Svaniti, per ironia dell'assurdo, lo stesso giorno, due tra i più meravigliosi panorami di una Roma sospesa.
Il primo a dileguarsi è stato Fabrizio Natalini, immenso intellettuale e docente presso l'Universita degli Studi di Tor Vergata. Ha prodotto alcuni tra i saggi più belli che abbia mai letto; uno, tra i più interessanti, tratta di Leonor Fini e del suo particolare legame con la Dolce Vita di Fellini. Fabrizio è stato probabilmente il maggior studioso di Ennio Flaiano... Ha anche sulla coscienza il fatto di essere stato tra i primi ad occuparsi seriamente del mio lavoro... A seguirlo, Richard Benson chitarrista, compositore, poeta, attore e playboy. Due figure apparentemente diverse, ma entrambe accomunate da un senso anarchico di onnipotenza bambina. Fiumi in piena in preda a visioni fuori dal tempo, erano in grado di proiettare attraverso il flusso del discorso universi altri.
Entrambi, quasi coetanei, provenivano da una Roma in cui tutto era ancora possibile, quella delle cantine teatro e dei cineclub. Richard ha corteggiato l'altrove tutta la vita, attraverso la militanza in gruppi di rock progressive come il Buon Vecchio Charlie, fino al teatro sperimentale, quando nel 1978 - memore delle lezioni dei De Berardinis e dei Bene - scrive e realizza lo spettacolo Skizzona: "Cabaret cantato con finale tragico che coinvolge tutti". Qui, forse per la prima volta, individuerà la dinamica base di ogni sua futura performance, che muove da una tensione autodistruttiva, reazione diretta all'alienazione contemporanea. Richard restituisce il collasso del senso. Nell'immolare se stesso - ed elevare a sistema la lapidazione scenica - sbatte in faccia al pubblico italiano - prevalentemente borghese e poco avvezzo a considerare una propria radicale sconfitta - il fallimento di tutto e tutti. Di seguito, non rimarrá, come unica impossibile verità, che il fluire del delirio fuori da ogni narrazione tra "betulla, fico sacro, coboldi, elfi eoni, nani", intriso di immaginari anacronisticamente medioevali. Rispetto a tale assunto, la performance del "Cristo Canaro" su musica di Ennio Morricone, rimane, a mio avviso, tra i momenti più straordinari della televisione di tutti i tempi e risente fortemente di queste esperienze nell'underground teatrale, come anche di un imprinting punk che Benson è stato in grado di distillare attraverso la propria tensione. Richard, tra le persone più intelligenti e colte che abbia mai incontrato, è stato dopo Klaus Kinski - per dinamica - l'ultimo Cristo volontario del palco, e ha serbato un rispetto verso il pubblico superiore a quello di qualsiasi grande mattatore teatrale. Chi gli lanciava "un pollo" e altri liquami, seppur illuso di poter essere tra gli ilari artefici della serata, non si rendeva conto di essere in realtà diretto da Benson e di giocare in questa idea totalizzante e dilagante di performance il ruolo di antagonista mancato, perché lui nei suoi eccessi è stato un evento anche senza pubblico. A verifica di tanto, il percorso da divulgatore musicale per emittenti locali. Enumeratore instancabile di nomi e formazioni, era in grado a primo ascolto di individuare da un unico fraseggio l'autore del solo. Tornando alla matrice underground, è stato anche compositore e arrangiatore della colonna sonora del film sperimentale l'Inceneritore, per la regia di Pier Francesco Boscaro Degli Ambrosi con Flavio Bucci (altra pietra miliare del teatro d'avanguardia) e Ida Di Benedetto, regalando al film anche una sua apparizione da attore.
Richard Benson ha rappresentato in un'epoca mirata alla demolizione dell'epos, del culto religioso e del rito - in un società corrosa e seduta, dove la psicanalisi, per dirla con Karl Kraus, "è quella malattia mentale di cui ritiene essere la terapia" - un rarissimo spiraglio di catarsi, dando voce e sfogo a tanti giovani trafitti e tramortiti da questa grande dissociazione che è il quotidiano e dalle sue degeneranti declinazioni morali. Chiunque entrasse in sintonia con i deliri urlati di Richard, iniziava a liberarsi in realtà di se stesso e della propria carcassa sociale.
Ho appena ascoltato in anteprima assoluta il suo ultimo singolo, molto ben suonato e cantato, qui sintetizza, finalmente, tutto il suo spessore poetico. Finalmente il disco che Richard avrebbe voluto fare da sempre. Per la prima volta, la sua voce pura, è priva di difese, non è contaminata da alcuna volontà espressiva o vagamente provocatoria. Egli si è compiuto poco prima di lasciare il mondo della rappresentazione. Dispiace sia accaduto proprio quando è pienamente riuscito nell'intento di manifestarsi in forma pura. Grazie a chi ha realizzato questo lavoro con lui. "Scrivo stupide e inutili metafore / sono un imbroglio, un inganno / è il mio castigo / per sentirmi vivo. / Nei sospiri di un tempo andato / e in quello che non accadrà / sentirsi svanire / e riemergere in un mare in tempesta". Se Richard Benson ha giocato al trash è perchè poteva permetterselo: "Sono la mente di un altro / nel corpo di un altro ancora / che poi morì".