Chi è Louise Glück? Domanda mai tanto ricorrente come nelle ultime ore, ovvero quelle immediatamente successive all’assegnazione del Premio Nobel per la letteratura 2020.
È infatti la poetessa statunitense Louise Glück ad aver ricevuto il massimo riconoscimento dall’Accademia di Svezia, che nel conferirle il Premio ha evidenziato l’efficacia priva di tempi e spazi reperibile nei versi dell’autrice, riconoscendone “l’inconfondibile voce poetica, che con austera bellezza rende l’esistenza individuale universale”.
Classe 1943 (77 anni), newyorkese, Glück nasce da una famiglia ebraica. Il padre, Daniel Glück, trasforma gradualmente le sue aspirazioni letterarie d’origine in un cammino imprenditoriale che lo porta nella storia: contribuisce alla nascita, insieme al cognato, del coltello X-Acto, il famoso taglierino di precisione con manico sottile in alluminio, considerato nel tempo una sorta di ‘bisturi degli artigiani’. Lei però, Louise, è molto meno materiale, molto meno pratica, vuole essere “solo anima”, come dirà in uno dei suoi più famosi versi:
“Volevo essere solo anima, punendo il corpo.”
Versi dedicati alla sua anoressia, una delle sofferenze che ne caratterizzerà la vita e le opere, nelle quali passi e vissuti personali sono solo pretesti per una lettura globale, esistenziale, eterna, spesso incentrata sui tratti naturali più selvaggi e incontaminati. La malattia le impedisce di portare avanti studi tradizionali, interrompendone il percorso scolastico che poi terminerà solo in un secondo momento. Nel mentre, un lungo percorso psicanalitico che rappresenterà un altro dei leitmotiv della sua scrittura.
La prima opera in versi è del 1968: Firstborn, raccolta di poesie inedita in Italia. Qui a predominare sono versi brevi e semplici, spirituali e a tratti epici. Ne segnano di fatto il primo approccio con il grande pubblico, che continuerà a visitare – a intervalli incostanti – con richiami sempre più mitologici come in Descending Figure, The Triumph of Achilles, Ararat, The First Four Books of Poems, Meadowlands e Vita Nova.
È del 1992 l’unica opera ancora oggi reperibile in Italia, seppure non senza difficoltà. Si chiama L’Iris selvatico, pubblicato nel 2003 da Giano Editore e non a sproposito paragonabile in tutto e per tutto al Canto notturno di un pastore errante dell'Asia di Giacomo Leopardi: domina infatti un confronto tra uomo e natura nelle forme di un’interrogazione sull’esistenza, sui limiti della condizione umana, che prende avvio da aspetti quotidiani e familiari per poi farsi epica:
“Non solamente il sole ma la terra
stessa splende, fuoco bianco
che balza dalle montagne vistose
e la strada piatta
tremolante di primo mattino: è questo
solo per noi, per provocare
una risposta, o sei anche tu commosso, incapace
di controllarti
in presenza della terra? … Mi vergogno
di quello che pensavo tu fossi,
distante da noi, considerandoci
un esperimento: è
cosa amara essere
l’animale sostituibile,
cosa amara. Caro amico,
caro compagno tremante, cosa
ti sorprende di più in quel che provi,
il bagliore della terra o il tuo stesso piacere?
Per me, sempre
il piacere è la sorpresa”.
(Louise Glück, L'iris selvatico, Giano, 2003, traduzione di Massimo Bacigalupo).
La vittoria del premio Nobel scatenerà inevitabilmente una corsa alla pubblicazione di molte delle opere della Glück in Italia, cavalcando un’onda di attenzione mediatica e di pubblico che spinge a muoversi con estrema velocità.
Di fatto sono pochi i colossi editoriali che hanno i mezzi, economici e materiali, per permettersi un lavoro simile; per molti sembra in pole La Nave di Teseo, casa editrice che – per quanto giovane – sembra la più ricettiva sul fronte internazionale, forte dell’esperienza trentennale della direttrice Elisabetta Sgarbi. Come d’altronde dimostra la recente operazione A proposito di niente (Apropos of nothing), che ha portato nelle librerie l’autobiografia dell’84enne regista newyorkese Woody Allen.