E così, alla fine, l’indicizzazione ha ucciso Matteo Messina Denaro prima della malattia. Dove non poterono i nemici, dove non poté il cancro (lo aveva predetto, ‘u siccu, il magro: “non morirò di cancro”), poté la Seo, la search engine optimization: siti, anche famosi e rispettabili, hanno dato con vari giorni di anticipo la notizia della morte del boss soltanto per essere primi su Google a morte avvenuta e facendo stranamente coincidere la morte di Giorgio Napolitano, famoso anche per le sue posizioni (o non posizioni) sulla trattativa stato-mafia della quale (ove ci fosse stata od ove fosse ancora in essere, dipende dalle opinioni) Matteo Messina Denaro è stato, dopo la morte del suo maestro Totò Riina, protagonista indiscusso, facendo parte di quella “cumacca” favorevole al proseguimento della strategia della tensione contro lo Stato. Oggi l’indicizzazione è la fonte più importante per le notizie, contano i click, non le fonti verificate, per cui, per noi, Matteo Messina Denaro è morto, qualche giorno fa, ucciso da Google e dai suoi sodali. È forse il primo omicidio dell’Intelligenza Artificiale. Poi è morto davvero.
Le smentite successive non hanno fatto altro che amplificarne il decesso avvenuto (ogni smentita è una notizia data due volte), così come la notizia della morte venne falsamente data da Marco Buffa poi redarguito aspramente da Piero di Natale: "Ignazieddu vivo è!”, discussione intercettata grazie alla quale gli investigatori scopriranno il nome con il quale, in procinto di essere arrestato, si faceva chiamare: “Ignazieddu”, appunto. Quella intercettazione “Ignazieddu è morto”, “No Ignazieddu vivo è” (che somigliava ai whatsapp di ieri: “Ma Repubblica e Fanpage dicono che è morto”, “No, è solo il titolo per l’indicizzazione, l’articolo non c’è”) scattò poi l’operazione “Hesperia” che infine portò alla cattura. Intercettazioni nei bar di paese, personaggi minori che si vantano di sapere cose, pizzini che riguardano supermercati, spostamento terre, agricoltura, boss presi in casolari malmessi a causa di mutande sporche, o in asfissianti stanzette bunkerizzate. Certo ci sono le bombe, i morti ammazzati, il ragazzino sciolto nell’acido (il suo sequestro era stato ordinato proprio da Messina Denaro - che dopo l’arresto negò di avere dato l’ordine di ucciderlo, scaricando l’intera colpa su Giovanni Brusca. Certo c’è la possibilità della trattativa stato-mafia destinata ad essere – forse – studiata dagli storici; anche se le intercettazioni telefoniche tra Giorgio Napolitano (all’epoca residente della Repubblica) e Nicola Mancino (all’epoca ministro dell’Interno) sono state distrutte per espresso desiderio del “re Giorgio”.
Certo ci sono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Beppe Montana, Pippo Fava, ci sono anche quelli che non c’entravano niente né con la mafia, né con lo Stato e manco con la trattativa e che ci andarono di mezzo. Ci sono violenze e “superchierie”, ingiustizie, pazzie, terrore e orrore. Ma resta questa sensazione “cheap”, quest’odore di cavoli, le giocate, i ristoranti, le liti con la figlia, le lettere alle amanti, il ritorno del giubbotto di montone in puro stile anni Ottanta, i Ray-Ban a goccia, le letture deliranti delle biografie storiche che tra un pizzino e una ficcatina rappresentavano la vita di Matteo Messina Denaro tra la ricerca di prestanomi per aprire stazioni di servizio, lo strangolamento di una donna incinta di tre mesi, una mano a sette e mezzo. Hannah Arendt fu molto criticata per avere detto, e scritto, “La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme”. Nei giorni in cui “Oppenheimer” è ancora in classifica, pensando al grande traffico internazionale della droga, alle industrie delle armi, alle guerre, alle deportazioni, agli orrori tutti, verrebbe da dire che tutta questa faccenda, sulla quale adesso centinaia di esperti o sedicenti tali diranno qualcosa di profondo e molto siciliano, tra il misterioso, il codificato, la massoneria, i livelli, le parole in dialetto, non è altro che l’ennesima minchiata, minchiata col botto, anzi con molti botti, con un’occhio all’abbigliamento e un altro all’indicizzazione. La banalità del male. Appunto.