Sono le 07:25, la festa aziendale è finita da qualcosa come cinque ore, sono sveglio da due. C’è sciopero dei treni e così sono in stazione in cerca di un piccolo miracolo per tornare a casa, col cellulare che segna il 4% di batteria e la testa che gira. Compro un biglietto per Italo, segno il posto su di un pezzetto di carta, il telefono si spegne, salgo sul treno, lo metto in carica. Instagram dice: È FINITA LA PACE. Marracash ha pubblicato un disco, la copertina sembra quella che per anni è stata su Il Mondo Nuovo di Aldous Huxley, che poi è la “Mano con sfera riflettente” di M. C. Escher. MC Escher.
Tredici tracce, tutte in caps lock, 43 minuti, settimo disco. Mi piace questo approccio: niente hype, totale libertà di ascolto. Zero comunicati stampa, articoli, ascolti in anteprima, gente che ti dice cosa ha sentito prima che si possa sentire. Spingo play, questo è il viaggio.
POWER SLAP: Il tappeto è a metà tra un pezzo elettronico con samples nuovi e anni Ottanta, sopra si ripete un giro arabeggiante da thriller, che funziona. Marracash è al suo standard, ricorda Status. Non il disco, il pezzo. Il bridge lo fa cantato. Ci dice che non ne può più, ‘Tutti bravi su Esse Magazine’, e poi si dedica a chi sarebbe niente Senza Sanremo / senza l’estivo / senza Petrella. Davide Petrella che a Sanremo 2023 ha scritto Due Vite per Marco Mengoni e Cenere di Lazza, mentre nel 2024 ha lavorato ai pezzi di Ghali (Casa Mia), Rose Villain (Click Boom!) Emma (Apnea), e The Kolors (Un ragazzo una ragazza). Poi continua: come funziona l’industria / un giorno sei Dio il giorno dopo sei nulla / da matrimonio alla calunnia / una fragile bolla che fluttua. Che poi è la copertina del disco. Un disco peeeso.
CRASH: Beat anni Novanta, hip-hop come I treni con le tag perché arriva da Fritz Da Cat con Lord Bean, una bomba spaventosa vecchia di trent'anni. Un banger da sentire in cuffia camminando veloce, ondeggiando con le spalle. Governo di fasci che dice frasi preistoriche / pensino che basti riempire il vuoto con l’ordine. Spinge fortissimo, è una voce, qualcuno potrebbe dire addirittura un canto di rivoluzione. È un manifesto potente, enorme, scritto da uno a cui non è passata la rabbia sociale. Sogno di mandarla a manetta negli altoparlanti dei centri commerciali, su Radio Maria, ovunque. Anche in questo caso c’è un bridge cantato, ma potrebbe essere anche recitata, in prosa, che andrebbe bene lo stesso. Senti che Marracash ha scritto questo disco perché ne aveva bisogno lui, non il suo conto in banca. Mi sta anche passando l’hangover.
GLI SBANDATI HANNO PERSO: Grande Lebowski, spingo play. Il beat mi ricorda la hit di Gnarls Barkley. Quella che fa Craaazy, forse era il 2008 e forse chi ha vent’anni oggi non se la ricorda. E in effetti il ritornello dice che siamo fuori di testaaa. È anche questo un pezzone manifesto, a differenza di quello precedente però è più radiofonico, più morbido. Tremendamente efficace anche lui, però. La seconda strofa parte come una versione contemporanea de Il cielo sempre più blu, poi va in crescendo. Marracash è ESAGERATO. Non c’è niente come lui in Italia. Per ora sono tre pezzi da 10. Anzi, tre pezzi da mille quasi come scrive James Ellroy.
È FINITA LA PACE: La Titletrack parte con un immenso Ivan Graziani col ritornello di Firenze, Canzone Triste. Quante smancerie fai / mangi / caghi / bugie sai. E per la quarta volta, di quattro, Marracash spinge sulla coscienza sociale. Stavolta canta, urla disperato. Ivan Graziani chiude il pezzo con eleganza.
DETOX/REHAB: Fame cronica / pace chimica. Qui il disco rallenta per la prima volta il ritmo, è il primo pezzo veramente introspettivo. Nei primi tre brani ci ha detto che c’è casino fuori, nel quarto che c’è casino anche dentro, qui si concentra su di sé. Racconta il fastidio delle promozioni, di una ruota che gira con l’artista dentro, una ruota che è più che altro una lavatrice. La citazione è per vincere la guerra / devi perdere la pace, che è un po’ anche nel titolo del disco nonché una rima che Marracash ci aveva regalato in F. A. K. E., brano con cui annunciava il suo ritorno con Persona.
SOLI: Sta volta ad aprire il pezzo è Roby Facchinetti che canta Uomini Soli. Tappeto di velluto, altri concetti enormi, stavolta c’è anche l’infanzia raccontata in un attimo, ma con grandissima efficacia. Senti, per l’ennesima volta, che questo è un artista: uno che non vuole ma ha bisogno di scrivere, di parlare, d urlare. Godo all’idea che abbia scritto questo disco, con questi temi e questa profondità, all’apice della sua fama, arrivando a chiunque come un meteorite mentre stai sul telefono. Marracash fa esattamente il contrario di quello che, normalmente, è un percorso artistico, si potrebbe dire che ogni disco precedente l’ha aiutato ad arrivare qui: sempre più conscio, sempre più incazzato. Capisco perché abbia deciso di non fare promozione, questa roba è così forte che ne parlerà il mondo per mesi. Si può fare il disco dell’anno venerdì 13 dicembre? Si può, anche per il 2025.
MI SONO INNAMORATO DI UN AI: Qui è sempre morbido, suono americano, algoritmi ed alambicchi. Capisco che scrivere questa ‘recensione’ traccia per traccia non ha senso, ormai sono qui e voglio arrivare in fondo. Anche perché, fortunatamente, non è un disco che si può davvero raccontare in un ascolto. Meglio così.
FACTOTUM: Qui il disco comincia a riprendere velocità. Mangio male e poco sesso / faccio tutto a basso prezzo. C’è un ritmo quasi reggae, in levare, che poi cambia, lui ci sta sopra come il fuoriclasse che ha dimostrato ancora una volta di essere. È il pezzo dei flow di Marracash, tecniche elevate. Parla di lavoro, è un po’ autobiografico, si torna ancora una volta sull’impoverimento sociale. Solo Dio sa come si vive qui.
VITTIMA: Il pezzo si apre quasi con una preghiera, sotto canti religiosi che rientrano nel ritornello. Parla di vittimismo, lo fa con grande eleganza. Comincio a pensare che abbia esagerato con questo disco che è una poesia e se ne fotte del pezzo da radio o del banger da mettere in auto.
TROI*: Eccolo, un altro banger, per Marracash sarà un classico istantaneo. Tutto giusto, grandi citazioni, l’elettronica che spinge sotto ed è giusto da club, roba da Plastic. Poi cambia anche in questo caso per il bridge, tutto cantato. È come se l’avesse scritta con l’aiuto di mezzo grammo, o forse di un grammo e mezzo. Funziona.
PENTOTHAL: Torniamo giù, torniamo all’introspezione. Comincio a pensare che sia un disco alla Nick Cave, di sicuro lo è questo pezzo: in breve, sto male e ora sono cazzi tuoi. Qui il cantato si fa straziante. La tecnica è alta, così ben giostrata da sembrare facile. Come in altri pezzi si sente forte, fortissimo, il bisogno, l’urgenza di esprimersi.
LEI: Qui sembra di sentire una produzione di Mace, quel suono onirico che invece è roba di Marz, esattamente come tutto il disco e gli ultimi lavori di Marracash. Pensi di ascoltare il primo pezzo positivo del disco, poi capisci che non è così, che Lei non esiste né per Marracash né per nessun altro. La chiusa del pezzo è una robbba.
HAPPY END: Arrivare qui è un sollievo, ti fa stare bene. Perché il disco è palestra per la mente, quindi anche faticoso, intenso, duro. E così arrivi alla fine rilassando i muscoli, mentre le endorfine entrano in circolo. Marracash racconta il disco, Victory Lap, dice che se non si è distrutto lui da solo nessuno può farlo. Dice che non ci sono featuring, che è andata bene. Ascoltarlo è stato un lusso, ancora più grande quando, alla fine, sembra che stia davvero parlandomi. Un grande viaggio, la bolla scoppia. Il treno è addirittura in orario.