La favola dei Måneskin special guest dei Rolling Stones è stata raccontata a destra e a manca (nei mesi scorsi) dai vari Amadeus e media italiani, con corredo di articoli complimentosi, aggiunti sulla scia di un anno che li ha lanciati e consacrati non solo in terra tricolore.
In fondo che Damiano & Co. siano di "pasta buona", musicale e non (anche l'occhio vuole la sua parte, signore e signori) è un dato sufficientemente assodato, così com'è ormai appurato che non hanno inventato "gniente" di nuovo, né nell'immagine né nei suoni (anche se funzionano), con buona pace del loro mentore in casa "XFactor", alias Manuel Agnelli, che recentemente ha perfino osato il paragone coi Beatles (forse dopo qualche fiasco di vino buono).
Certo, i quattro sanno suonare veramente, qualità affatto scontata, specie nelle nuove leve, e formatosi per strada, ancor prima del talent Sky, sono pure un caldo esempio per i giovani, ormai invasi unicamente da autotune e trapper. Dunque diamogliene merito, ma è anche vero, però, che la loro ascesa internazionale, partita dal palco di Sanremo fino alla TV a stelle e strisce, con Rolling Stones annessi, deve gran parte della sua riuscita a chi gli ha confezionato addosso il vestito della festa, inteso per staff, casa discografica (Sony) e manager (Ferraguzzo), uno che non sbaglia un colpo facilmente. Di sicuro una fama oltrefrontiera conquistata con le unghie e con i denti (specie del dietro le quinte) e pomposamente portata in gloria dai giornalisti tricolori, incapaci - mea culpa - di volare più a bassa quota nella narrazione dello loro gesta.
Così, quando ai quattro viene concesso l'onore di salire sul palco prima dei Rolling Stones (a Las Vegas), l'entusiasmo italiano si espande fin negli States, mischiando la verità a un cincinnino di fantasia, mentre si fa insistente la notizia più succosa e sorprendente: i Måneskin sono stati scelti dai Rolling Stones in persona. Figo eh, se fosse vero (tambien).
Alla fine, infatti, la verità viene (sempre) a galla, (seppur qualche mese dopo), e a ristabilire la giusta versione ci pensa proprio la band britannica, per mano del loro chitarrista (nonchè membro fondatore) Keith Richards, che in una fresca intervista al Corriere della sera, in merito alla prossima capatina delle leggende in terra italiana (Milano, SanSiro, 21 giugno), alla domanda sul gruppo italiano che ha aperto per loro, risponde perentorio: "Non vedo mai le band che aprono i nostri show, ma se fanno rock and roll gli auguro buona fortuna". Che tradotto meno piacevolmente significa suppergiù: "I Måneskin? E chi ca**o so?".
Tragedia, apocalisse, fiumi di lacrime, i fan dei quattro scopriranno or ora che i musicisti romani non sono affatto i nuovi "pupilli" dei Rolling Stones (che non si sono nemmeno accorti della loro esibizione, pensa un po'), ma sono stati invece piazzati su quel palco dal sempre ottimo lavoro di casa discografica, manager e Co. Come a dire, tira più un buon manager che un buon repertorio, per quanto loro - va detto - abbiano pure quello, se non si ostinassero a menarcela con le cover.
E adesso tocca correre ai ripari (per forza), tra un tuffo in piscina e una visitina in studio per il disco nuovo (rigorosamente a Los Angeles), che faccia dimenticare, in un colpo solo, l'inascoltabile ultimo singolo, "Mamma mia", e la bufala (poco saporita) sui Rolling Stones.