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Madreperla di Gué è un tributo sporco e scintillante alla sua carriera: la recensione traccia per traccia

  • di Cosimo Curatola Cosimo Curatola

14 gennaio 2023

Madreperla di Gué è un tributo sporco e scintillante alla sua carriera: la recensione traccia per traccia
La Madreperla di Gué poteva essere solo marketing, un altro album da caricare direttamente nel conto in banca. Invece c’è tutto il meglio e il peggio dell’artista, che viaggia sul boom bap rendendo tributo a sé stesso e alla storia del rap in Italia

di Cosimo Curatola Cosimo Curatola

Sono i giorni in cui ci ha lasciato Fabrizio De André questi, così i social sono invasi da sue citazioni. Su tutte, spicca uno stralcio di intervista in cui Faber parla del mercato musicale: “Io scrivo e incido canzoni, poi ci sono i discografici. Loro si occupano di vendere il prodotto, ma non è il mio mestiere”. Spicca perché questo invece è il mestiere dei cantanti di oggi, ed è quello che il rap in Italia ha insegnato meglio ai musicisti pop: autopromozione e autocelebrazione sempre e comunque, che si tratti di un disco d’oro a vent’anni di distanza o di un tutto esaurito tra i club della provincia. E non potrebbe essere altrimenti, in fondo tra i grossi pilastri del genere c’è l’egotrip, ritratto di sé costantemente carico di un qualche tipo di enfasi. Materia in cui Gué Pequeno, solo Gué da un paio di stagioni, è sempre stato un fuoriclasse. Così all’uscita di Madreperla, il suo ottavo disco solista - interamente prodotto da Bassi Maestro, con cui ha collaborato sempre più spesso per gli ultimi lavori  - le aspettative erano sul prodotto: un petardo per far scoppiare la classifica e il contatore degli streaming. Un prodotto nel vero senso del termine insomma, che funzioni il più possibile per il conto in banca, per il fatturato dell'artista, un po' come era stato Guesus. La sorpresa è che non è così. O, almeno, non soltanto. Madreperla è il miglior disco di Gué, punto. C’è tutto ed è tutto scintillante, segno che vent’anni di carriera non servono esclusivamente ad affermarsi e arricchirsi, per i più bravi possono essere un colossale carico di esperienza che si tramuta in stile, quella cosa che i rapper cercano dal primo giorno di scrittura come fanno i neonati con la mammella. Madreperla ha lo stile, il taglio cinematografico e tutta la caratura del quarantaduenne milanese. È un disco asciutto: 12 tracce per poco più di mezz’ora d’ascolto, senza riempimenti, scarno e crudo. Il tutto, probabilmente, perché per combattere il deficit d’attenzione serve intensità. 

Madreperla, una traccia alla volta

Il disco apre con Prefissi ed è la scelta più giusta che potesse fare: boom bap che suona quasi vintage, un ritorno alle radici. Rime dritte e un’idea - quella di elencare, appunto, i prefissi in giro per il mondo - che funziona e segna subito la direzione del disco invogliando all'ascolto verticale, una traccia alla volta, scelta che Gué ha fatto spesso durante la sua carriera solista. Anche se non sempre ha mantenuto lo standard, in questo caso la promessa iniziale viene ampiamente mantenuta.

Poi Tuta Maphia, che apre anche al primo featuring del disco con Paky: quando senti ‘tuta' torni a quella ‘di felpa’ che c’è in Vero, uno di quei pezzi così cafoni da fare il giro per finire nelle playlist di hipster avanguardisti. Avanti, con ‘Mi Hai Capito O No?’: fresco, sciolto, così evocativo che lo senti uscire da una Chevrolet Impala in una Miami degli anni Ottanta. Il ritornello, d’altronde, arriva da un pettinatissimo RON del 1983. Vent’anni più tardi e si arriva a Cookies N’ Cream, quarta traccia del disco, una bomba da clubbing dei primi Duemila perfetta per le peggiori wave di TikTok e le zone 30 orari del centro, quando passate coi finestrini abbassati e lo stereo impostato su MAX. Anna e Sfera Ebbasta scivolano sulla base, sono in forma, danno il meglio della loro cifra stilistica.

Per un pezzo più morbido, il primo, si arriva a Need You 2Nite, con Massimo Pericolo: lui consegna una strofa che funziona e Bassi tiene alta l’atmosfera anni Ottanta che fa un po’ da tramite per il disco, d’altronde il video promo è stato girato con Jerry Calà in un hotel da Vacanze di Natale in fase decadente.

Léon (The Professional) è l’ennesimo tributo di Gué a donne e coca, un regalo agli amanti del genere. Arriviamo alla traccia 7, Free con Marracash e Rkomi. Il primo canta un ritornello hip-hop che ripesca la stessa attitudine di In Faccia (King del Rap, 2011) e il secondo torna da dove era partito, meno pop , restituendoci un brano più riflessivo da piazzare in mezzo alle due coscione svestite che seguono e precedono: Mollami Pt2, che viene subito dopo, è un’altra hit da club con flussi da Insta Lova (Santeria, 2016), scelta come primo singolo estratto dal disco e già in alta rotazione in radio con la complicità di Ini Kamoze e la sua immortale Here Comes The Hotstepper.

Lontano Dai Guai con Mahmood ci ricorda che se Alessandro è arrivato in alto, nell’atmosfera più calda del pop, è anche merito di Gué che l’ha scoperto. Questa, insieme a un altro paio di canzoni, è la prova di maturità che vogliono i critici, gli esperti di settore: sa - rappare - ovunque. Anche se non canta mai, Gué riesce a mettere le sue strofe in ogni contesto. E il tappeto di Bassi, qui, scorre decisamente morbido.

Chiudi Gli Occhi, numero dieci: strofe in levare, beat Tiromancino, bella da sentire. E risentire ancora, perché funziona a meraviglia. Se Lontano dai Guai e Chiudi Gli Occhi rispondono ai critici, Da 1K in Su parla coi nerd del genere con l’unico (pesante) featuring internazionale del disco. Gangsta rap all’americana, una delle cifre stilistiche più consumate da Gué.

Madreperla si chiude con Capa Tosta, un pezzo che ci restituisce quella che chi scrive (male) di musica chiama contaminazione artistica. I ritornelli li firma l'esordiente Napoleone - che però ha alle spalle anni da autore per Sony - e porta il brano a una frequenza Nu Genea perfetta per chiudere il cerchio: il disco inizia con il sapore del rap tradizionale e chiude con quella che, per il rapper milanese, è sperimentazione pura, anche se il terreno ha un sapore già sentito grazie a melodie sembrano uscite dritte da Mi Fist (Club Dogo, 2003), ricordandoci un Qualcosa In Mente più raffinato e lento.

In Conclusione

In Madreperla c'è la vibrazione anni Ottanta di cui Bassi Maestro si è fatto ambasciatore in Italia e ci sono i pezzi da clubbing che hanno resi grandi i Club Dogo. Le strofe dritte di Gué impastano tutto senza scivolare, hip-hop come nei Fastlife Mixtape e lavorate come solo chi lo fa da vent’anni può permettersi di fare. In questo disco c’è il boom bap che ti fa muovere il collo come vent'anni fa, quando nel rap non c'era l’autotune e il genere su MTV veniva visto come un anziano nudo fuori dall’Autogrill. Gué ci mette ironia, sapore di strada e un gran numero di rime sputate coi flussi giusti e un lessico ricchissimo. Questo lavoro è un tributo alla carriera di Cosimo Fini che parte da quando era il Guercio e arriva ad oggi che è Gué. Puro, scintillante e prezioso per gli estimatori: di Madreperla.

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