Tony Tulathimutte ha immaginato una social catena tra persone sole, alienate e online, i nuovi apolidi digitali, vittime della polarizzazione e delle fake news, cioè di una contronarrazione perpetua, che contrappone al mondo solido, il mondo veramente liquido di cui hanno parlato Baumann e, in Italia, Umberto Eco, quando in Pape Satàn aleppe affronta il tema della crisi delle ideologie, diversa (ma altrettanto radicale) da quella del primo Novecento, che inaugurò il postmodernismo (o la tarda modernità): in questo caso, a crollare è il sistema messo in piedi dalla cultura situazionista, dalla tecnofilia cyber punk e dalle grandi “idee generazionali”, dal ’68 al 2011, passando per i Friday for Future e oggi le varie incarnazioni del femminismo intersezionale. Mentre tutto frana il mondo digitale resta lì dov’è, anzi diventa più vasto e profondo, non ti incanta semplicemente, come lo schermo televisivo, come una regolare “luce blu”, ma ti plasma, e a volte ti formatta.
Questo è l’ambiente viscoso all’interno del quale si sviluppano i racconti di Rifiuto (Edizioni E/O 2025), un libro complesso, in cui l’autofiction dei personaggi, cioè il progetto identitario che portano avanti online, diventa letteratura. Tony Tulathimutte prende storie estreme e ci mostra come siano in realtà la normalità. Ecco, l’estremismo è oggi diventato la normalità sul web. Ne Il femminista, il primo dei racconti, un uomo conduce una vita fatta di frustrazione e senso di esclusione nonostante sia cresciuto con la soggezione per il femminismo, un mix di valori considerati sani e atteggiamenti femministi considerati tossici. Come garantisce Tulathimutte, non c’è una morale antifemminista o una difesa dell’autocommiserazione red pill. La letteratura va oltre, ponendo un problema che non è mai risolvibile, ma sempre aporetico, paradossale. Appunto, fratturato.
Dopotutto, nessuna soluzione è tale, nella vita. In Ahegao o la ballata della repressione sessuale il protagonista, Kant, confessa la sua omosessualità ma questo non basta a fargli fare pace con il proprio desiderio sessuale. C’è, al fondo, come suggerisce il titolo (“Ahegao” rimanda a un’espressione facciale dell’hentai, il cinema per adulti animato giapponese), un bug nel sistema umano che non gli permette, confrontandosi con le proprie fragilità, di diventare più duro. Anzi, al massimo si diventa più fragili, più liquidi. Tulathimutte mette in scena tutto questo attraverso un linguaggio da Millenial, e in questo è stato un po’ un apripista di chi, successivamente (pensiamo a Il mio primo libro di Honor Levy), ha scelto di porre al centro della narrazione il gergo dei giovani, un vocabolario fatto di inglesismi “virtuali”, da “ghosting” al “cringe”, utili a rendere un’altra idea paradossale: è vero che viviamo in un mondo liquido, fragile, scomposto, aporetico, ma questo mondo è anche carico di contenuti, di domande, di “dati”. E, dunque, di informazioni, che non riusciamo a elaborare alla stessa velocità con cui ci ansiamo.