Ogni volta che mi capita di entrare in una Chiesa ricordo le parole di un amico quando disse: ‘Non capisco i cattolici che entrando in Chiesa fanno il segno della croce. Come a volere ricordare a Dio come è morto suo figlio. Assurdo’. È un po’ la stessa sensazione che ho provato guardando la sfilata di Balenciaga durante la Settimana della moda di Parigi. In realtà la mia prima reazione è stata ridere e pensare che South Park ha materiale per infinite stagioni, basta semplicemente osservare la società in cui viviamo senza paraocchi e lucidamente. Credo ci sia un confine molto sottile tra provocazione e stupidità, e l’idea di Demna Gvasalia (stilista classe ‘81) di fare una lettera aperta contro l’orrore della guerra in Ucraina si può decisamente collocare nella sfera della stupidità.
Siamo onesti, non è la prima volta che l’industria della moda si ritrova a portare avanti campagne a dir poco imbarazzanti, basti pensare a tutta l’affaire della moda grunge e, ancora prima, al punk, dove le spille da balia non erano un vezzo ma un modo per tenere assieme abiti logori nell’impossibilità di comprarne nuovi. Fare sfilare le modelle in una scenografia degna de Il dottor Zivago (ma in un enorme acquario per acuire il senso di solitudine) con simulate tempeste di neve, tenendo in una mano un ‘trash poush’ che ricorda un sacchetto della spazzatura -in questo caso carissimo- non mi pare un ‘atto di resistenza’ come descritto da Vanity Fair et similia, ma un vero atto di sciacallaggio.
Potete trovare i video sui social o su Youtube, di questa sfilata Fall/Winter ‘23 (se ci arriviamo) che vede gente costretta in nastri d’imballaggio, firmati ovviamente Balenciaga, per offrire a semplici ospiti, VIP e influencer quel senso di costrizione e disagio che vive ogni profugo sulla propria pelle (la cosa più bella è vedere Kim Kardashian che gira così nel backstage della sfilata). Chissà cosa direbbero gli ex reduci italiani della Campagna di Russia, durante la Seconda Guerra Mondiale, quando marciavano con le scarpe di cartone.
Qualcuno potrà rispondere che Gvasalia è un ex profugo (fuggì nel ‘93’ dalla guerra civile in Georgia) ed è consapevole del messaggio che vuole veicolare, di resistenza in questo ‘inverno del nostro scontento’. Per me è la dimostrazione della contemporanea tendenza a credere, erroneamente, che le vittime di determinati traumi acquistino, come i Pokemon con le abilità, chissà quale sensibilità ed esperienza di vita.
Se così fosse non esisterebbe gente come Milo Yiannopoulos, eppure…
Doveva essere, inizialmente, quella di Balenciaga una sfilata per sensibilizzare sui cambiamenti climatici, ma il georgiano ha ben pensato di portare in passerella il suo atto di resistenza. Non siamo negli anni ‘90 e questa non è una campagna di Oliviero Toscani. Che il fotografo milanese piacesse o meno, parlare trent’anni fa di certe tematiche (mafia, razzismo, HIV, violenza di genere, migranti) era davvero un azzardo, che poi lo facesse tramite un cliente come Benetton è un altro discorso che al momento non ci appartiene.
Non credo che lo scopo del direttore creativo di Balenciaga fosse fare ‘shockfashion’ su falsariga dello shockvertising. Credo che negli ultimi vent’anni abbiamo potuto fruire di tante di quelle cose scioccanti sui nostri smartphone, che queste prese di posizione puzzino di stantio, ipocrita e anche non necessarie. Potranno fare colpo su quelle regioni di privilegiati che vivono la guerra per interposta persona, come una serie da ingollare su Netflix, e non s’informano sulla reale situazione, almeno non finché avranno il culo appoggiato sui colori della bandiera ucraina (sui sedili della sfilata).