Plebiscito Liberato. L’artista napoletano senza volto per tre giorni ha fatto ballare la sua città. Chi se ne frega se poi la famosa identità segreta è ormai a portata di mano, il giochetto continua a reggere, e a mantenere vivo l'interesse in un'epoca discografica in cui la confezione conta più del prodotto stesso. Buona idea, ottimo marketing (altro che Måneskin e gli altri). Ma non è questo il punto, per quanto la parte debole della vicenda sia proprio la musica (comunque non da cestinare), mica si devono vendere dischi (vendere dischi oggi: un ossimoro) al massimo si deve portare gente a comprare biglietti (a prezzo neanche popolare) per l'evento in uno dei templi della musica dal vivo made in Naples. Qualcosa che gli avvezzi ai paragoni (che qualcuno li perdoni) già avvicina all'iconico concerto che Pino Daniele tenne con la sua Superband nella stessa piazza nel settembre 1981.
Ora, che Liberato, versione fighetta del neomelodico, sia il riassunto della Napoli di oggi è qualcosa di destabilizzante. Perché Napoli, città piena di contraddizioni, estremamente affascinante e culturalmente potente (con buona pace del gieffino ignorante), non è necessariamente violenta. Ecco, è questa la nota stonata nel trionfo delle Quattro Giornate di Liberato (a cui si aggiunge il concerto davanti ai detenuti di Poggioreale). Qualcosa che altri liquidano come gioco, show, tirando persino in ballo la ricca produzione partenopea di testi dalla metafora erotico-sessuale (e cantati anche da Roberto Murolo, Eugenio Bennato, La Nuova Compagnia di Canto Popolare, vedi Cicirinella e altri), da cui prende sicuramente spunto (e rifà bene anche), ma rincarando la dose con epiteti gratuitamente volgari.
Per chi non sapesse di cosa stiamo parlando, mica siamo tutti fan dell'uomo mascherato, la faccenda si può riassumere più o meno così. A quanto pare il cantante dal palco è solito lasciarsi andare a male parole. Non parolacce “alla buona”, tanto per farci una risata, quanto dei veri e propri incitamenti sessisti. Succede così che prima di cantare un brano preciso, Nunn’a voglio ‘ncuntrà, sceglie di rivolgere all'ex queste frasi: “Se l'è fatt tutt quant (le date), tutt o tour... ions ions ions... Chella granda cess, cessa bucchi*a...”. Facilmente comprensibile anche per chi vive fuori dai confini campani, ossia allusione al se*so orale e alla capacità della lei in questione di avventurarsi in tale pratica. Un intro cantato in coro da tutta la piazza, per la precisione 75 mila sparsi nelle tre serate (16-17-18 settembre).
Non pago, poco dopo tira fuori dal cassettino della memoria anche un'antica filastrocca, il cui contenuto dice: “famm na pal*a mman/ fammella chianu chianu/'a mamm è na bucchi*a a chi nun sbatt 'e mman”. È presto detto, parliamo ancora dello stesso atto, e stavolta a esercitare il mestiere più antico del mondo è la mamma di chi non ha voglia di battere quelle fottute mani. Le mamme dei paganti in questo caso, benissimo (si fa per dire).
È di oggi la notizia di un 17enne napoletano che avrebbe vessato l'ex fino a violentarla. Come denunciava Clementino qualche giorno fa, questi ripetuti episodi di violenza sono anche colpa del linguaggio di certi rapper. “Si lamentano che hanno stuprato una guagliona a Palermo, si lamentano che hanno stuprato na guagliona a Napoli, si lamentano che è morto un musicista per un parcheggio... E allora non mi venite a dire che il rap non c’entra niente... se è il rap è la musica che loro ascoltano, io non posso dire a questi guaglioni: ‘Io sono figo, gli dò una coltellata’ perché tu sei o’frat do cazz se dici così”. Specie da sopra un palco (con la responsabilità che essere un mito comporta), non si può ridurre a goliardiata un atteggiamento facilmente emulabile (specie dai giovani) e di totale assenza di qualsiasi rispetto per la donna. Alla luce di ciò, è davvero Liberato il re di cui Napoli ha bisogno?