Salvatrice Elena Greco (leggi: Sandra Milo) compie novant’anni. Leggi: 90. Occorrerebbe un enigmista con passione per i puzzle, come già lo scrittore Georges Perec, per riassumere le molte tessere delle non meno inenarrabili esistenze professionali di questa nostra già risaputa “diva” del cinema blasonato, “d’autore”, trascorso, sentimentalmente rimpianto, così da ricomporre ogni frammento anche del suo vissuto pubblico. “La Milo” feticcio femminile innanzitutto “felliniano”, e poi ancora lei, Sandra, imperdibile carta del Mercante in Fiera del glamour nazionale crocifisso dai flash dei paparazzi, pura sostanza femminile italica “formosa”. Sembra così, ancora adesso, di vederla avanzare sui tacchi o in camera da letto, nei panni di Carla, con Marcello Mastroianni a disegnarle le sopracciglia quasi diaboliche, in “8½”: le curve dei suoi fianchi cerimoniali, e ancora, sempre immagini del suo tesoretto erotico, le “forme”, il naso impertinente, l’evidenza di un fisico ciclopico, un “personale”, si sarebbe detto negli anni sessanta, assoluto, polpa carnale sorridente, pudore, smarrimento e seduzione…
Poi, nuovamente, i suoi fianchi, eppure questa volta imbottiti dai costumisti affinché assomigliasse a una “culona” impacciata e provinciale in un’altra straordinaria pellicola, firmata adesso da Antonio Pietrangeli, “La visita”: Sandra a guidare una Fiat “Balilla” nella Bassa ferrarese, amori per corrispondenza, il racconto della solitudine femminile. Oppure in “Fantasmi a Roma”: mai più verrà al mondo della narrazione e dell’incanto cinematografici uno spettro così svampito, svagato, pudico e insieme toccante per candore ectoplasmatico. Eppure è questo solo un segmento di vita e della sua evidenza pubblica e mediatica: nel vangelo personale di “Sandrocchia”, così come, ricorrendo al calendario sentimentale ed erotico votivo felliniano, veniva appellata tra gli strilli della cronaca vera e rosa, dai rotocalchi un tempo, accompagnando ogni sua foto, la sua imperiale biondezza, con il racconto parallelo di un travagliato vissuto coniugale privato. La sua voce distinguibile fra altre cento, lì a custodire i segni di un’infanzia rimasta intatta a dispetto d’ogni desiderabilità sessuale, della sua imponenza fisica.
Infine, le macerie della gloriosa tramontata Cinecittà ormai di sfondo sbreccato, nell’epoca successiva del Garofano: Sandra Milo, “compagna” socialista. Sandra che avrà modo di mostrarsi nei golfini da massaia televisiva nello spazio d’intrattenimento pomeridiano di Rai 2. La “vamp”, la “maggiorata”, la “bona”, la "fregna" lascia spazio infine alla conduttrice da tinello, alla dirimpettaia mediatica, i capelli legati a crocchia, sul divanto del suo talk, tra gossip, “piccoli fans”, gomitoli da sferruzzare e discorsi “alla buona” sullo sfondo di via Teulada; ed è in quella circostanza che sempre lei, “La Milo”, dona al sottomondo del crudele sarcasmo un pezzo indimenticato di televisione: una piratesca telefonata in diretta porta in studio la voce di una telespettatrice anonima che, fintamente allarmata, così irrompe, così intima: “Sandra, Sandra, che stai a fare lì, non sai che Ciro, tuo figlio, è ricoverato gravissimo per un incidente al San Giovanni, ma che ci fa lì?” E Sandra, mani subito a trattenere i capelli nel gesto della materna disperazione: “Chi, Ciro? Ciro, Ciro…”, ed eccola abbandonare lo studio. Per gli storici a venire della leggenda Milo, si sappia che era il 1990, e il titolo, la cornice d’ogni oscenità, recitava “L’amore è una cosa meravigliosa”. “Ciro, il figlio di Target” diventerà anche il titolo di una trasmissione-compendio della televisione al tempo dell’abisso, del kitsch, d’ogni meme avanti lettera.
Ora che ci penso, di lei narrerà in seguito “Novella 2000” a proposito di un amore cubano, prefigurando un imminente matrimonio, addirittura a L’Avana, il fortunato prescelto presentato come un dirigente del regime di Fidel Castro, addirittura colonnello già guerrigliero, emulo del Che e Camilo Cienfuegos, salvo poi scoprire che nulla era vero, si trattava piuttosto di un “bagnino”, un signore “prestante e abbronzatissimo”, un “istruttore di pesca subacquea che organizza gite, affitta bombole, fa da guida a un centro turistico”, riportarono, crudeli, le croniste. “Mi hanno ingannato”, disse sempre a “Novella” la nostra. Spigolature di gossip, minuzie, e tuttavia, di tanto in tanto, eccola nuovamente, sempre lei, “La Milo”, chiamata in causa per ricordare, ora e sempre, il tempo già felice, festante meraviglioso e trascorso di via Veneto: Lei e Federico, se insomma fosse vero che tra loro si sia trattato di un grande amore segreto, con la vocina, dolcezza e mitezza, a donare i sospiri di una stagione perduta, rimpianta. Per il nostro cinema e la sua vita che scorreva ormai assai più prosaicamente. Il giorno delle drammatiche dimissioni di Craxi da segretario del Partito socialista italiano, nello spettrale salone dell’Hotel Ergife di Roma, 1993, si ebbe modo di scorgerla seduta in prima fila: Sandra, l’unica a versare sincere e copiose lacrime per il cupio dissolvi politico di “Bettino”. Al fotofinish d’ogni storia e leggenda, c’è modo di ritrovarla, storia spicciola di questi giorni, nel cast di “Quelle brave ragazze”, su Sky Uno, affiancata a Mara Maionchi e Marisa Laurito, “tardone” avremmo detto una volta, in viaggio, lei a mostrare la persistenza pubblica di se stessa, dello stemma spettacolare Milo. Immancabile eroina, dispensatrice di frammenti destinati alla gloria di “Blob”, in occasione dei festeggiamenti per i trent’anni di quel format situazionista, interpellata sull’assoluto dell’esistenza terrena, pensando ai propri amati figli, Ciro, Deborah e Azzurra, ha struggentemente confessato: “Vorrei non morire, vorrei vivere tanto, fino alla loro morte, perché loro hanno paura di morire, e io no, e allora è un po’ come se gli dicessi: andate, che poi vi raggiungo”. Novanta, novantamila auguri, Sandra!