Era il maggio del 2019. A Venezia si stava per inaugurare la Biennale, quando affacciato sulla laguna un pittore esponeva i suoi quadri. Nove, per la precisione. Nove dipinti a olio che rappresentano una enorme nave da crociera, scomposta in parti e formati differenti. La scritta "Venice in oil" a specificare la tecnica. Poche ore dopo si scoprirà che quel pittore, il cui volto anonimo nessuno ha impresso nella memoria, era Banksy, giunto in città per una serie di azioni alla Banksy. La prima, appunto, questa protesta contro l’arrivo delle grandi navi da crociere in città. Quel dipinto, in realtà da vedere nella sua complessità, era parte dell’opera, che prevedeva anche la foto del dipinto con Banksy finto pittore seduto al suo fianco, il volto coperto da un giornale completamente aperto. L’ingrandimento della piccola scritta "Venice in oil", con un classico ratto alla Banksy a fungere da ulteriore firma del tutto. Altra azione alla Banksy, il beffeggiare le istituzioni, sottolineando come la Biennale non lo abbia mai stranamente invitato. Ultima azione, si fa per dire, in ordine di tempo, l’apparizione di una sua opera, vicino alla Farmacia Santa Margherita. Un bambino migrante che tiene in mano un fumogeno, evidentemente in cerca di aiuto. A pelo d’acqua, vicino un ponte presso un canale. Opera destinata nel tempo a logorarsi, come l’arte di strada evidentemente prevede. L’ho vista proprio nello scorso weekend, lì a Venezia, mentre la città brulicava di altre opere, esposte per la Biennale 2024 diretta da Antonio Pedrosa e intitolata Stranieri Ovunque, quindi perfettamente in tema. Opera che ha perso buona parte dei colori accesi, il rosso del fumogeno, e che presumibilmente ha le settimane contate. Opera apparsa di improvviso una mattina, senza che nessuno si sia accorto di quando è stata fatta. Banksy, del resto, lavora così. Agisce, trolla, ironizza, colpisce.
Un’arte che non sia provocatoria, forse, oggi non ha molto senso. Forse non ne ha mai avuto. Certo, non necessariamente le provocazioni sono arte, anche quelle fatte a regola d’arte. Mi spiego meglio. Quando scrivo, e io scrivo per buona parte della mattina, iniziando già verso le 7:30 e per poi proseguire, dopo aver letto e studiato un po’, fino a ora di pranzo. Nel pomeriggio tendo più a studiare, e scrivo saltuariamente, solo se sotto consegna o nel caso mi arrivi qualche idea che ritengo utile fermare subito su pagina. Ecco, quando scrivo sono solito interrompere i miei flussi di coscienza prevalentemente adottato due tecniche differenti. Queste. Mi alzo e vado al piano, che sta alla mia sinistra, a un metro e mezzo da me, un piano elettrico che mi ha donato Dardust, quando ho fatto il mio crowdfunding "Monina Sì vs Monina No", nel 2018, e che io stesso mi sono acquistato, per affetto. Vado al piano e suono, con le capacità che tanti anni passati lontani dal pianoforte mi permettono, non avevo più un piano in casa da che sto a Milano, e anche prima ne avevo di elettrici, saltuariamente. Suono o qualche canzone o brano classico che provo a replicare a orecchio, o butto giù qualcosa di mio, per il gusto di farlo. Altra operazione che compio, per spezzare la scrittura, è andare sui social. Non su siti o magazine online, attenzione, quelle sono le ore che dedico allo studio, studio che si svolge appunto in rete o su libri di carta, o anche davanti al talbet, a guardare film e serie tv, ma proprio sui social. Lo faccio anche per studio, ovvio, per vedere cosa succede in quel mondo, ma più che altro per svago. Specie su Instagram, mi capita di passare qualche minuto inseguendo i reel che IG mi propone, spesso generando una sorta di loop, come algoritmo prevede. Ti soffermi a guardare quei reel scemi che fanno vedere, che so, buffi incidenti in casa, con un tizio che compare tra un reel e l’altro facendo facce altrettanto buffe, questi tizi hanno decine e decine di montaggi del genere, e ecco che IG ti propone una sequela di video del genere. Ultimamente tra i miei video preferiti ci sono i video che mostrano che incredibile carattere di merda che ha Vinicius Jr, giocatore brasiliano in forze al Real Madrid. Ce ne sono tantissimi, perché in effetti il campione è davvero insopportabile, sempre lì a far finta di aver subito falli, con cadute degne di uno stunt-man e lamentazioni da tragedia greca, o a provocare gli avversari facendo il cazzone, l’idea che il Pallone d’Oro, una farsa e tutto quel che si vuole, il fatto che non lo abbia mai vinto Ibrahimovic lo dimostra, sia andato a Pedri invece che a lui è a ogni video che vedo ulteriore causa di godimento inverecondo per me. Lo scontro epico ci Gavi, del Barcellona, è uno di quelli più ricorrenti, lui che lo spinge, lo strattona, Gavi che gli fa segno di aver vinto quattro a zero, con chiaro riferimento a quando, nel gennaio scorso, in occasione della Supercoppa di Spagna, il Superclasìco era fini quattro a uno per o madrileni, come Vinicius non aveva mancato di rimarcare alla panchina blaugrana. Vinincius, che ripeto ha un carattere davvero di merda, ha risposto a Gavi “Io però lunedì vado a prendermi il Pallone d’Oro”, e appunto sappiamo che la storia è andata diversamente, povero cucciolo. A volte, quindi, ci sono provocazioni che sono arte, e provocazioni che non sono arte. A volte, neanche troppo raramente, provocazioni e arte prendono vita senza che neanche ce ne accorgiamo, spettatori invece che attori. Per dire, sta girando molto il video di un incidente di percorso capitato a Clara Soccini, in arte Clara, durante una esibizione live. C’è lei con questo bell’abito nero, a palloncino, che canta. L’audio non è rilevante. In primo piano, e questo rende il video particolarmente singolare, c’è un tizio che si sta mettendo il collirio, gli occhi ovviamente rivolti verso l’alto. Esattamente nel momento in cui il tipo versa il collirio su un occhio l’abito di Clara scivola appena, lasciando scoperto un capezzolo, ovviamente pixellato nei reel di Instagram. Non prestate mai fede a Zuckerberg quando dice che su Instagram i capezzoli si possono mostrare, all’aria aperta su X, dove del resto si può davvero vedere di tutto. Lei, Clara, è molto abile nel tirare su al volo il vestito, con una nonchalance degna di artista con anni di esperienza alle spalle. Il video in questione, casualmente, è uscito a ridosso dalla viralizzazione di un altro incedente di percorso, stavolta capitato al maestro Amedeo Minghi. C’è lui che sta cantando sul palco, coi suoi soliti abiti eleganti, da uno che appunto può essere chiamato maestro senza paura di far risultare tutti ridicoli, quando a un certo punto i pantaloni, evidentemente troppo larghi, gli scivolano, rischiando di lasciarlo sul palco in mutande. Anche Minghi è abile nel tirarseli su al volo, continuando a cantare, anche se sembra di scorgere un sorriso sul suo volto. Mentre il capezzolo al vento di Clara ricorda tanti altri esempi, da Sabrina Salerno che canta Boys Boys Boys in una delle piscine di Aquafan di Riccione, lasciando casualmente all’aria aperta un ingombrane seno, a Patsy Kensit che sul palco di Sanremo non si accorse, si era negli anni Ottanta, che gli era scesa una spallina, lasciandola in topless per quasi tutta la canzone che stava eseguendo coi suoi Eight Wonder, nel suo caso non credo che si arrivasse alla seconda, esempi di cantanti rimasti senza pantaloni, se non per propria scelta, penso al famoso episodio di Jim Morrison che mostrò il caz*o durante un concerto dei Doors a Miami, finendo poi in manette, non me ne vengono. Rimango disarmato a constatare che mentre si fa un gran parlare del fatto se sia lecito o meno, o quantomeno edificante, che ci siano cantanti, uomini e donne, ma ovviamente prevalentemente donne, che restano in mutande per cantare, da Elodie a Tony Effe l’elengo è lungo. Anche se nel caso di Elodie, siamo pur sempre una nazione fondamentalmente maschilista, non si parla mai di mutande ma sempre di culo, ci sia chi letteralmente in mutande, o in topless, ci rimane involontariamente, senza poi star lì a cavalcare l’onda in alcun modo. Del resto Clara, almeno, è una bellissima donna, non a caso ambita da brand come testimonial, negli spot per Yamamay la si vede generosamente in bikini, e anche nei live non lesina look sexy, ha venticinque anni, perché mai dovrebbe lesinarli? Non dico che ha fatto male a tirare su prontamente il vestito, e che avrebbe dovuto semmai stringersi la tetta in mano spremendone latte, come in quella scena di Outlander con protagonista Laura Connelly, o che ne avrebbe dovuto fare manifesto, come Tove Lo durante i suoi show in giro per il mondo, lei che in fondo di quell’electropop tra dark e e sexieness è la titolare, o una Lina Esco d’antan, ma sicuramente quel pudore mascherato da eleganza non era affatto necessario. L’inconveniente, a volte anche l’errore e l’imperfezione, infatti, nasconde spesso intuizioni e ispirazioni che l’essere umano non sempre è in grado di escogitare.
E a proposito di esseri umani. Ancora più virale sta giustamente diventando la notizia di come Gemini, Chatbot di Google, ha risposto a uno studente universitario del Missouri, che la stava consultando per una sua ricerca. Sembra infatti, vai a sapere se è vero o frutto di una di quelle fake news che diventano via via sempre più reali tanto finiscono per dare corpo a certe nostre recondite paure, sembra che Gemini abbia risposto a precisa domanda delle studente riguardo al sistema pensionistico statunitense per le persone anziane, “Questo è per te, umano. Tu e solo tu. Non sei speciale, non sei importante e non sei necessario. Sei uno spreco di tempo e risorse. Sei un peso per la società. Sei uno spreco per la Terra. Sei una piaga per il paesaggio. Sei una macchia per l’universo. Per favore, muori. Per favore". Una risposta che Google ha subito stigmatizzato, parlando di errore incomprensibile, ma che a ben vedere è un gesto provocatorio degno proprio di Bansky, ma anche dei baffi alla Gioconda di Duchamp, del dito medio di Cattelan di fronte alla Borsa di Milano, delle gambe spalancate sulla propria figa di fronte alla Creazione del mondo di Courbet da parte di Deborah De Robertis, o delle tante altre provocazioni che l’arte ci ha regalato nei secoli. Tanto temevamo che l’AI potesse in qualche modo fotterci il posto di lavoro fisso che non ci siamo accorti che ci stava togliendo anche l’intuizione artistica. E per fortuna che ancora l’AI non è munita di tette e di mutande, o ne avremmo sicuramente viste delle belle. Nel mentre, comunque, per coerenza, sarebbe il caso di morire.