Adesso, non è che io non sappia se Matteo Messina Denaro, detto da adesso in poi , il “Dogui”, non possa essere stato e non sia un mostro, a partire dal dodicenne cavallerizzo Giuseppe Di Matteo sciolto nell’acido. Ma diciamo che non è la mia specializzazione e gli orrori li tengo privati e li serbo in caso mi dovessi trovare faccia a faccia con i mostri. Ci sono ben altri scrittori specializzati nella facile indignazione dell’orrore e continuo a pensare – ohibò, senza assolvere nessuno – che il nostro stile di vita di minorenni morti ne abbia tanti sulla coscienza. Epperò io, per capriccio personale, per dispetto verso le anime belle, e per naso verso la notizia, vi dico che il montone con il quale è stato arrestato Matteo Messina Denaro è significante di molto, di assai, dalla visione yuppie capitalista che sacrificava i bambini proletari a una idea di ricchezza meravigliosa e perniciosissima propagandata (criticamente, ci mancherebbe) dai Vanzina e che nessuno – tranne Marco Giusti – hanno colto nel segno del loro vero neorealismo. Tra “Mamma Roma” e “Yuppies” o “Vacanze di Natale” non c’era nessuna differenza: ce ne siamo accorti in pochi. Ma tant’è. Il giubbotto chelsea imbottito del valore di 10mila euro, con il quale Matteo Messina Denaro è stato arrestato, in una clinica palermitana, in day hospital, a seicento metri dalla centrale operativa che ne ha organizzato l’arresto (e che a una mente romanzesca come la mia suggerisce un preciso “pizzino”) è l’argomento al momento più dibattuto sui social, la giacca di montone, dico. Matteo Messina Denaro vestito come Jerry Calà, come Ezio Greggio, Come Christian De Sica, come il Dogui (il nostro amato cumenda) in “Vacanze di Natale” - ma il cui stile è tornato in tendenza ben prima dell’arresto di MMD -, è un caso o rappresenta una visione del mondo nata negli anni Ottanta e della quale ancora portiamo gli strascichi dopo la pubblicazione della trattativa Stato-Mafia? Ma non vi sa tutto di Chivas e Ballantines e pennette alla vodka e massoneria durante cene di Natale tra cristalleria e panbriosche? A me, che in quegli anni, in Sicilia, sono cresciuto, sì.
Perché, se vogliamo essere paranoici, come è giusto che sia uno scrittore come me, che cerca le dietrologie complicate al posto di abbandonarsi all’indignazione orrorifica – giusta ma banale -, quella giacca di montone parla di ricchezze accumulate negli anni Ottanta, dove la vicinanza tra Stato e mafia era tangibile: un uomo delle istituzioni che taglia il nastro di una concessionaria di auto accanto a Nitto Santapaola, l’omicidio di Pippo Fava che in quella Catania dove tutti conoscevano tutti fu una doccia fredda, l’omicidio degli andreottiani fratelli Salvo, esattori (come esattore, adesso è il governatore della regione Renato Schifani), Sgarbi che dice a Giuseppe Ayala: “Non ti ricordi le feste dove girava la cocaina”? Dell’Utri e la sua condanna. Il fumantino Gianfranco Micciché. Insomma, dietro quel meraviglioso giubbotto di montone ci sta un mondo. E quello che mi stupisce, e che mi fa rivalutare i siciliani (che credevo teste di minchie), è il fatto che tutti se ne stiano accorgendo. Quel capo di abbigliamento e gli anni anni Ottanta: carcere, Chivas, giubbotto di montone e sei in pole position! Ecco perché, forse, l’unico che ha capito tutto della nostra Italia è stato il Dogui, il compianto Guido Nicheli.