Gentili Poste Italiane, attendiamo con impazienza un francobollo che renda omaggio, anzi, già che ci siamo, molto di più, restituisca ogni onore a Walter Chiari, gigante dello spettacolo. A pretendere questo “risarcimento” in primo luogo occorre figurarsi Carlo Giovanardi, roccioso politico nemico d'ogni “sostanza”, nel senso più stupefacente della parola. Così per Chiari, maestro della comicità cui, era il 1950, affidarono addirittura il compito di accogliere Laurel e Hardy di passaggio in Italia, infine portati in trionfo alla stazione Termini di Roma tra le guardie di pubblica sicurezza che non trattenevano il riso; incarico diplomatico non da poco che, nel caso di Chiari, va sommato a tutto il resto: la parodia dei fratelli De Rege (in coppia con Carlo Campanini), certo, e ancora l’invenzione del “sarchiapone americano”, un minotauro del mistero comico, per non dire della sua verve inesauribile, istrionica e forse perfino letteraria. Chiari che quest’anno avrebbe compiuto cento esatti anni; impossibile immaginarlo tuttavia vecchio, forse perfino morto. Il ragazzo Walter Annicchiarico, suo cognome d’anagrafe, era infatti nato a Verona l’8 marzo del 1924. Chiari, un pugliese di Milano. Lo sappiamo, è già novembre, ma resta tempo per rimediare. Lo sappiano altrettanto gli attenti signori della commissione preposta alla scelta degli illustri da ricordare, e poco importa che la posta cartacea sia ormai quasi del tutto soppiantata - cartoline in primo luogo - da mail e messaggini, siamo infatti qui impazienti. Parla lo scrittore, ma parla anche l’esperto di filatelia, colui che vanta, lassù nel purgatorio delle più alte mensole, la collezione della Repubblica italiana fin dal suo primo valore, ossia la serie cosiddetta “Democratica”, dunque parliamo con pertinenza. Così come nel 1961 - giorni televisivi del varietà “Studio Uno” - si ritenne opportuno onorare Plinio il Giovane con un valore ocra di lire 30, ci sembra altrettanto necessario rendere memoria adesso a Chiari. Ai nostri occhi appare scandaloso che in occasione del centenario della sua nascita Walter non abbia avuto un proprio esemplare destinato a finire bollato, poco importa se filigrana “ruota alata” o “stella”; ma che dico, i francobolli ormai sono adesivi, come le figurine dei calciatori caricaturati sempre un tempo da Prosdocimi.
Si sappia che in questa impresa non mi trovo affatto in solitudine, incredibilmente a sostenere, auspicare un necessario francobollo che renda merito a Walter, è presente, non meno esperto di filatelia, luminare del tema affrancature, Carlo Giovanardi, il politico Ur-nemico della droga e di coloro che con poca carità cristiana son detti “drogati”. E questo suo interesse nella nostra circostanza vale doppio, se pensiamo che tra le possibili ragioni che finora non hanno reso possibile l’emissione di un esemplare dedicato proprio a Chiari potrebbe esserci proprio la vicenda giudiziaria che lo ha visto finire a Regina Coeli per uso di sostanza stupefacenti, cocaina segnatamente. All’alba degli anni Settanta. L’impegno di Giovanardi, nemico quasi ossessivo d’ogni genere di “paradisi artificiali”, dovrebbe servire a cancellare ogni limite ostativo, anche nel caso di Chiari che, storia nota, ha vissuto l’ingiusto stigma d’essere appunto un “drogato”. E non abbiamo citato le sue prove cinematografiche, cominciando dall’immensa interpretazione di un padre fallito e insieme struggente ne Il giovedì di Dino Risi. Irrilevante altrettanto che Chiari si rivolgesse invece al pubblico teatrale con queste parole: “Un saluto alla prima fila e alla decima”. Lui che nella Decima Mas aveva combattuto davvero. È noto, come abbiamo detto più volte, che il nome e la memoria stessi dell’attore Walter Chiari da sempre ritornano nella narrazione revisionistica, venata di vittimismo cinto proprio del gladio che gli uomini di Salò portavano sul bavero delle uniformi. Parole della nostra destra, pronta a denunciare il “monopolio” della cultura e dello stesso spettacolo, sempre secondo quest'ultima, “in pugno alla sinistra”, anzi, “proprio ai comunisti”. A Chiari, per cominciare, si attribuisce ancora una frase, leggendariamente assolutoria, sulla sorte di Mussolini, destinata a suggerire la presunta specchiata onestà dell’economato del regime: “Quando fu appeso per i piedi a piazzale Loreto, dalle tasche non cadde nemmeno una monetina. Se i nuovi reggitori d'Italia avessero subito la stessa sorte, chissà cosa uscirebbe dalle tasche di lorsignori!”. Pronunciata a Genova, nel 1975, durante lo spettacolo Chiari di luna. Ora, che Walter Michele Annicchiarico (1924-1991) abbia vestito l’uniforme della Decima Mas e ancora, secondo testimonianze di commilitoni, si sarebbe perfino aggregato alla Wehrmacht, partecipando all’offensiva nelle Ardenne, sembrerebbe un dato acquisito. Nel dispositivo apologetico della destra che periodicamente sceglie di arruolarlo come icona, appare ancora quest’altra considerazione onnicomprensiva: “… lassù a Salò c’erano pure Dario Fo, che poi l’ha taciuto, Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello”. E ancora, aggiungo, il mio caro amico Riccardo Garrone, inquadrato nel battaglione nuotatori-paracadutisti sempre della Decima.
Che Walter Chiari sia stato, grazie agli enzimi di un immaginario inesauribile, assai più di un immenso affabulatore sia comico sia drammatico, resta un dato, ma qui, forse, occorrerà altrettanto riflettere sul palmarès postumo che la destra dello Stivale mussoliniano ama periodicamente, dopo averlo lucidato, sollevare come reliquia spezzata, vilipesa, suggerendo così “l’onore” di chi “ritenne che il dovere stesse da quell’altra parte, quella sbagliata, dalla parte della Patria tradita…”. Walter riassumeva passi, ascesa e caduta, compreso il filmato che lo mostra mentre accoglie Laurel e Hardy, poveri, invecchiati, visi e gesti toccati dal tempo, nella loro tournée terminale, davanti ai binari della stazione Termini di Roma il 25 luglio 1950, con la folla che porta il Magro in trionfo sulle spalle e perfino le guardie di Ps, lo ricordavo prima, che non trattengono un riso d’ammirazione infantile: “Che peccato, averli visti”, è il requiem di Chiari per loro. Sembra quasi che in cima al rifornitore “Esso” di piazzale Loreto, accanto a Mussolini, Petacci, Starace, Pavolini e gli altri, abbia trovato posto idealmente anche il cadavere, non meno a testa in giù, dell'inerme Walter. Sembra così che egli non potrà mai farci dono dei suoi migliori istanti d’attore, né di Bellissima di Luchino Visconti accanto a Anna Magnani, né del personaggio struggente che troviamo ne La rimpatriata di Damiano Damiani e neppure de Il giovedì, dove Walter interpreta, si è detto, un padre fallito in gita in città con il proprio bambino; inarrivabile per struggimento la scena finale dove fa scoppiare le castagnole prese al figlio lungo la scalinata di via Ronciglione a Roma. Sempre Walter raccontava di un incontro con Luisa Ferida al Cinevillaggio di Venezia, pare che lei gli abbia suggerito di farsi incidere chirurgicamente gli angoli delle palpebre, conquistando così un taglio d’occhi perfetto. Nei racconti ormai lontani di mio zio Guido, giovane amante di una ballerina della compagnia di Marisa Maresca, la stessa degli esordi di Chiari - è il 1945 - c’è Walter che inguaia quest’ultima nei giorni delle epurazioni, eppure quando raccontai questo ricordo personale su “l’Unità”, subito giunse la lettera di un ex partigiano che, da Rapallo, narrava Chiari per nulla fascista, anzi, amico di un comandante partigiano “garibaldino” della piazza di Milano, l'anziano scrivente escludeva del tutto che lo fosse mai stato. Su tutto, tornando al talento, resta la sua generosità umana e d’attore.
Qualche anno prima di andarsene, in scena insieme a Renato Rascel nel claustrofobico Finale di partita di Samuel Beckett, al termine d’ogni replica sembra che Chiari intrattenesse il pubblico con fuori programma, riaprisse il sipario per “risarcirlo” con mille barzellette dopo l'incubo vissuto in nome del teatro d’autore dell'Assurdo. Chiari già reduce dalla cella di Regina Coeli, accusato di “consumo e spaccio di cocaina”. Toccante il racconto che Mario Dondero, maestro della fotografia, mi ha donato di Walter Chiari: sono i giorni successivi al 25 aprile 1945, Mario, diciassettenne, veste ancora l’abito da partigiano della brigata - la “Cesare Battisti” della Val d'Ossola, fazzoletto rosso al collo - proprio in quell'istante la prima immagine che racconta ai suoi occhi la liberazione di Milano dai nazi-fascisti, il tempo di pace ritrovato, mostra un ragazzo magro e sorridente che, sotto un gran pavese di lampioncini colorati, in piedi su un palchetto improvvisato, ai bordi della piscina di via Pier Lombardo, canta un motivo appena portato al successo da Natalino Otto, canzone di quei giorni, Solo me ne vo per la città, ed è proprio lui, Walter Chiari. La grazia giocosa e felice della pace riconquistata sembra ricominciare in quell’attimo, il fascismo è ormai sconfitto, la morte e ogni orrore appaiono cancellati per sempre. L’ho fatta lunga e doverosamente apologetica proprio nei confronti del suo talento. Ma adesso occorre solo immaginare il sottoscritto e Carlo Giovanardi, mai coppia più improbabile si ebbe modo di immaginare, che vanno all’assalto del Palazzo d’Inverno della Filatelia nazionale, intenzionati ad avere ragione d’ogni resistenza da parte dell’ideale squadra narcotici di Poste Italiane. Non si potrà certo dire che Walter valga assai meno di Giulietta Masina, Alida Valli, Nino Manfredi, Lina Wertmüller, Raffaella Carrà, Franco Battiato, Milva, Stefano D’Orazio, Carla Fracci, Monica Vitti, Bud Spencer, Marcello Mastroianni, Franchi e Ingrassia, Alberto Sordi, Totò, tutti già “incorniciati” sotto il titolo filatelico di “Eccellenze dello spettacolo”, cioè “relativo al valore della tariffa B pari a 1,10€”?