Paolo Sorrentino, fresco cinquantaquattrenne, è probabilmente il regista italiano più amato e seguito all’estero. Sorrentino, appena rientrato dal Festival del di Cannes 2024, in concorso per la Palma d'Oro con Parthenope, è tante cose. La potenza di quella che sarebbe divenuta un giorno la sua arte la si poteva leggere già in quella lettera che da giovane scrisse a Massimo Troisi: “(…) Ero andato a Roma con molto entusiasmo, ma poi sono rimasto abbastanza sconcertato per il clima di freddezza e di non-umanità che c’era sul set. Mi piacerebbe, però, ritentare. (…) Le chiedo di poter lavorare nel suo prossimo film e mi auguro di poter fare cinema piuttosto che lavorare in qualsiasi altro campo con la mia futura laurea in Economia e Commercio”. Diretto, malinconico e garbato, esattamente come sarebbero state le storie pensate e trasportate sul grande schermo da un Paolo Sorrentino più adulto. In quelle frasi fugaci c'era tutto l’amore e tutta la sincerità di un uomo, allora un timido ragazzo, che assomigliava tanto al protagonista del suo penultimo e più sincero film, È stata la mano di Dio, con lo stesso desiderio di trovare un posto nel mondo e nell'industria cinematografica. Ma Troisi e Sorrentino hanno mai lavorato insieme? No, ma forse non ci fu neppure il tempo per iniziare la collaborazione visto che l'attore de Il postino avrebbe lasciato noi e questa Terra soltanto pochi anni dopo.
Di Sorrentino si parla sempre di una fotografia impeccabile. Eppure le immagini folgoranti dei suoi film andrebbero interpretate non tanto come cose finite quanto simboli infiniti del suo cinema e della sua poetica. Scatti, frammenti che rimandano a qualcos'altro. Si ha l’impressione ripensando alla scena in cui Titta Di Girolamo (Toni Servillo) appeso alla gru, impassibile, viene calato nel cemento o quella dove Leda Ballinger (Rachel Weisz) è distesa sul lettino di un centro benessere e attacca brutalmente il padre, che le sequenze dei film di Sorrentino partano da suggestioni (“sogni a due”, i suoi e poi i nostri a fine visione) a loro volta generate da parole che, prendendo in prestito una frase del suo romanzo Hanno tutti Ragione, seguono “un ritmo del dialogo che fa solo bene alla salute”. Gli uomini (e meno le donne) vengono trascinati nel vortice del pessimismo cosmico o della malattia delle loro vite, cercando nello scorrimento della narrazione di essere risvegliati da qualcuno o da qualcosa come in una rêverie surrealista. I personaggi dei suoi film vogliono trovare la meraviglia. Dov'è? Sorrentino ci spiega che la soluzione è nelle piccole cose, quelle dimenticate, come l’odore della casa dei vecchi di cui parlava Jep Gambardella. Nel libro Le affinità elettive, Goethe scriveva, facendo riferimento a spettacoli simili ai tableaux vivants (quadri viventi in cui uno o più attori rappresentano una data scena):
Le figure erano così adeguate, i colori distribuiti così felicemente, l’illuminazione così ingegnosa, che ci si sentiva veramente trasportare in un altro mondo; ma la presenza della realtà in luogo dell’immagine produceva una vaga sensazione d’angoscia
Quella vaga sensazione d’angoscia (ed estraniazione) che colpiva la protagonista del romanzo vedendo quelle 'figure perfette', è la stessa che avverte lo spettatore in sala mentre si lascia inghiottire dai colori, i fasci di luce di This Must be the Place o Youth - solo per citarne alcuni - sempre accompagnata però, da una musica pop che sembra quasi esorcizzare i sentimenti misti e aggrovigliati dei personaggi dei film di Sorrentino e la sacralità stessa del suo cinema.
Siete ancora dell’idea che l'estetica impeccabile dei film di Sorrentino divori tutto il resto? Allora leggetevi questo monologo tratto da The Young Pope (la serie capolavoro che pochi conoscono):
“Cos’è più bello, amore mio, l’amore perso o l’amore trovato? Non ridere di me amore, lo so sono goffo e ingenuo quando si parla d’amore. Mi faccio domande che sembrano uscite da una canzonetta. Questo dubbio mi travolge e mi corrode amore mio: trovare o perdere? Intorno a me le persone non smettono di desiderare: hanno perso o hanno trovato? Io non lo so. Un orfano non ha modo di sapere, un orfano è sprovvisto del primo amore, quello di mamma e papà, da qui ha origine la sua goffaggine, la sua ingenuità. Tu mi dicesti su quella spiaggia deserta della California: puoi accarezzarmi le gambe, ma io non lo feci. Eccolo amore mio l’amore mancato. Per questa ragione da quel momento non ho mai hai smesso di chiedermi dove sei stata e dove sei adesso e tu, bagliore della mia gioventù fallita, tu hai perso o hai trovato? Io non lo so e non lo saprò mai, non ricordo neanche più il tuo nome, amore mio, e non ho la risposta, però mi piace immaginarla così la risposta: alla fine, amore mio, non abbiamo scelta, dobbiamo trovare”.
Nella sua cinematografia si è parlato di Chiesa (The Young and the new Pope), vecchiaia (Youth), politica (il Divo e Loro1/2), ambizioni (L’uomo in più), di strazianti solitudini (This must be the place, L’amico di famiglia, Le conseguenze dell’amore) e ora nell’ultima fase della sua carriera, dopo aver compiuto un giro immenso attorno al globo, Sorrentino ha deciso di tornare a casa sua, Napoli. Pensiamo a È stata la mano di Dio, in cui è Maradona, forse, a poggiare davvero il palmo della sua mano sul mondo stravolto di un giovane ragazzo (il film ha spunti autobiografici) e al recente Parthenope, l’inno alla libertà di una donna, madre e terra, che noi non vediamo l'ora di vedere al cinema.