Che noi italiani abbiamo un serio problema con la morte lo si capisce nel momento in cui ci troviamo a farci i conti anche solo a livello di narrazione. Invece di chiamarla col suo nome ricorriamo a giri di parole che, ai nostri occhi, dovrebbero suonare rassicuranti, consolatori, o anche solo possibilisti riguardo ciò che accadrà poi. “È mancato”. “È scomparso”. “È passato a miglior vita”. Per non dire di quei giri di parole come “sonno eterno” o, peggio, di quei commiati che ultimamente vogliono chiunque sia morto pronto per intraprendere un qualche viaggio.
Esattamente un anno fa è morto Franco Battiato. È un fatto. Come è un fatto, nel suo caso letteralmente e letterariamente, che ci sia mancato, non solo una mera questione di verbi transitivi o intransitivi. Che sia scomparso un anno fa, invece, non è poi così vero, perché era da tempo sparito all’orizzonte, sfumato come la sua memoria, la sua mente, lì rapita da una malattia che difficilmente avremmo potuto associare a una mente fervida e pulsante come la sua.
Esattamente un anno fa è morto Franco Battiato e con lui, si dice in questi casi ma mai come in questo caso è vero, credo sia scomparso, anche qui il verbo appare assai azzeccato, un modo di intendere la musica che più novecentesco non si può, senza lasciare eredi, o comunque senza lasciare eredi in grado di portarne avanti le istanze, vuoi per propria incapacità, vuoi perché nel mentre il mondo è cambiato, decisamente in peggio.
Figuriamoci, infatti, se oggi sarebbe permesso a un artista, qui si parla di arte, non certo solo di intrattenimento, di sperimentare per anni, senza chance commerciali, andando a giocare con suoni e composizioni che guardino più all’avanguardia che al pop, per poi dar modo di affrontare il mercato, anche raggiungendo numeri spaventosamente alti, da record, con opere che però siano al tempo stesso popolari ma altissime, testi costruiti su strati di citazioni e messaggi, rimandi ai grandi classici della musica contemporanea, non solo leggera, Georges Ivanovic Gurdjieff o Matteo Ricci portati ai vertici delle classifiche di vendita e di rotazione radiofonica. Figuriamoci se oggi sarebbe permesso a un artista di non tenere conto delle mode del momento, temo l’essere su Tik Tok, pensare esclusivamente allo streaming, adeguarsi ai look del momento e al gergo del momento, magari esibendo sandali e colbacco mentre danza in maniera assolutamente anti-erotica dentro un videoclip che tutto è fuorché attuale, come non attuale sarà quel suo esprimersi con garbata ma ficcante ironia, a tratti, solo a tratti, cinica, quell’ostentare un’educazione d’altri tempi, il sentirsi appellare “maestro” quasi una conseguenza naturale non tanto di un continuo flirt con la musica colta, il mondo della musica classica non lo ha in fondo mai preso troppo sul serio, ammettiamolo. Figurati, in pratica, se oggi sarebbe permesso a un artista di inseguire l’arte, certo non disdegnando le classifiche, la vetta delle classifiche, ma dettando la moda, lo stile imperante, non certo adeguandovisi.
Per questo, anche per questo, si può a ragione dire che Franco Battiato, morto un anno fa oggi, era scomparso da tempo, non certo il giorno della sua morte. E non necessariamente e soltanto per una malattia che, credo sempre per quel garbo e quell’educazione, ce lo aveva mostrato malconcio durante gli ultimi live ma era stata giustamente tenuta in secondo piano dalla famiglia, l’artista e l’uomo, almeno su questo fronte, separati alla nascita. Perché ripensare al singolo che Franco Battiato ha inciso con Mika, una versione irrilevante di “Centro di gravità permanente”, è stato un po’ come vederlo scomparire mentre era ancora in vita, come dentro certe scene anche palesemente tarocche di certi vecchi film di fantascienza, il protagonista che per via di un paradosso temporale inizia a scomparire, il rischio di scomparire del tutto lì, a portata di mano. E a poco è valsa l’ironia con cui il maestro, mai tanto maestro come in questo caso, ci aveva raccontato la collaborazione, atta solo e soltanto a fare cassa, nei fatti gli era sparito davvero un braccio, un pezzo di faccia, un piede. E se la sua sparizione era quindi stata allestita mentre ancora era vivo e vegeto, e il suo cominciare a mancarci era diventato via via sempre più ficcante, quasi doloroso, mai come oggi sentiamo la mancanza di chi, nel tempo, ha saputo raccontarci anche con malinconica rabbia i giorni nostri, le brutture dei giorni nostri, la feroce irrazionalità di una deriva che tendeva a disumanizzarci. Franco Battiato è morto un anno fa, dopo essere man mano sparito all’orizzonte, rarefatto, nel silenzio. Forse, davvero non bastavano più gli eccitanti e le ideologie e era arrivato davvero il momento di un’altra vita.