Sui social sono presenti da un anno e mezzo, hanno un canale YouTube, li si trovano su Spotify, i loro testi si trovano sul web, a dicembre Rockit aveva recensito il loro ultimo disco, negli ultimi due mesi hanno suonato in alcuni circoli di Roma, Milano, Bergamo, Padova e Firenze, non esattamente negli Arci sperduti di qualche provincia. Di loro però il mainstream si è accorto solo il Primo maggio, dopo un’esibizione a Reggio Emilia davanti a una sessantina di persone al Tunnel: si chiamano P38, come la pistola simbolo degli Anni di piombo, hanno pubblicato a novembre un album trap-rap intitolato Nuove Br - che è anche il nome del tour - e richiamano in tutto e per tutto l’immaginario delle Brigate Rosse, soprattutto di quelle anni Settanta-Ottanta, dalla stella a cinque punte nel logo alla bandiera esposta ai concerti, passando per la R4 rossa (come quella all’interno del cui bagagliaio venne ritrovato il corpo di Aldo Moro, il 9 maggio 1978, in via Caetani) e la frequente evocazione della lotta armata. Giù polemiche, inevitabili: la notizia è passata rapidamente dai media locali a quelli nazionali, anche perché a commentare i loro riferimenti con legittimo sdegno e schifo - considerando la drammatica vicenda di famiglia, lui figlio di una delle vittime del terrorismo - è stato Lorenzo Biagi, figlio di Marco Biagi, il giuslavorista ucciso a Bologna il 19 marzo 2002 proprio da quelle che, allora, si erano autoproclamate “Nuove Br”.
Di loro i media si sono accorti proprio a Reggio Emilia, forse perché quella non è una città banale nella storia del terrorismo rosso. È la città dell’Appartamento, quella di Prospero Gallinari e Alberto Franceschini, di Lauro Azzolini e Franco Bonisoli; quella in cui di tanto in tanto espone i suoi quadri Tonino Paroli, quella che in un ristorante di provincia, a Costaferrata, sul legno di un tavolo vide incidere per la prima volta la stella a cinque punte nel cerchio, che era quello di una moneta. “Siete in ritardo, ma vi aspettavamo”, hanno scritto i P38 in un comunicato stampa - non numerato, sebbene la prima traccia del loro album, parlata, si intitoli “Primo comunicato” - dopo il clamore dei media. Ma chi sono quelli che si definiscono “Collettivo musicale artistico insurrezionale” e che, usciti dall’oscurità da una manciata di giorni, sono già finiti sulla Rai e sui grandi giornaloni?
Passamontagna bianco a travisare il volto, si tratta di quattro ragazzi di cui, al di fuori della loro cerchia, si conoscono i nomi d’arte e poco più: il sardo Astore, Papà Dimitri (il produttore), Jimmy Pentothal e Yung Stalin; sguazzano in un chiaro campionario di riferimenti tragici da tanti dimenticati e da molti loro coetanei sconosciuti, senz’altro da loro non vissuti ma dei quali sicuramente hanno letto, sebbene sia difficile capire a quale livello ne maneggino la conoscenza. Cosa dicono loro? “Facciamo fatica a definirci artisti (...). Siamo estremi? Sì. Siamo provocatori? Sì. Tutto questo è voluto. Il fatto stesso che qualcuno si indigni è, in qualche modo, previsto”, scrivono, spiegando - non a torto - che nei flow di altri artisti che loro criticano si esaltano spaccio, mafia, stupri e violenza anche politica d’ogni genere in un’ambiguità di comodo, che se fossero davvero “componenti di un gruppo armato clandestino forse strillarlo nei pezzi e sui palchi non sarebbe la migliore strategia da adottare”, ma questo non è in dubbio.
Intanto però sul quartetto indaga la Digos e la politica li sta affrontando con scontata indignazione bipartisan. Alcune situazioni però sono piuttosto singolari se si pensa che, ad annunciare l’intenzione di presentare in Procura un esposto nei loro confronti (esiste in effetti nell’ordinamento il reato di apologia di delitti con finalità di terrorismo), è stato il deputato di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, che oggi siede a Montecitorio ma la cui foto in divisa nazista, alcuni anni fa, fece il giro del web - e lui si difese parlando di goliardata, trattandosi di un addio al celibato - e insomma, in taluni casi vi è un aspetto selettivo dello sdegno del tutto tipico di questo paese che la trap . “Vi consigliamo di non trattarci come una malattia, ma come un sintomo”, chiosano infine, confermando la presenza di entrambi, in stato avanzato.