Klaus Davi non è solo il massmediologo e consulente di comunicazione e di immagine che siamo abituati a conoscere e vedere da molti anni in televisione, ma è pure un esperto di criminalità organizzata, spesso impegnato in prima persona in modalità di reporter d’assalto, in particolare nelle terre della ’ndrangheta. Con lui, reduce da un blitz con telecamera nascosta in una centrale dello spaccio a Reggio Calabria, parliamo della nomina di Nicola Gratteri a nuovo procuratore di Napoli, delle condizioni (e del destino) di Matteo Messina Denaro e del crescente rapporto tra ’ndrangheta e clan rom, soprattutto nel campo della droga.
Klaus, che ne pensi della nomina di Nicola Gratteri a procuratore di Napoli?
La nomina di Gratteri è un grosso passo avanti per l’antimafia. Porta un grande know how sulla ’ndrangheta, che è la mafia più internazionale che c’è, per contrastare la camorra che nella partita della droga gioca un ruolo importante, e considerando che le due mafie operano in parallelo nel nacrotraffico. Secondo me è anche meglio che sia andato lì piuttosto che alla Dna (direzione nazionale antimafia), perché su Napoli può dare un contributo ancora più decisivo e più forte. Peraltro la venuta di Gratteri a Napoli sancisce la supremazia della ’ndrangheta, perché mettere il più importante magistrato anti-’ndrangheta del mondo a operare sulla camorra sancisce che per sconfiggere la camorra devi avere un esperto di ’ndrangheta.
È una mossa di immagine o può avere dei risvolti concreti?
Sicuramente c’è un aspetto di comunicazione, ma ce n’è anche uno molto sostanziale. Certo che nelle varie questioni di Caivano, Pianura e Ponticelli ci vuole la repressione, ma non basta. Ci vuole anche che lo Stato investa, altrimenti non ne usciamo. A Ponticelli sono andato (un boss si è tagliato le vene davanti a me) e non c’è nemmeno un campo da calcetto. Desolazione totale. Come si pensa di recuperare i giovani o di tenerli lontani dalla criminalità se non c’è nemmeno un luogo aggregativo? Come a Caivano: arresti i padri, ma poi? Questi ragazzi non hanno nulla. Lo Stato deve assumersi le proprie responsabilità se vuole davvero promuovere una cultura della legalità.
Le cronache parlano di un Matteo Messina Denaro ormai nella fase terminale della propria malattia. Che impatto potrà avere questa situazione?
Anzitutto su Messina Denaro mi ha colpito che dopo che hanno trovato delle parrucche femminili si siano precipitati a dire che servivano alle sue amanti e non a lui per travestirsi, quando peraltro si sa che boss come Gionta si travestivano da donna per sfuggire ai controlli. Questo voler salvaguardare a tutti i costi la sua virilità mi ha colpito. Per quel che riguarda la morte che pare ormai prossima, non avevo dubbi che non si sarebbe mai pentito, nonostante i dialoghi e gli incontri con la figlia e così via. Anzi, la sua morte poco tempo dopo l’arresto potrebbe rafforzare la convinzione che lui si sia consegnato alle forze dell’ordine. Convinzione che non è la mia, perché io credo che forse abbia allentato le difese ma che sia stato catturato, ma inevitabilmente la sua fine rapida andrà a rafforzare questa convinzione. Di certo tutti i segreti se li porterà via con sé. Non dirà nulla.
Abbiamo visto il tuo “blitz” con telecamera nascosta in un covo dello spaccio a Reggio Calabria. E oggi il video in cui hai distrutto la droga. Raccontaci cosa cercavi e cosa hai trovato.
Sto indagando sul ruolo e sull’affermazione dei clan rom ai vertici della ’ndrangheta. Ci sono già inchieste fatte dalla magistratura su questo tema, la più importante, della procura di Reggio Calabria, si chiama Malefix. Però si parla poco dei rom e della loro ascesa. Quindi dopo aver saputo di questo covo per lo spaccio della cocaina proprio a Reggio Calabria mentre ero in vacanza mi sono organizzato. Sapevo che era una zona presidiata dai rom e sapevo che c’erano le telecamere, e nel mio video si vedono i loro monitor di controllo, quindi ci sono andato di notte, ho cercato di schivare le telecamere e le vedette e con un escamotage sono riuscito a introdurre la mia di telecamere e a riprendere dall’interno la centralina dello spaccio ai clienti ma anche a microtrader. Una centralina completamente controllata dalla filiera rom che per la prima volta è stata filmata con tanto di vendita della coca dall’interno. I tre-quattro che erano lì dentro erano un terminale, ma vari elementi (dalle telecamere di sicurezza al taglio della droga) rivelano che l’organizzazione era sistematica. Ora si tratta di capire chi ha delegato ai rom questa cosa, ma deve essere qualcuno di molto in alto nella ’ndrangheta. È tutto un universo da esplorare, con l’aggiunta del fatto che su questo tema c’è sempre molto politically correct, non è che se ne parli molto volentieri. Ma noi li abbiamo beffati e siamo usciti con un video che è una prova di reato.
Hai fornito le immagini agli inquirenti?
Se me le chiede l’autorità giudiziaria gliele do, non ho problemi. Ho tutti i volti che ho censurato ma nel video originale si vedono. Ma al momento non mi hanno chiesto le riprese. Nel frattempo il covo è stato chiuso. Ma dalla ’ndrangheta stessa.
Hai avuto ripercussioni o minacce?
Minacce per ora zero. Dopo il sopralluogo avventuroso sono rimasto qualche giorno a Reggio Calabria e non mi sono nemmeno sentito pedinato. Anche perché la loro priorità nell’immediato sarà stata quella di far sparire tutto. A me interessava documentare l’organizzazione e la filiera, più che lo spaccio in sé. E direi che ci sono riuscito.
Considerando la presenza di telecamere fuori dal covo, ci può essere qualcuno di ricattabile tra gli acquirenti della droga?
Può essere. Non posso escluderlo.