È stato arrestato in Francia Maurizio Di Marzio, l'ultimo ex terrorista per cui l'Italia chiede l'estradizione. Di Marzio era sfuggito all'operazione "Ombre rosse" alla fine di aprile, nell’ambito della quale erano stati fermati Enzo Calvitti, Giovanni Alimonti, Roberta Cappelli, Marina Petrella e Sergio Tornaghi, tutti ex delle Brigate Rosse, Giorgio Pietrostefani (ex di Lotta Continua) e Narciso Manenti, ex dei Nuclei Armati contro il Potere territoriale. Oltre a Di Marzio non erano stati presi Luigi Bergamin e Raffaele Ventura, che poi si erano costituiti. Per Bergamin la pena era risultata estina per prescrizione, lo stesso esito di cui si era parlato per Di Marzio. Un provvedimento della Corte d’Assise di Roma depositato l'8 luglio, però, avrebbe stabilito che la pena per Di Marzio non è ancora prescritta: stando a quanto riferito, deve scontare un residuo di pena di 5 anni e 9 mesi di carcere per i reati di banda armata, associazione sovversiva, sequestro di persona, rapina. Di Marzio fu fermato una prima volta in Francia nell'agosto del 1994. L'anno dopo, la Corte d'appello espresse parere favorevole all'estradizione, ma il decreto governativo non fu mai firmato, a causa della cosiddetta dottrina Mitterrand.
Stando alle cronache, il nome di Di Marzio è legato all'attentato del 1981 al dirigente dell'ufficio provinciale del collocamento di Roma Enzo Retrosi, ma soprattutto al tentato sequestro finito nel sangue dell’allora vicecapo della Digos della capitale Nicola Simone, il giorno dell'Epifania del 1982. Simone che è morto a 81 anni in marzo e che quindi non potrà mai venire a sapere della notizia che aspettava ormai da quasi quarant’anni (anche se in tutto questo non è chiaro, e anzi non sembra molto probabile, che l’ex brigatista finisca in prigione).
“Non ha potuto sentire la notizia che da tanto attendeva”, il racconto a MOW della compagna Giovanna Zugaro. “Nicola confidava nella giustizia, giustizia che dopo quarant’anni pare sia cominciata ad arrivare. Speriamo di poter mettere un punto in questa vicenda così dolorosa per la nostra storia. Non c’è mai stata sete di vendetta, in tutti questi anni abbiamo semplicemente aspettato la giustizia, l’unica cosa che si poteva fare”.
“Anche quella del pronunciamento del giudice – continua a MOW Giovanna Zugaro – potrebbe essere una via da perseguire. Ma soprattutto ci vorrebbe uno sforzo da parte delle autorità francesi, perché non è possibile che chi abbia compiuto azioni simili possa rimanere tranquillamente in libertà”.
Nicola Simone, medaglia d’oro al valor civile, è morto poco più di un mese e mezzo fa, a 81 anni, sotto gli occhi di Giovanna, per un attacco di cuore, senza poter sapere degli sviluppi (teoricamente) positivi della vicenda degli ex Br: “Non ha potuto sentire la notizia che da tanto attentava, quello dell’arresto dei brigatisti, anche se purtroppo manca ancora il tassello che lo riguarda e poi non è detto che anche gli arrestati poi scontino effettivamente la pena. Nicola confidava nella giustizia, giustizia che dopo quarant’anni pare sia cominciata ad arrivare. Speriamo di poter mettere un punto in questa vicenda così dolorosa per la nostra storia. Non c’è mai stata sete di vendetta, in tutti questi anni abbiamo semplicemente aspettato la giustizia, l’unica cosa che si poteva fare”.
Zugaro, 72 anni, ricorda l’episodio che coinvolse il suo compagno di vita (con il quale non si è mai sposata e con il quale non ha mai avuto figli) e Di Marzio: “Era l’Epifania del 1982. Io quel giorno non ero a casa con Nicola, allora vicecapo della Digos. Qualcuno suonò dicendo di essere il postino. Nicola aveva la pistola di servizio e un pullover in vita. Mise subito la pistola sotto il pullover, aprì e quando il commando tentò di sequestrarlo lui reagì e ne derivò un conflitto a fuoco nel quale riportò gravi ferite alla testa. Si è poi saputo che per lui era stata predisposta una prigione del popolo a Marino, vicino Roma, dove sarebbe stato processato e condannato. Lo avevano preso di mira perché lui sarebbe dovuto diventare uno dei condannati simbolo di quella campagna di inverno delle Brigate Rosse, in quanto l’anno prima era divenuto addetto stampa della Questura e il suo nome ricorreva spesso. In precedenza era già stato ferito in una sparatoria durante una manifestazione di piazza”.
Successivamente Simone è stato tra le altre cose il primo direttore dell’Interpol italiana, il primo a dirigere il Servizio centrale operativo della Polizia di Stato ed è stato capo della missione interforze in Albania a fine anni '90. Per Giovanna, nella sfortuna di essere stato colpito senza peraltro aver ottenuto giustizia, il compagno è stato comunque un “miracolato”: “Gli spararono tre proiettili in faccia. Le pallottole gli entrarono sotto l’occhio e in bocca ma, nonostante il lungo ricovero, si è salvato e non ha praticamente avuto conseguenze fisiche permanenti. Anche il ferimento alla gamba in piazza avrebbe potuto portare a degli esiti gravi e invece il proiettile non lesionò nulla. Abbiamo avuto una vita movimentata e piena di tensioni, ma almeno, al contrario di altri colpiti dai terroristi in quel periodo, abbiamo potuto viverla. Spiace solo sapere che probabilmente c’è chi non pagherà per i gravi reati commessi”.