Avevo pensato di far partire questo mio scritto parlando di “manovre di allontanamento dal Club Tenco”. Credo avrebbe anche funzionato. Pensate a un incipit come questo, “Le mie manovre di allontanamento dal Premio Tenco oggi passano da Clara Soccini, in arte Clara, classe 1999. Sì, quella che faceva Crazy J a Mare Fuori, quella di Diamanti grezzi, ultimamente anche di Nero Gotico, quella delle pubblicità di Yamamay e Motorola”. Una cosa del genere. Funzionava. Funziona. Poi però mi sono detto che non posso parlare di “manovre di allontanamento” perché in fondo io al Premio Tenco non ci sono mai stato vicino, pur avendo fatto mio malgrado parte per anni della fantomatica giuria delle Targhe Tenco, a spiegare le differenze tra i due mi dicono sul palco dell’Ariston, perché il Premio Tenco, quello organizzato dal Club Tenco e nelle cui giornate vengono premiati i vincitori anche delle Targhe Tenco, va di scena all’Ariston, esattamente come il Festival della Canzone Italiana cui ai tempi di Amilcare Rambaldi, il suo ideatore, del Premio Tenco e del Club Tenco, anzi, tecnicamente, del Club Tenco e del Premio Tenco, cui ai tempi di Amilcare Rambaldi era legittimamente contrapposto, l’uno votato alla musica d’autore, l’altro a quella leggera, poi hanno chiamato Achille Lauro a interpretare una canzone di Tenco all’apertura di un’edizione e tutto è andato simpaticamente a puttane, a spiegare le differenze tra i due, mi dicono, sul palco dell’Ariston verranno chiamati quest’anno i freschi vincitori del Premio Nobel per la Fisica, a presentare il professor Vincenzo Schettini, per dare un tocco di simpatica umanità. Quindi niente manovre di allontanamento, peccato, non ci ho mai messo piede né mai lo farò, a occhio.
Semplicemente, siccome il Premio Tenco, come il Club Tenco e come anche le Targhe Tenco, puzza non tanto di polveroso, e puzza davvero molto di polveroso, attenzione, come certe soffitte o certe cantine, ma anche di quell’amichettismo che il buon Fulvio Abbate ha regalato al mondo, spesso usato con poca competenza, direi che preferisco parlare d’altro, e di quell’altro che, se tanto mi dà tanto, al Tenco potrebbe pure passare a breve, perché chi vuole svecchiarsi ma nulla sa del mondo non può che andare a tentoni, e quindi prendere pali e buche, quindi eccoli a dire che Tedua è in effetti un poeta, guai a non capirlo, e subito dopo che la musica d’autore è la sola salvezza alla deriva che la musica contemporanea ci sta presentando come piatto unico, Tedua appunto, e magari riuscissero a elaborare frasi del genere, poveri cuccioli, lì a cantarsela e suonarsela da soli. Quindi, eccoci a noi, sono andato ai Magazzini Generali di Milano a vedere, e sì, anche a sentire, il concerto finale del primo tour di Clara. In realtà, sia messo agli atti, ci sono andato per altri motivi che non fossero mettermi a far la guerra al Premio Tenco, ho mosso guerre a situazioni assai più rilevanti, cazzo me ne frega del Tenco, prendete le parole lette fin qui come un gioco, un Simba La Rue che prende a schiaffi Baby Touché, prossimamente in quella rassegna, ci scommetto, sono andato a vedere e sentire Clara mosso da altri motivi, e cioè mosso da curiosità, perché qualcosa in Clara ho visto, sì, ho anche sentito, e mi ha indubbiamente incuriosito, e perché volevo accompagnare mio figlio Tommaso, diciannove anni, dotato di orecchi ma anche di occhi. Perché, diciamolo apertamente, Clara è di una bellezza che in effetti occupa la scena da sola, anche in assenza di talento. Riformulo, Clara è di una bellezza che in effetti occuperebbe la scena da sola, anche in assenza di talento, ma di talento, Clara, ne ha. Canta bene, senza usare dal vivo autotune, intonata e con un timbro riconoscibile, ma soprattutto potente, e mentre canta balla, regalandoci la vista del suo corpo in movimento, e far finta che quella vista non influenzi la percezione del tutto sarebbe come dire che quest’anno Tosca non è stata invitata ai Premi Tenco, dicendo che poi l’anno prossimo la premieranno, roba che neanche nel famoso aforisma di Jay McInerney, “mai credere a chi ti dice: ti ho appena fatto un bonifico o non ti verrò in bocca”, dicevo, dire che la vista del corpo di Clara in movimento non influenzi la percezione del tutto sarebbe come dire che quest’anno Tosca non è stata invitata al Premio Tenco per provare a ricostruire, a fatica, immagino, un imene virtuale assai slabbrato, perché hai voglia a fregiarti del titolo di unico premio dedicato alla musica d’autore, ma è un po’ come essere pelati come un gomito e pensarsi dotati di capelli, o alti come un marciapiede e sentirsi alti, certi riconoscimenti devono arrivare dagli altri, e stando a quel che si legge in giro quest’anno, così, a spanne, direi che il Club Tenco necessiti proprio di una messa a punto. Ora, però, basta schiaffi, Baby. Clara no. Clara a occhio va assai bene così. Anche a orecchio, ma qui qualcosina da aggiustare credo sia necessario. Vi racconto. Il Concerto di Clara, chiusura del suo primo tour, seguito al suo primo album dal titolo Primo, dopo un anno abbastanza incredibile, anno nel quale ha raccolto i frutti del suo talento, prima lasciando MareFuori, spoiler, e poi andando a vincere SanremoGiovani e quindi a finire sul palco dell’Ariston in gara nel quinto Festival di Amadeus appunto con Diamanti Grezzi, e poi via, un singolo via l’altro, l’album d’esordio da spingere, il concerto di Clara, dicevo, chiusura del suo primo tour, seguito a tutto quanto, è ovviamente appoggiato tutto su una manciata di canzoni, quelle ha pubblicate fin qui. E seppure alcune siano di grande successo, Diamanti grezzi, appunto, ma anche Ragazzi fuori, Origami all’alba, Ghetto Love, vado a memoria, i Magazzini Generali le hanno in realtà cantate quasi tutte in coro, intendendo con “i Magazzini Generali” qualcosa che suonerebbe più tecnicamente come “chi ieri sera era accorso a sentirla ai Magazzini Generali”, me escluso, io non canto ai concerti e confesso che se anche cantassi non avrei cantato perché fatico a ricordare i testi delle canzoni che ascolto spesso, figuriamoci di quelle che ho ascoltato qualche volta per farmi un’idea, come in questo caso, quindi, va beh, e seppure alcune siano di grande successo, seguitemi, il problema di un mettere su un concerto quando si può scegliere tra quelle contenute in un solo album è che alla fine tocca sceglierle praticamente tutte, e gli album, è noto, sono in realtà fatti anche di canzoni che stanno lì per fare massa.
Quindi ecco, il concerto di Clara partiva con una penalizzazione, sulla carta, ma Clara è Clara, e sul palco si mangia la scena, e nonostante sia accompagnata solo da tre musicisti, sì, c’è sulla carta un altro problema, tre musicisti i cui parenti sono tutti sulla balconata di fianco a me, e non è certo questo il problema, ecco, quel “e nonostante sia accompagnata solo da tre musicisti” è per dire che se sei sul palco solo con tre musicisti, che pur utilizzano le sequenze, quel che ne esce è giocoforza un suono abbastanza costante, monocorde, come se finita una canzone ne cominciasse un’altra che somiglia per come suona alla prima, e via discorrendo. Del resto, questo è un po’ vero per chiunque faccia musica oggi, le canzoni si assomigliano un po’, nel repertorio di Clara, e non è affatto detto che la cosa sia un male, essere subito riconoscibili anche a occhi chiusi è un pregio, un asso nella manica. Solo che, veniamo a noi, vedere Clara che balla, prima con un corpetto bianco abbastanza da paura, poi con un pantalone aderente nero abbastanza distraente, con quel modo di muoversi sinuoso, ma anche con quel cantato potente, enfatico, canzoni che suonano costantemente epiche, cassa dritta in quattro, per circa un’ora, finisce per essere qualcosa che agli occhi, no, agli occhi no, agli orecchi di chi ascolta risulta una sorta di lungo remix, tipo quello fatto da Victoria De Angelis, per intendersi, nel quale si fatica, o almeno, io fatico, a riconoscere le singole canzoni. Detto questo, perché sono andato ai Magazzini Generali armato della giusta curiosità, scelta oculata per contrapporre poi qualcosa alla polverosa insipienza del Premio Tenco, attenzione, mi sono ritrovato alla fine del concerto affatto annoiato, anzi, piuttosto divertito, decisamente intrattenuto, perché di questo stiamo parlando, intrattenimento. Clara è una ottima performer, che occupa la scena militarmente, cantando sempre con trasporto e ballando praticamente dal primo all’ultimo minuto, anche quando, raramente, il ritmo rallenta. Con lei in scena, in due occasioni, due ospiti d’eccezione, Mr Rain, che con lei ha cantato la sua Un milione di notti, duetto che ha contribuito indubbiamente a renderla famosa, e Icy Subzero, che invero non è che io conosca poi così tanto, nella finale Ghetto Love (la finale è in realtà Nero gotico, che è anche l’iniziale, ma poco cambia), a rendere il tutto un po’ più mosso. A dimostrazione che Clara è una cantante di razza, per dire, il fatto che abbia a volte cantato seduta su un cubo con le gambe incrociate, fatto che per chi canta non è esattamente la cosa più semplice da fare. Due le cover portate in scaletta, per allungarla, Amore disperato di Nada, che però non è venuta esattamente un capolavoro, e Clown di Emilie Sandè, invece portata a casa assai bene. Clara c’è, direbbe un vecchio cartello dell’autostrada, e mi sembra giusto dirlo. Come mi sembra giusto dirlo che la sua fisicità è parte dello spettacolo, fingere di non accorgersene sarebbe come voler dire che la presenza in scena non ha peso, e così non è. Indossare un fisico così senza finirci incastrato dentro, forse questa non è esattamente la metafora più azzeccata, ma ho fatto tardi, abbiate pietà, credo sia parte del suo talento, perché Clara si muove sinuosa e lo fa con esattamente la medesima cura con cui canta, sempre attenta a essere impeccabile ma al tempo stesso coinvolgente. Io, così, nel boschetto della mia fantasia, per una artista come Clara, avrei pensato a un repertorio più variegato, sempre in ambito urban, lì si muove, ma a volte spostandosi su brani anche più rarefatti, volendo anche meno dritti, qualcosa che avrebbe potuto tirare fuori una FKA Twigs, per intendersi, una Willow. Ma Clara è una cantautrice, attenzione, pur nella formula contemporanea del termine, che prevede i cantautori e le cantautrici collaborare di volta in volta con altri autori, prevalentemente quel talento sfacciato di Alessandro La Cava, ma anche Katoo, per dire, o Jacopo Ettorre, o Federica Abbate, e in quanto cantautrice si è giustamente costruita un repertorio che le stia bene addosso, le calzi a pennello, per ora quello le basta. Mettiamola giù così, Clara, questo ho visto ieri al suo concerto, è indubbiamente l’alfiera di quello spirito "brat" che una come Charli XCX sta portando in giro per il mondo. Questo senza star qui a fare sciocchi paragoni, Charli XCX è altra cosa, lo so pure io. Clara è una cantautrice "brat", lo è in Italia più di chiunque altro, e seppur giovane e ai primi passi, mica uno intitola il proprio album d’esordio Primo a caso, ne è conscia e incarna alla perfezione questo spirito. Quindi bene il suo primo tour, con tutti i margini di miglioramento che ho indicato, ma comunque bene. È pop, signori miei, pop. Immagino, se tanto mi dà tanto, che l’anno prossimo la vedremo sul palco dell’Ariston, o sotto il cappello di Carlo Conti, al Festival, o sotto quello più improbabile del Premio Tenco, perché a questo punto qualcuno dovrebbe spiegarmi come sia possibile che nessuno l’abbia votata alle Targhe Tenco, Tedua, santo Dio, Tedua... Anzi, no, non spiegatemelo, che sono in fase detox e io nella vita mi occupo di musica, mica di amichettismo. Chi è passato ieri da Milano mi ha trovato alla Libreria Colibrì a presentare il romanzo di Piotta Corso Trieste, e già che ci siamo anche a parlare del suo bellissimo album ‘Na Notte Infame, un lavoro in romanesco ma comprensibile anche a chi vive su al nord, potenza di un dialetto da tempo entrato a far parte dell’immaginario italiano, e di un artista di cui al Tenco si sono sempre dimenticati, distratti che non sono altro.