con una persona che non è nella mia stessa lunghezza d'onda, per esempio io amo molto un film che questa persona che sta con me non ha amato o viceversa, questo potrebbe segnare veramente la fine di un rapporto o di un'amicizia, quindi forse è meglio andarci da sola per non mettere in discussione l'umanità che mi ruota intorno.
Prima la vita e poi il cinema?
Sicuramente. Prima la vita, poi l'arte in generale. Anche perché l'arte viene dalla vita. Non si può fare arte se non hai vissuto la vita. Che cosa racconti? Cioè, se non vivi non hai niente da raccontare. E quindi la vita è la più grande ispirazione, la realtà proprio, la verità. Quella proprio un po'... Pasolini insegna, no? È la realtà che va resa sublime. Deve diventare arte e non viceversa.